La chiesa di Killer Mike
A più di dieci anni dal precedente, il nuovo album di Killer Mike, la metà nera di Run the Jewels
A più di dieci anni dal precedente R.A.P., Killer Mike, all’anagrafe Michael Render – la metà nera di Run the Jewels, il cui RT4 fu secondo noi del giornale della musica il miglior disco pop del 2020 –, mette in circolazione un nuovo disco da solista, Michael, probabilmente il suo lavoro più personale.
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Dal punto di vista musicale l’ultima decade per lui è stata pesantemente focalizzata sul progetto Run the Jewels in compagnia del produttore e rapper bianco El-P e, com’è naturale, alcuni brani di questo disco mettono in mostra la stessa cadenza lirica feroce che Killer Mike esercita con RTJ, ma la parte più rilevante di Michael rappresenta una deviazione sonora, si sviluppa come un diario personale, un guazzabuglio di auto-riflessione, trash-talking da NBA e commentario sociale. Quattordici brani che ancora una volta confermano il rapper di Atlanta come figura imprescindibile della scena hip hop mondiale. Come commentammo nella già citata classifica del 2020, «questo è hip hop che ha portamento da “vecchia scuola” hardcore senza ritirarsi affatto nelle retrovie della nostalgia».
«Questo è hip hop che ha portamento da “vecchia scuola” hardcore senza ritirarsi affatto nelle retrovie della nostalgia».
Quando ho visto la copertina di questo disco mi è venuto in mente Michael, film del 1996 in cui John Travolta interpreta l’arcangelo Michele venuto sulla Terra per aiutare un’anziana signora, ma è un arcangelo molto umano, appesantito, fumatore e bevitore, che mangia molto, troppo zucchero ed emana un forte odore di biscotti.
Come diceva la tag-line del film, «Lui è un angelo...Non un santo». Guardate la copertina di questo disco: la foto ritrae Michael come un bambino sorridente con un’aureola sulla testa ma anche due piccole corna che fanno capolino: angioletto o diavoletto? Del resto lui è Killer Mike, il rapper High & Holy, fuso e santo, come ricorda l’omonima canzone presente in questo album.
Quattordici brani dicevamo, il cui produttore esecutivo (e anche artistico in alcune tracce) è quel No I.D. responsabile dei classici anni Novanta di Common, di un paio di album di Jay-Z e collaboratore di Kendrick Lamar, Drake, Kanye West e NAS. La costruzione dei brani prevede spesso la presenza di canti gospel e organi da chiesa, affidati rispettivamente a Jason McGee & the Choir e Warryn Campbell. Le collaborazioni sono un parterre de rois: si va da El-P a Mozzy, da Young Thug a CeeLo Green, da Ty Dolla Sign e 6lack a una delle rare apparizioni di André 3000 degli Outkast (per soprammercato in compagnia di Future).
In “Down by Law”, brano d’apertura che vede la partecipazione di CeeLo Green e che rimanda alla produzione di Curtis Mayfield intorno alla metà degli anni Sessanta, Killer Mike mette sul tavolo i suoi temi per l’intero album, siamo di fronte alla riflessione sullo stato attuale di essere un Nero negli Stati Uniti, uno sguardo riflessivo sui minuscoli cambiamenti della prospettiva sociale che non riescono mai a diventare sistemici. Mike non è mai stato uno che ha moderato i termini o che si è attenuto alle formalità, lui è un nervo scoperto che rottama ogni concetto di rap effimero: in questo album ci sono canzoni che sicuramente resisteranno nel tempo.
«I was so young when I stood at that store / That I did not know that the money you paid me / Was meant for your babies, and now they just poor / It was just business, my nigga / I am not vicious, my nigga I had no vision, my nigga / I wanted Gucci and Fendi, my nigga / Gucci, Givenchy, my nigga / But none of them crackers, they love us, my nigga / All of them crackers said fuck us, my nigga» - "Down by Law"
L’influenza musicale più evidente di Michael è la tradizione nera del gospel. I suoni della chiesa sono ovunque in questo album: corse di pianoforti in cascata, organi vorticosi e cori che raggiungono vette elevatissime. “Motherless”, che vede la partecipazione di Eryn Allen Kane ed è costruita sullo spiritual del diciannovesimo secolo “Sometimes I Feel like a Motherless Child”, è un omaggio commovente alla madre e alla nonna di Mike, scomparse rispettivamente nel 2017 e nel 2012; “Shed Tears” è attraversata da voci gospel e soul da pelle d’oca, mentre la conclusiva “High & Holy”, con Ty Dolla Sign nell’inedita versione di crooner – «soffiando fumo su verso il cielo conto le ferite che mi sono procurato cercando di trovare la mia espiazione» –, vede Mike riflettere sulla salvezza: «Il mio fratello è pieno di casini e salvarlo è il mio desiderio / Le nostre ambizioni spesso si raffreddano, cercando di andare più in alto / Dio benedica coloro che si dichiarano colpevoli e maledica i bugiardi».
Lo stesso discorso si può fare per “Don’t Let the Devil”, la canzone immersa nel gospel che coinvolge anche il suo vecchio compagno El-P e che presenta alcuni splendidi campionamenti di Little Shalimar che elevano la narrativa complessiva.
Come anticipato, c’è André 3000 che salta fuori in “Scientists & Engineers” e lui è l’unico ospite che è in attività da più anni rispetto a Killer Mike, nonché una metà del duo che lo fece conoscere al mondo: dopo quella prima strofa in “Snappin’ & Trappin’” Killer Mike diventò un habitué all’interno dei dischi degli OutKast e un membro della decantata Dungeon Family, comparendo nel fantastico singolo del 2001 “The Whole World” e in un paio di brani del mega-blockbuster del 2003, Speakerboxxx/The Love Below, anno in cui uscì anche il suo album d’esordio, Monster, e contenente il singolo “A.D.I.D.A.S” con Big Boi e Sleepy Brown, al momento la sua canzone di maggior successo commerciale.
Le strofe che Killer Mike sputa fuori contengono una verità universale, sono il risultato di un’esperienza personale e non evitano mai argomenti scomodi: questo è particolarmente evidente in “Something for Junkies”, brano che rende più umani coloro che combattono contro i disturbi causati dall’abuso di droghe, mettendo al contempo in guardia sui rischi dell’uso abituale di tali sostanze, consapevolezza derivante da alcuni esempi in famiglia.
Artista-attivista, ultimamente Killer Mike ha oscillato, in maniera abbastanza incomprensibile, tra il sostegno a Bernie Sanders e la simpatia per il governatore repubblicano della Georgia Brian Kemp ed è stato protagonista di un paio di scivoloni omofobi e misogini – chi vuole approfondire può leggere.
Detto questo, Michael ci ricorda che, RTJ o non RTJ, Killer Mike è una vera star, un uomo che ha passato instancabilmente anni a fare musica senza scendere a facili compromessi fino a quando il mondo è stato finalmente pronto ad andargli incontro.
In definitiva siamo di fronte a un grande album che tuttavia ha dei punti deboli (pochi), ma per fortuna sono distanti tra loro e alla fine risultano soltanto dei rallentatori di velocità per quella che risulta essere nel complesso una corsa di classe e appagante.
«Ogni santo ha un passato, ogni peccatore ha un futuro» - Killer Mike