Un po' di musica italiana da recuperare, oltre le playlist

Sopravvissuti alle playlist di fine anno e a Sanremo, recuperiamo un po' di musica italiana passata inosservata negli ultimi mesi

Playlist alternative musica italiana
L'illustrazione della cover di "Let Your Garden Sleep In" degli Sterbus
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pop

Ok, siete sopravvissuti a Sanremo? A quest’ora, spero proprio di sì. E quindi potete rivolgere i vostri ascolti alle cose che meritano davvero, per le quali c’è l’imbarazzo della scelta. Un imbarazzo che, ahimè, non si risolve neanche affidandosi alle famigerate playlist.

Io non amo le playlist. Una volta non era così: un bilancio esaustivo per dire quali dischi andavano ricordati, e magari recuperati, era un ottimo modo per avere una vista d’insieme sull’anno appena trascorso. Ovviamente con un po’ di polemica sulle dimenticanze o le esaltazioni che non si condividevano, che fosse per gusto personale o per giudizio obiettivo (che poi obiettivo non è mai, ma inutile discuterne).

Solo che una volta, diciamo 20, forse solo 15 anni fa, non c’erano le condizioni attuali: una produzione discografica ipertrofica (a me capita di sentire centinaia di dischi in pochi mesi, la quantità che negli anni Novanta sentivo in un lustro), e la facilità di accesso di tutti a tutto, a costo nullo o quasi, tramite lo streaming. Il primo aspetto fa sì che l’insieme da cui scegliere i dischi dell’anno sia di dimensioni inusitate: un conto è selezionarne i migliori da un totale di cento o duecento, un altro se potenzialmente se ne potrebbero sentire alcune migliaia. Inevitabile a questo punto, dopo aver verificato una mezza dozzina di playlist, avere un insieme di dischi “imperdibili” di svariate decine di titoli, risultato che è esattamente all’opposto di quello che una playlist dovrebbe suggerire: una sintesi in 15, 20 nomi al massimo dell’annata discografica.

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Il fatto che poi chiunque abbia la possibilità di ascoltare tutto moltiplica la possibilità di produrre playlist personali (alcuni ci mettono oltre cento titoli! Che senso ha?) e quindi di avere liste con cui confrontarsi: presto l’esplosione di nomi diventa incontrollabile e il risultato finale è che per avere un’immagine del best annuale 300 dischi sono appena sufficienti.

La cosa paradossale è che, malgrado questa proliferazione incontrollata di nomi, le assenze illustri non mancano mai. Prendiamo ad esempio i titoli italiani, giusto per ridurre un pochino l’ambito di discussione. Il vincitore indubbio del settore è Iosonouncane, che col suo ambizioso Ira aveva creato una hype fortissima fin da subito: non bastano alcune isolate voci fuori dal coro per sminuire la portata di un disco che se non è godibile al 100% è sicuramente importante.

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Un altro nome molto apprezzato (qui siamo in territorio “indie eclettico”) è Amerigo Verardi: il suo Un sogno di Maila ha avuto apprezzamenti trasversali ed è probabilmente l’uscita più significativa del 2021 per il cantautorato indie rock nostrano. A ruota, tanti altri nomi in tante altre chiavi stilistiche: i miei preferiti restano probabilmente i Blak Saagan e la loro miscela di kraut rock e library music, mentre meritavano molta più attenzione veri innovatori come Mace e Venerus, e nel loro rispettivo ambito Smile, Cosmo, Cristina Donà e molti altri ancora.

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Però, però. Sicuri che non ci perdiamo nulla? Figuriamoci. In realtà dischi meritevoli, che per un motivo o per l’altro si sono visti pochissimo nelle playlist 2021, ce ne sono un bel po’. Ne riporto alcuni che mi sono particolarmente piaciuti, senza alcuna pretesa di esaustività, ma per cercare di riequilibrare un pochino la poca hype che hanno immeritatamente avuto.

Il primo che mi viene in mente è Titan Arum di (r), che altri non è che un membro fondatore dei Larsen in libera uscita – con questo moniker ha comunque già oltre una mezza dozzina di album all’attivo. Questo disco, che sicuramente sbaraglia ogni concorrenza per quel che riguarda la confezione grafica (formato a quaderno con poster interno e immagini di delicatissime fantasie floreali a illustrare ogni pezzo), è una raccolta di composizioni in perfetto equilibrio tra sperimentazione elettronica e ammiccamento pop, capaci di ricordare sonorità illustri tra Neu! e Gong come il kitsch della disco o del techno pop anni Ottanta. Nel saper coniugare pulsioni camp a sofisticatezze inusuali, (r) mostra l’identità del vero avanguardista, che non si pone alcun limite nella scelta delle sue influenze stilistiche.

Di tutt’altro tenore la proposta di Sterbus, gruppo romano che fa capo a Emanuele Sterbini e alla sua compagna Dominique D’avanzo. Qui abbiamo a che fare con un gruppo eminentemente pop, che tuttavia è ben lontano dalle scontatezze del genere e anzi dichiara come influenze predominanti irregolari come XTC, Cardiacs e Zappa. Let Your Garden Sleep In è relativamente normalizzato in termini stilistici, e suona decisamente più classico e meno strampalato (in senso positivo!) del suo eccellente predecessore Real Estate / Fake Inverno, del 2018. Dal punto di vista compositivo però è un’impeccabile raccolta di pezzi di puro pop, cantati in inglese, che in Italia è merce veramente rara.

Lo stesso si può dire per i Dana Plato, gruppo ideato da Alessandro Calzavara altrimenti noto con il prolifico moniker di Humpty Dumpty. In questa nuova formazione Calzavara si è avvalso della collaborazione dello straordinario bassista Monster Joe e del paroliere (pure lui in idioma inglese) Fixx. Wrong Quotes, questo il titolo dell’album autoprodotto, si muove in un inusuale territorio tra new wave e psichedelia, come se i Japan incrociassero la strada con Julian Cope, e il risultato è invero qualcosa di stupefacente; pur nel suo richiamare modelli ormai storici, il disco suona più moderno e godibile di tante produzioni di post punk britannico che sono ritenute all’avanguardia.

Il rock d’altronde non è morto, lo sappiamo bene (vero Måneskin?). Il fatto è che c’è modo e modo di fare rock, e non è per forza necessario emulare modelli obsoleti per essere incisivi. Lo dimostrano bene gli Stearica, band torinese non molto prolifica ma sempre di elevato standard qualitativo. Il recente Golem 202020, album ispirato a un film di Paul Wegener del 1920, non sempre si rifà al math rock di matrice noise che è il marchio di fabbrica del gruppo. Al contrario assume movenze più fluide, molto vicine ad atmosfere post rock, che vivono crescendo possenti con esplosioni di catarsi rumorosa. Forse niente di nuovo, certo, non di meno un esito di straordinaria efficacia.

Per ultimo, un disco di impronta decisamente più cantautorale che forse non è stato citato nelle playlist solo per la sua pubblicazione molto tardiva, avvenuta appena prima di Natale. Si tratta di Fogo nero di Toni Bruna, cantautore friulano il cui unico disco precedente era Formìgole, di una decina dieci anni fa. La dolente sensibilità di Bruna, che usa un impianto quasi esclusivamente acustico di chitarra con un occasionale organetto, ha una portata talmente commovente che non ci sono termini di paragone – se non con mostri sacri del folk rock americano come Bill Callahan. L’uso della lingua friulana rende peraltro il disco ancora più anomalo, ma questo non fa che accrescere il suo fascino scabro e oscuro.

Ecco, questi forse non sono dischi da playlist. Ma restano reali testimonianze che l’underground italico sa produrre musica di grande qualità, e chi se ne frega se non viene ricordata nelle classifiche ufficiali.

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