Cesare Siepi 1923- 2010
Addio al grande basso
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Se ne vanno inerosabilmente uno ad uno, i nomi stellari della lirica che fecero grande l'epoca del microsolco, segnando anno dopo anno l'agonia di questo mondo dell'opera di cui fatichiamo sempre più a vedere un futuro: economico, culturale, artistico.
Cesare Spiepi, milanesissimo di nascita (10 febbraio 1923) non fu però il basso "ufficiale" della Scala, bensì del Metropolitan di New York, dove debuttò nel 1950 divenendo un caposaldo della gloriosa gestione di Rudolf Bing, e americanizzandosi sotto ogni aspetto: residenza, famiglia, pensionamento, tomba (è morto ad Atlanta il 5 luglio scorso). All'Europa riservava soprattutto i mesi estivi, quelli destinati alle incisioni discografiche (quando i dischi d'opera si registravano ancora in Italia) e ai festival: il Maggio Fiorentino, l'Arena di Verona e con particolare evidenza il Festival di Salisburgo, che lo consacrò Don Giovanni di riferimento per un ventennio e in tutto il mondo, aiutato non poco dalla prestanza fisica, degno successore del mitico Ezio Pinza.
La sua natura vocale era nondimeno quella di basso profondo, capace di scendere agevolmente fino al do contrabbasso, come non può aver dimenticato chi ebbe la ventura di sentirlo in una Favorita parmense del 1982 accanto ad Alfredo Kraus, in quell'ultima fase di carriera in cui recuperò con piacere (suo e nostro) i teatri italiani.
Note incredibili a parte, erano lo splendore vellutato del timbro e la nobiltà del fraseggio a fare di lui un interprete memorabile specialmente per Verdi, sempre morbido ed elegante, nel grave come nell'acuto, nel piano come nel forte, nel serio come nel comico, mai truculento (Mefistofele) o gigionesco (Don Basilio).
Per la sua duttilità stilistica, cantò anche in francese, tedesco, inglese, e trovò contatti pure con Broadway, dove ebbe l'onore di due musical confezionati sulla sua voce e sulla sua personalità d'attore.
Ci rimangono oggi tanti dischi, in studio o dal vivo, e qualche film, come il celebrato Don Giovanni con Furtwängler, primo video operistico a colori. I blog dei melomani si sono riempiti in poche ore di ricordi nostalgici e di espressioni di sorpresa da parte di giovani che l'hanno scoperto per l'occasione. Mi piace allora salutarlo con l'esclamazione di un ragazzo spagnolo, che all'ascolto del «Piff paff» dagli Ugonotti di Meyerbeer ha commentato: «¡¡¡Que caverna de voz!!!».
Marco Beghelli
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