L'unica tappa italiana del Phaedra Farewell Tour dei Tangerine Dream è stata al Teatro Colosseo di Torino lo scorso 9 giugno. Un dialogo con Edgar Froese, leggenda della "musica cosmica" e solo superstite della formazione che lavorò a quel disco, edito nel 1974.
Phaedra è stato pubblicato esattamente quarant'anni fa: immaginava allora che potesse diventare tanto influente?
«Ovviamente no. Era musica estranea al mainstream, creata usando sonorità mai sentite fino ad allora: non c'era alcun motivo razionale per cui si potesse pensare a un suo successo commerciale o che fosse destinata a esercitare qualche genere d'influenza».
Quale movente creativo vi guidò allora verso quei nuovi scenari sonori?
«Prima di diventare musicista, avevo studiato pittura e scultura all'Accademia delle Arti di Berlino: avevo perciò familiarità con l'idea di crescere come individuo coltivando la creatività in senso lato. D'altra parte, mi ero reso conto quasi subito che la musica è un linguaggio espressivo molto più universale di altri, in grado di toccare il cuore delle persone. E inoltre ero affascinato dalle possibilità virtualmente infinite che le nuove tecnologie offrivano alla creazione musicale».
Phaedra fu uno dei primissimi dischi realizzati impiegando il sintetizzatore Moog e il sequencer: che emozione provò a manovrare da pioniere quegli strumenti?
«Sono un grande fan della musica di Johann Sebastian Bach e già da ragazzo sognavo di poter riprodurre con gli strumenti elettronici quelle note basse ad alta velocità che Bach aveva posto alla base delle sue strutture contrappuntistiche. Dopo aver ascoltato a fine anni Sessanta Switched on Bach, il disco realizzato da Wendy Carlos impiegando il sintetizzatore Moog, non vedevo l'ora di potermi procurare a mia volta quello strumento. Dovetti aspettare però sino al 1973, siccome per acquistarlo occorreva un mucchio di soldi: investii in quel modo l'anticipo previsto dal contratto con l'etichetta Virgin. Il resto è storia».
È l'unico componente rimasto di quella versione dei Tangerine Dream: ha ancora contatti con gli altri due, Peter Baumann e Christopher Franke?
«Mi capita di vedere con una certa regolarità Peter, che gestisce una sorta di scuola esoterica a San Francisco. Quanto al signor Franke, invece, saranno venticinque anni che non lo incontro e ho perso qualsiasi contatto con lui».
Come dicevamo, Phaedra è stato un disco straordinariamente influente: ci sono artisti contemporanei che considera suoi epigoni?
«Siccome oggigiorno l'uso dei sintetizzatori è diffusissimo, tanto che quasi ogni band sul pianeta ne ha uno, intercetto quel genere di sonorità artificiali ovunque, dalla radio in auto alle cose che scarico dalla rete. Anche se, a essere sincero, buona parte di ciò che ascolto non mi attrae affatto. I giovani artisti che provano a imboccare sentieri inesplorati, usando l'elettronica in modo originale, sono pochi: malauguratamente in giro si sente soprattutto noiosa roba mainstream».
Con l'avvento della techno, Berlino ha conquistato il ruolo di capitale della musica elettronica in Europa, se non addirittura nel mondo: è una fama meritata?
«Girando continuamente il mondo per lavoro, mi è capitato di ascoltare musiche interessanti provenienti da piccoli studi in Giappone, Canada, Scandinavia e addirittura Russia. Ma non sono musiche destinate al consumo di massa, non si tratta di hip hop urbano o roba ripetitiva da deejay. La musica che cerco deve in qualche modo toccare l'anima e non riguardare esclusivamente il conto in banca di qualche casa discografica. Mi domanda se Berlino è ancora l'ombelico del mondo musicale elettronico: non ne sarei così sicuro, personalmente ho una visione più cosmopolita e non bado alle ambizioni della città in cui vivo».
A parte il materiale di Phaedra, che cosa prevede il repertorio del vostro show?
«Il pubblico ascolterà musiche provenienti da quattro decenni differenti, composte in contesti diversi - persino qualche brano realizzato due anni fa per il popolarissimo videogioco Grand Theft Auto V - e ciascuna con una sua storia da raccontare. Il concerto sarà quindi piuttosto vario».
Che genere d'immagini accompagna le musiche?
«Il corredo visivo di questo tour è davvero imponente: usiamo sia un light show tradizionale sia proiezioni d'immagini animate, in modo da assecondare le variazioni di umore e atmosfera della musica».
Conferma che questo sarà l'ultimo tour dei Tangerine Dream? E come mai?
«Le tournée su scala mondiale sono molto faticose e stressanti, tanto che alla fine pensi di essere nato in aereo anziché sulla terraferma. Avendone fatte per quarantacinque anni, compiendo una dozzina di volte il giro completo del globo, ho deciso che dopo questo tour, che finirà a metà 2015, ci esibiremo solo in singoli eventi speciali o dentro festival di nostro gradimento. Anche perché, personalmente, vorrei dedicarmi ad altri progetti in corso, come l'autobiografia dei Tangerine Dream Force Majeure, che dovrei riuscire a ultimare entro l'anno, o alcune colonne sonore per il cinema.