Ascoltatori appassionati, collezionisti irriducibili, indomiti sognatori, enciclopedie viventi: dopo i tanti uomini e donne che, pur avendo un altro lavoro, fanno dei dischi e della musica una delle attività più importanti della loro quotidianità, Selfie con dischi parte ora con la sua seconda serie, alla scoperta delle collezioni di chi con la musica ci lavora tutti i giorni: giornalisti, critici, addetti stampa…
Ai loro mondi di musica, professionali ma anche privati e personali, dedichiamo un veloce ritratto in cui possono raccontare se stessi, la loro passione e, soprattutto, suggerirci un sacco di ascolti!
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Dopo Giulia Cavaliere e Paolo Besana, Carlo Bordone, Federico Savini tocca ora a Luca Collepiccolo.
Luca Collepiccolo, 48 anni, Roma, professione "discografico" (detesto la terminologia)
Dischi posseduti: Indicativamente 7mila CD e 3mila LP, ma da sottoporre a rigoroso inventario.
Generi preferiti: Jazz, rare groove, psychedelia, world, elettronica organica, post-punk, american primitive.
Quante ore di musica ascolti mediamente al giorno e in che momenti?
«Sono costantemente sottoposto ad un fuoco di fila, sia nelle ore d'ufficio – per ovvi motivi – che in quelle casalinghe, dove gli ascolti diventano più scientifici. Direi che ininterrottamente dalle 10 alle 20 mi cibo di musica a un livello più o meno cosciente».
L’ascolto professionale e quello per piacere sono momenti distinti o si mescolano nella giornata?
«I momenti si inseguono, chiaramente in ufficio convivono più anime e spesso una di queste rischia di essere preponderante. Ci sono poi gli ascolti pilotati, quelli che si fanno di comune accordo per stabilire le potenzialità di un disco prioritario o – nel caso di una produzione interna o ristampa prestigiosa – per aver conferma della bontà dell'operazione. Tornando a casa il più classico dei paradossi è il ritiro nella sala ascolti privata. In casa si chiedono come non ne abbia mai abbastanza, in realtà esistono due piani di ascolti: uno professionale, distaccato se vogliamo, e un altro più passionale. Esiste anche la terza via: un tempo era dedicata alle trasmissioni radiofoniche, oggi ai sempre più sparuti DJ set».
C’è un formato (vinile, cd) che preferisci? Nel caso perché?
«La riconversione progressiva della mia discografia al formato vinile è programmatica ed estenuante. Mi chiedo ancora come abbia potuto negli anni appassionarmi a quel – pur comodo – oggetto in plastica, che in realtà è la replica di un avvenimento maggiore, sia dal punto di vista estetico che contenutistico. Oggi vivo nel paradosso, osservo la mia vecchia collezione di cd e mi interrogo sulla loro autenticità. Una forma mentis esasperata da alcuni recenti atteggiamenti, come l'adesione pedissequa a un altro modello: quello dell'oggetto vintage, finanche raro. Nella realtà dei fatti i due formati dovrebbero convivere, data la quantità di materiale non reperibile in digitale e viceversa».
«La riconversione progressiva della mia discografia al formato vinile è programmatica ed estenuante. Mi chiedo ancora come abbia potuto negli anni appassionarmi a quel – pur comodo – oggetto in plastica, che in realtà è la replica di un avvenimento maggiore, sia dal punto di vista estetico che contenutistico».
Quando hai comprato il tuo primo disco? Ti ricordi qual era e ce lo racconti brevemente?
«Lo sforzo potrebbe essere sovrumano per una mente così piccola… Indicativamente nel momento in cui ho fatto la cresima – prima che mi allontanassi dunque dal mondo ecclesiastico (ride) – uno zio materno mi regalò un ottimo Technics per principianti, completo di piatto e doppia piastra. Assieme a quello credo un pacchetto di vinili wave/pop, tra cui i Talk Talk (che dopo la svolta post-rock sarebbero divenuti uno dei miei gruppi preferiti di sempre) di The Colour Of Spring ed i Simply Red dell'album di debutto».
Dove acquisti principalmente i dischi?
«Nonostante sia un addetto ai lavori non posso che rispondere "in viaggio". Due pellegrinaggi importanti per anno, la fiera di Utrecht e la visita ai familiari di mia moglie a Tokyo».
Esiste un disco che hai amato tanto e che ora non riesci più ad ascoltare, che non ti piace più? Quale e perché?
«Farei riferimento a un pacchetto di ascolti. In particolare a certi dischi del progressive inglese che ho completamente rinnegato per estetica, dimensioni e portamento. Citerei Close To The Edge degli Yes, ma senza fare troppi panegirici».
Possedendo tutti quei dischi, quante volte in media ascolti in un anno un disco nuovo?
«Se non lo passo al setaccio almeno una mezza dozzina di volte un disco nuovo non potrà mai entrare nelle mie grazie, mi sembra doveroso immagazzinarlo».
Ci sono dischi recenti che pensi ascolterai ancora tra 10 anni?
«La mia passione si è sviluppata spesso parallelamente alla scoperta di marchi indipendenti. Ad oggi direi che le pubblicazioni della International Anthem di Chicago rappresentano un tesoro prezioso, ben spendibile anche negli anni a venire».
Quali sono i tre dischi che più hai ascoltato (o ritieni di avere ascoltato) nella tua vita di ascoltatore?
«In prima persona rischio di tradire me stesso partecipando a questa lotteria. Ma non partecipare sarebbe vile e vorrebbe anche dire disconoscere le proprie radici musicali, pertanto: In The Court Of the Crimson King di Fripp & sodali, Reign In Blood degli Slayer e Spiderland degli Slint».
Dovessi consigliare un solo disco (lo so, uno è tremendo, ma è un gioco, dai) della tua collezione a una persona che non lo conosce, quale sarebbe?
«Non voglio soffermarmi troppo sulla questione, ordunque: Lawrence Of Newark di Larry Young».