TOdays or not TOdays?

Il racconto della rassegna più contestata dell'estate, e l'intervista al nuovo direttore artistico del festival torinese, Fabio Boasi

TODays 2024
Foto di Matteo Bosonetto (dalla pagina FB del TOdays)
Articolo
pop

A distanza di una settimana dalla chiusura del lunghissimo TOdays 2024, proviamo a fare qualche riflessione su questa edizione, di certo la più dibattuta e polemizzata da quando esiste il festival, che per la prima volta non era organizzata dallo storico deus ex machina Gianluca Gozzi.

TOdays è infatti passato qualche mese fa sotto la responsabilità della Fondazione Reverse, vincitrice del bando indetto dal Comune di Torino la scorsa primavera. 

Oltre a raccontare il festival, l'occasione è dunque buona per fare qualche riflessione in compagnia del boss di Reverse, Fabio Boasi, ideatore e organizzatore del TOdays 2024.

Prima di tutto, un commento sulla qualità del festival. Musicalmente, come sempre: cose buone, a volte ottime, belle sorprese e momenti del tutto trascurabili. La prima cosa da dire è che in realtà i festival sono stati due, ben distinti: il primo, quello che dall’apertura è durato per una settimana, fino a sabato 31; il secondo, l’evento unico della chiusura del 2 settembre, con i Massive Attack (e nessun gruppo di spalla: già questa era una differenza sensibile). Quest’ultima è stata la serata perfetta: un afflusso straordinario di pubblico (8.000 presenze, per l’unico sold out nella nuova location del Parco della Confluenza, che pure è bella capiente); un’esperienza che grazie a visuals e messaggi sul palco trascendeva l’idea di concerto fino a trasformarla in evento dal contenuto fortemente politico; una serie di vocalist in alternanza (dal tono roco e dimesso di Horace Andy alla purezza assoluta di Elizabeth Fraser) da brividi.

Nelle serate precedenti, per contro, la costante è stata l’affluenza modesta. Ha toccato il punto massimo nelle serate con headliner LCD Soundsystem e Mahmood (ma comunque al di sotto delle 4.000 persone) e con vuoti abbastanza desolanti per Arlo Parks e Overmono (poche centinaia di paganti). 

Sulla scarsa risposta del pubblico erano state fatte ipotesi già in tempi non sospetti, e sicuramente la più accreditata rimane quella della formula imposta di fatto dal bando 2024, che – soprattutto per il poco tempo a disposizione per organizzare il tutto: non si fa un festival internazionale a fine agosto cominciando a contattare i gruppi in aprile – diluiva in oltre una settimana quello che era sempre stato concentrato in una serie di giornate consecutive, causando un impegno troppo oneroso (in tempo, energia e denaro) a chiunque, e soprattutto scoraggiando gli arrivi da fuori città – oltre tutto, con questo modello un abbonamento non aveva molta attrattiva. 

Assurdo, se si pensa che l’intenzione della città di Torino era proprio quella di ampliare il bacino di utenza del festival. In aggiunta a ciò, gli abbinamenti artistici delle varie serate si sono rivelati fin troppo eclettici: non molta gente ha l’apertura mentale per apprezzare la stessa sera la black music inglese, l’ennesima riedizione del post punk, un po’ di cantautorato indie e un set strumentale di elettronica cosmica (e questo è solo un esempio). Altro caso paradossale: nella stessa serata, chi era venuto a vedere i Fast Animals Slow Kids se n’è andato subito dopo il concerto, mentre nello stesso momento arrivavano i fan di Jesus & Mary Chain che avrebbero suonato subito dopo…

C’è poi la questione, che secondo me ha avuto un impatto relativo dal punto di vista numerico, del boicottaggio di questa edizione da parte di una schiera di appassionati, che avrebbero snobbato il nuovo modello imposto dal bando per solidarietà con la precedente gestione. Anche se sono convinto che il Comune di Torino abbia gestito malissimo la vicenda fin dall’inizio (e su questo non torneremo: i dati che stiamo commentando peraltro suggeriscono che la scelta strategica della giunta non abbia ripagato), e nel rispetto delle scelte di ognuno, un atteggiamento di rifiuto totale mi è sempre sembrato un po’ estremo. 

Anche perché fondamentalmente, a conti fatti, non è vero che questa nuova edizione del TOdays abbia drammaticamente snaturato lo spirito del festival in termini di contenuti, se non nel bias di alcuni: la maggioranza degli artisti fa parte del mondo indie, e avrebbe benissimo potuto presenziare in un’edizione precedente, e neanche la tanto criticata presenza di Mahmood (che tra l’altro non ha affatto sfigurato, con un concerto tutto suonato, ben cantato e senza autotune, e un impatto scenico assolutamente dignitoso) sarebbe stata fuori luogo – a meno che uno abbia rimosso le presenze passate di gente come Tash Sultana, L’Impératrice o M83…

Insomma, come al solito una montagna di polemiche eccessive che hanno messo in secondo piano la sostanza puramente musicale del festival. Eppure di cose da ricordare ce ne sarebbero… 

Tra tutte, almeno la performance straordinaria di LCD Soundsystem, di gran lunga il miglior live della rassegna, che ha mostrato, a distanza di oltre vent’anni dagli esordi, di non aver perso nulla della potenza di quella magica miscela di indie, punk e dance: percussivo ma melodico, potente ma ballabile, il concerto di James Murphy (a proposito: se ne parla poco, ma lui è un cantante stratosferico) ha forse avuto una scaletta un po’ troppo prevedibile, ma nell’effetto complessivo è stato semplicemente portentoso. 

Molto bene anche la voce vellutata di Arlo Parks (anche se raramente abbiamo visto qualcuno così mal vestito sul palco del TOdays), relativamente interessanti gli English Teacher, sempre impeccabili i C’mon Tigre. Pollice verso per il techno-pop scontatissimo e di quarta mano di Nation of Language, per il noioso iceberg elettronico dei Tangerine Dream in diretta dagli anni Settanta, e per l’imbarazzante banalità armonica di Jeremiah Fraites, al cui cospetto Giovanni Allevi appare un genio.

Le sorprese migliori quest’anno sono venute dall’Africa: molto intriganti i marocchini Bab L’Bluz, con un sound che traspone il jazz rock nella tradizione maghrebina, e i Jupiter & Okwess, congolesi, che col loro afro beat scatenato hanno decisamente vinto la palma di band più funky del festival, e sono riusciti (per la presumibile gioia degli assessori) a fa ballare direttamente sul palco gente del pubblico, bambini inclusi.

E veniamo quindi alla  chiacchierata con Fabio Boasi, Mr. Reverse, che ci dice la sua su com’è andato questo TOdays. Va detto che Reverse non ha brillato nella comunicazione nei mesi precedenti il festival, peccando un tantino di arroganza e dando per scontato un successo che, alla prova dei fatti, non è certo stato indiscutibile. 

Boasi ci è parso stavolta molto più onesto e realista, e questo ci sembra quanto meno apprezzabile; per il resto, ognuno si faccia la sua idea.

Iniziamo con un bilancio generale del TOdays 2024, dal tuo punto di vista.

«Devo dire che nel complesso mi sono molto divertito, e che portare a casa questo festival è stata una grande soddisfazione. Considerando il poco tempo che avevamo a disposizione, abbiamo fatto un bel lavoro. E vedere certi concerti epocali, come quello di LCD Soundsystem, ripaga per tutti gli sforzi fatti in questi ultimi mesi. Senza contare altri nomi che magari potevano sembrare minori, ma che a me sono piaciuti molto, dai Nation of Language agli English Teacher ad Arlo Parks…».

Ti aspettavi magari un afflusso di pubblico maggiore?

«Onestamente no, abbiamo avuto un totale di 24.000 presenze (inclusi gli eventi di contorno, che hanno avuto un ottimo riscontro) e lo riteniamo un buon risultato. Le serate a bassa affluenza erano in qualche modo preventivate, abbiamo avuto un migliaio di persone per Arlo Parks e qualcosa di meno per Overmono, ma se pensi che erano serate infrasettimanali e gli headliner erano di nicchia, non sono andate male. Bisogna vedere il risultato nella sua totalità, è chiaro che siamo arrivati al pareggio grazie al sold out dei Massive Attack, ma se solo avessimo potuto disporre di due mesi di prevendita in più le cose sarebbero andate sicuramente meglio. E credo che anche il costo medio del biglietto fosse competitivo, considerando che c’è anche stata una serata ad accesso gratuito».

La comunicazione dei mesi scorsi però aveva fatto crescere molto le aspettative, quasi che ci si dovesse aspettare un successo tale da sovrastare tutte le precedenti edizioni.

«Ci siamo resi conto che stavamo mettendo in piedi un modello completamente nuovo, e quindi questa era l’edizione zero del TOdays del futuro. Sono stato nel pubblico del TOdays di Gozzi fino all’anno scorso, ma qui si stava approntando una cosa nuova, che andava ben oltre». 

«Ci siamo resi conto che stavamo mettendo in piedi un modello completamente nuovo, e quindi questa era l’edizione zero del TOdays del futuro».

«La scelta di un artista dal taglio più pop come Mahmood, ad esempio, che era un vincolo del bando. La nuova location, che era tutta da scoprire. Considera che non ci sono in città molti festival estivi che presentano 4 o 5 band diverse la stessa sera. C’è il C2C, che però è invernale, c’è il Kappa, che però è molto più verticale, focalizzato su un genere ben preciso. Una cosa come il TOdays 2024 non era mai stata fatta».

Si poteva però fare qualcosa di più per favorire un pubblico più ampio? Ad esempio, le line up delle varie serate non erano un po’ troppo eterogenee?

«Beh, considera che abbiamo avuto l’affidamento ufficiale il 18 aprile, e il primo annuncio è uscito il 27 maggio. In altre parole, il tempo a disposizione è stata la criticità maggiore. Trovare in così poco tempo le giuste disponibilità degli artisti è stato estremamente complicato».

«Poi c’è un altro discorso, che è quello di superare le etichette e considerare una line up eclettica non una limitazione, ma un’opportunità. A me è capitato, all’estero, di vedere in un altro festival Interpol e Dua Lipa nella stessa sera, e l’ho apprezzato. Il pubblico da queste parti non sembra ancora pronto per proposte di questo tipo, quindi c’è del lavoro da fare, ma piuttosto che organizzare delle serate verticali molto omogenee accetto volentieri la sfida per il futuro».

A breve dovrebbe uscire il nuovo bando del Comune di Torino per l’appalto del prossimo anno. C’è qualche consiglio che ti sentiresti di dover dare, per le nuove regole? Sembra, per dire, che questa formula del festival su tanti giorni non abbia convinto nessuno…

«Quello è sicuramente il punto che va assolutamente rivisto. Un periodo così lungo non favorisce il turismo e quest’anno abbiamo risentito del mancato flusso di gente da fuori; quindi, è necessario tornare a una formula di durata più breve. Per il resto, credo che la linea attuale vada bene e si debba mantenere per il futuro; esistono già altri festival più verticali tipo Kappa, e non mi sembra il caso di fare una replica del Flowers. Quindi avanti con questa linea per il TOdays».

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