Clap! Clap!
A Thousand Skies
Black Acre
Fiorentino di nascita, Cristiano Crisci – alias Clap! Clap! – ha evidente attitudine cosmopolita. Lo dimostrano alcuni dettagli: dal fatto che su Wikipedia la sua pagina compaia nella versione anglofona (e non in quella italiana) alla localizzazione dell’etichetta discografica che ne pubblica i lavori, ossia l’indipendente britannica Black Acre.
Per conto di quest’ultima era uscito già, due anni e mezzo fa, Tayi Bebba: album dal quale venne folgorato Paul Simon, tanto da spingerlo a reclutare il produttore nostrano, incaricandolo di metter mano a tre brani del suo disco dello scorso anno, Stranger To Stranger. Ovviamente ciò ha accresciuto in misura esponenziale la visibilità di Clap! Clap!, giunto a questo punto della carriera dopo un percorso artistico complesso, iniziato con l’hip hop, transitato dal jazz e irruvidito dal punk. L’approdo alle sonorità di natura elettronica avvenne inizialmente dietro l’ironico pseudonimo Digi G’Alessio, mentre quello attuale lo identifica dal momento in cui ha cominciato a incorporare nell’assetto digitale ritmiche tribali di estrazione africana.
In tal senso, A Thousand Skies – descritto dall’autore come opera a soggetto sul viaggio di una ragazza fra le stelle – rappresenta un’evoluzione ulteriore. Al variare dell’origine dei campionamenti (riferiti ora al folklore nazionale, in particolare dell’Italia meridionale e insulare) si somma una rinnovata attenzione ai primi amori (le parti create con strumenti “veri” sono affidate a jazzisti, quando l’impronta ritmica è sovente di matrice hip hop). L’amalgama fra i vari elementi genera effetti sorprendenti: ad esempio in “Nguwe” (dove compare ospite il cantante sudafricano Bongeziwe Mabandla) ed “Elephant Serenade”, che suonano al tempo stesso da world music in chiave avveniristica e jazz proiettato verso orizzonti interplanetari (viene in mente Flying Lotus, a tratti).
Altrove – “Hope”, per dire un caso: ipnotico episodio in battuta bassa, creato avendo accanto il duo elvetico OY – il risultato ha sembianze più “occidentali”, ma nell’insieme A Thousand Skies afferma un’audace visione musicale in cui tradizione e innovazione, passato e futuro, si conciliano in modo armonico e concorrono a disegnare inedite geografie sonore.