Una notte con l'Iguana

Esce nelle sale italiane il documentario di Jim Jarmusch dedicato agli Stooges: Detroit, il rumore, la droga e... John Wayne.

Articolo
pop

Per soli due giorni è stato possibile vedere Gimme Danger, il documentario sugli Stooges che Jim Jarmusch ha presentato in anteprima durante la scorsa edizione del Festival di Cannes, e per due giorni il cinema Massimo di Torino ha fatto registrare il tutto esaurito.

C’era da aspettarselo, vista l’aura di culto che circonda la band, senz’altro uno dei gruppi-chiave per l’esplosione, qualche anno più tardi, del fenomeno musicale (e non solo) del punk.

L’approccio di Jarmusch, un regista che nella sua carriera ha spesso mischiato cinema e musica e che è amico di musicisti come John Lurie e Tom Waits, è quello di un fan che senza mezzi termini definisce gli Stooges “il più grande gruppo rock’n’roll di sempre”. Non aspettatevi un film jarmuschiano: è un film molto parlato, dove Iggy ovviamente fa la parte del leone, molto diretto e spesso ironico: non ci sono i silenzi e i non detti tipici dei personaggi a cui Jarmusch ci ha abituato.

È un film sul rock senza quello che ci aspetteremmo da un film del genere: c’è la droga ma è solo raccontata, e le donne hanno un ruolo assolutamente secondario: compaiono solo la sorella dei fratelli Asheton, Nico, che trascorse un paio di settimane nella base degli Stooges (e per la quale Iggy perse la testa, generando fastidio negli altri membri del gruppo) e, per alcuni secondi, la terza moglie di Iggu, durante la cerimonia per l’ingresso degli Stooges nella Rock’n’Roll Hall of Fame.

Gimme Danger è la storia di quattro ragazzi senza arte né parte che, abbandonati gli studi, decidono di formare un gruppo e che, dopo qualche anno di gavetta (il film si sofferma sulle precedenti esperienze di Iggy con The Iguanas e coi Prime Movers), arriva a incidere il primo disco, prodotto da John Cale dei Velvet Underground. The Stooges, pubblicato nel 1969 dalla Elektra, non ha il successo sperato ma si rivelerà qualche anno più tardi una fonte primaria di ispirazione per gruppi come i Ramones, i Dead Boys e i Sex Pistols. È il suono della Detroit bianca, rumoroso come le fabbriche di automobili della città. All’epoca gli Stooges non sono da soli: ci sono anche gli MC5 con il loro radicalismo politico (nel film Iggy prende in giro il loro leader John Sinclair, ricordando quando quest’ultimo ebbe l’idea di fondare le White Panthers) e il loro suono senza compromessi. Negli stessi anni la Motown (che strizza l’occhio al pop) e i Parliament Funkadelic, col loro funk lisergico, rappresentano la Detroit nera, in uno dei periodi più eccitanti della storia musicale della città del Michigan.

I tour degli Stooges in giro per gli Stati Uniti sono selvaggi, e il pubblico ha modo di ammirare la presenza scenica di Iggy, qualcosa che non si era mai visto prima: sempre a torso nudo («Ho sempre avuto la passione per i film dove comparivano i faraoni dell’Antico Egitto, anche loro a torso nudo») e sempre pronto allo stage diving, Iggy costringe gli altri del gruppo a dilatare le canzoni per dargli modo di tornare sul palco.

Se non teniamo conto della reunion del 2003, la storia degli Stooges dura dal 1968 al 1974, il tempo di realizzare tre album e di sciogliersi, senza un soldo in tasca e con gravi problemi di tossicodipendenza. I ricordi sono accompagnati da filmati in bianco e nero delle esibizioni dell’epoca, brevi cartoni animati e spezzoni tratti da programmi televisivi di serie B dell’epoca, soluzione che permette a Jarmusch di alleggerire il fiume di parole di Iggy.

Sì ma John Wayne cosa c’entra? C’entra, perché durante il soggiorno degli Stooges a Los Angeles per le registrazioni del secondo disco, Iggy rischia di essere investito da John Wayne mentre attraversa la strada (l’immagine di due opposti che per qualche secondo si sfiorano è piuttosto divertente). Si esce dal cinema con ancora negli occhi l’immagine di Iggy che, durante un’intervista televisiva, dice «Vorrei essere ricordato come uno che ha dato una mano a spazzare via gli anni Sessanta»: a pensarci bene, è una frase che qualche anno dopo avrebbe potuto dire Johnny Rotten riferendosi agli anni Settanta.

Se hai letto questo articolo, ti potrebbero interessare anche

pop

Una riflessione sulla vita di Quincy Jones, scomparso a 91 anni

pop

Che cosa non perdere (e qualche sorpresa) a C2C 2024, che inizia il 31 ottobre

pop

Fra jazz e pop, un'intervista con la musicista di base a Londra