L’abbraccio di Serpentwithfeet

Il nuovo album dello statunitense Josiah Wise (alias Serpentwithfeet) è un inno al gay clubbing nero

serpentwithfeet (foto di Denzel Golatt)
serpentwithfeet (foto di Denzel Golatt)
Disco
pop
serpentwithfeet
Grip
Secretly Canadian
2024

Rilevante in senso storico per aver incubato l’house music, che prese nome dal locale di Chicago – Warehouse, appunto – in cui Frankie Knuckles e soci le diedero forma, il clubbing dei gay afroamericani ha avuto importanza anche in termini politici ed emotivi.

A celebrarlo nel settembre scorso è arrivato al Joyce Theater di New York lo spettacolo di danza Heart of Brick, architettato dal coreografo Raja Feather Kelly e diretto dalla regista Wu Tsang. Fondamento musicale dell’opera sono le canzoni incluse ora in Grip: terzo album del 35enne Josiah Wise, in arte Serpentwithfeet.

– Leggi anche: Serpentwithfeet e il soul dell'avvenire

Il percorso biografico del personaggio è esemplare: allevato da bambino al canto nel coro della chiesa pentecostale di Baltimora guidato dalla madre, crescendo ha definito la propria identità assorbendo l’energia dai party organizzati dalla comunità black queer.

Ecco spiegata l’origine dell’espressione “gospel pagano” da lui stesso attribuita a ciò che produce. Già nell’immagine di copertina esprime qui in maniera più esplicita che in passato la sua natura omosessuale, mescolando poi con disinvoltura sentimento ed erotismo, come accade in “Safe Word”, dove in modalità AutoTune alterna conforto (“Sono il tuo rifugio”) e sfacciate esortazioni sessuali (“Soffocami adesso, scopami, carica quel cazzo nel cloud”).

L’accento R&B è maggiormente spiccato rispetto ai lavori precedenti, sia nella dimensione narcotica di “Spades” sia in quella carnale di “Hummin’” (“Anche il mio corpo ronza, anche il mio corpo canticchia”), e ciò lo colloca in uno spazio sonoro intermedio tra Frank Ocean e D’Angelo: nel primo caso l’analogia è trasparente considerando la rarefazione ambient di “Deep End” (“È la sesta notte della nostra storia di una notte, dovremmo reprimere i sentimenti o fare un piano?), nel secondo se ne scorgono tracce osservando l’ingegnosità ritmica dell’iniziale “Damn Gloves”, altra dichiarazione priva di pudore (“Non ho bisogno di erba, non ho bisogno di liquore, voglio solo continuare a strusciarmi sul mio negro”) incapsulata in un groove spettrale.

In quel brano lo spalleggiano il californiano Ty Dolla $ign e il sudafricano Yanga YaYa, mentre in “Black Air Force” gli dà man forte il rapper Mick Jenkins e in “Ellispis” compare con grazia la cantautrice di Filadelfia Orion Sun.

Da parte sua il Serpente ci mette una voce di seta, apprezzabile in particolare sull’arpeggio di chitarra acustica imbastito in “Lucky Me”, quando dice in fragile falsetto: “Se Dio è davvero un Dio, vive nel tuo abbraccio”. Meno avventuroso e sorprendente di Soil (2018) e Deacon (2021), Grip è però più nitido ed efficace, confermando il valore di un artista capace di conquistare l’ammirazione di Björk e Rosalía.

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