Certe incisioni, certi libri, certe ricerche sembrano acquisire un “quid” di necessità cogente in più, quando la storia si mette di traverso, e fa decantare prima, deflagrare poi qualcosa che era in nuce e non aveva ancora trovato tutte le parole e i suoni giusti per esprimersi. L’innesco non sembra mai volontario: qui governa la logica dei destini incrociati, dei sentieri che si biforcano, delle città invisibili che di colpo si rendono evidenti, con altre realtà.
Così succede ad, esempio, che in questi tempi siano accaduti due fatti in contemporanea, nel mondo dell’editoria e della musica, che sembrano un perfetto, sincronico e avvitato capriccio del destino – ma forse sono solo il segno di una necessità di presenza.
Nelle librerie troverete in questi giorni, per Einaudi, la riedizione allargata del capolavoro del grande e sfortunato Vitaliano Trevisan, cantore lucido fino alla spietatezza delle disarmonie di molti mondi quotidiani, a partire da quello veneto e vicentino dove era nato poco più che sessant’anni fa, riassunti nella cruda, disseccata esposizione (pur tumultuosa e fluviale: parliamo comunque di oltre settecento pagine) di Works.
Tassonomia della – o forse delle – precarietà di ognuno, riassunte in un suo percorso che lo aveva portato a fare di tutto, ma proprio di tutto, per campare e per esorcizzare quel male di vivere che, in fondo al suo pozzo interiore, lo chiamava di continuo, e che alla fine se l’è preso e portato via.
Però, e qui scatta il guizzo del destino, la voce di Vitaliano risuona più viva e vera che mai, in un’altra pubblicazione d’ora, e qui la musica c’entra molto, assieme alle sue parole e a quelle di un’altra anima gemella.
La sua voce che racconta ed espone, parola dopo parola, e in totale spregio del “narcisismo attoriale” (che odiava) le Note sui Sillabari. Un progetto nato nel 2005 sugli asciutti, e per questo dirompenti racconti dei Sillabari del vicentino Goffredo Parise, nato in origine come programma radiofonico per voce recitante e musica elettronica, quella del compositore Stefano Bellon. Poi Bellon, dopo varie vicissitudini. aveva deciso di rivolgersi anche al pianista e jazzista Marcello Tonolo, che allora dirigeva e coinvolse la magnifica, flessuosa Thelonious Monk Big Band.
Passo successivo: il coinvolgimento di Vitaliano Trevisan, nel 2006, che invece di scegliere la via facile della rilettura scelta e selettiva ha elaborato una raffinata e cruda drammaturgia sui Sillabari («un libro strano, inafferrabile, si percepisce una tensione che rimanda sempre altrove, oltre la storia, oltre la tecnica, oltre la pagina, oltre la scrittura», scriveva lui), interpolando altri brani parisiani, anche diaristici, raccordando il tutto nella sua maniera apparentemente quieta, ma lancinante e già di per sé musicale, come gli scritti di Parise.
Il tutto riuscì ad andare in scena diverse volte, con Trevisan, Belloni e l’orchestra sul palco, fino al luglio 2009.
Funzionava, e bene. Così, tra lo scorcio di quell’anno e l’inizio del 2010 all’interno della Casa della Musica di Trieste Bellon e Tonolo registrarono le palpitanti parti musicali: bella premonizione, perché di lì a poco l’orchestra non sarebbe più esistita. Vitaliano Trevisan, l’anno successivo, dopo aver più volte rivisto il testo decise di fissarlo in studio di registrazione: a quel punto mancava solo un delicato lavoro di ricucitura delle parti, per arrivare al disco, al testo, e al libro, che ora, più d’un decennio dopo, con l’accorta curatela di Claudio Donà esce per notevole serie Margini curata da Filippo La Porta per il piccolo e valido editore Inshibboleth, con il testo integrale, foto, cd accluso e ampia documentazione critica.
Le Note sui sillabari, per nostra fortuna, sono qui per restare. E risuonare.