Rudeboy, l'altra swinging London

Rudeboy: The Story of Trojan Records, in anteprima al Seeyousound, racconta la storia dell'etichetta responsabile del successo della musica giamaicana in UK

Rudeboy - trojan records - documentario
Articolo
pop

Rudeboy: The Story of Trojan Records è il documentario celebrativo del cinquantesimo anniversario dell’etichetta discografica londinese che, a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, divenne la “Motown del reggae”: lo si può vedere in prima visione per l’Italia al Seeyousound Festival di Torino.

I 10 film da non perdere al Seeyousound 2019

Il cinquantesimo anniversario della Trojan Records arriva in contemporanea allo scandalo Windrush e in un periodo in cui il multiculturalismo è sotto attacco: nel 1948 la nave Windrush Empire portò in Inghilterra i primi emigranti provenienti dalla Giamaica e il fenomeno continuò nei due decenni seguenti, portando sul suolo inglese quasi duecentomila persone da tutte le Indie Occidentali. I bambini arrivati in quegli anni sono conosciuti come la Windrush generation, sbarcati senza documenti, non registrati all’anagrafe e quindi privi della cittadinanza britannica; oggi ci sono migliaia di persone che hanno lavorato e pagato le tasse nel Regno Unito ma che, tecnicamente, sono immigrate illegali. Il problema ha sollevato indignazione, anche per via della tolleranza zero messa in atto dagli ultimi due governi conservatori, decisione peraltro non secondaria nella vittoria della Brexit al referendum.

Uno dei punti forti del documentario di Nicolas Jack Davies  è proprio la celebrazione dell’immenso contributo dato dalla comunità caraibica alla cultura britannica: in un’intervista il regista ha spiegato di aver voluto illuminare «l’altra faccia della swinging, hippy London, quella a cui la maggior parte della popolazione nera pensa quando immagina la rivoluzione culturale degli anni Sessanta, una storia che, lungi dall’essere terminata, continua ad avere un effetto duraturo sulle generazioni che si sono succedute».

Nata nel 1967 ma operativa dall’anno seguente, la Trojan Records fu soprattutto un’etichetta distributrice di 45 giri giamaicani: com’è ricordato nel documentario, no Jamaica, no Trojan: il suo grande merito fu quello di far conoscere lo ska, il rocksteady e il reggae ai giovani inglesi, portando alla ribalta i nomi di Desmond Dekker, Toots & The Maytals, Ken Boothe (la sua "Everything I Own" arrivò alla prima posizione della classifica pop britannica nel 1974), Lee “Scratch” Perry, Dandy Livingstone, John HoltJimmy Cliff e Bob Andy & Marcia Griffiths, imponendo per un certo periodo canzoni con l’uso di arrangiamenti d’archi per andare maggiormente incontro ai gusti di un pubblico bianco più vasto, da cui la definizione di “Motown del reggae”.

Rudeboy
Don Letts

Trojan Records prese il nome dal camion scoperto con la scritta The Trojan sulle fiancate usato dal grande produttore Duke Reid per trasportare il suo sound system in giro per la Giamaica. Le sue produzioni, quelle di Bunny Lee (intervistato nel documentario), di Harry Johnson, di Leslie Kong e del già citato Perry furono la benzina per l’incendio scatenato da Lee Gopthal, proprietario (fino al 1972 insieme Chris Blackwell della Island Records) della Trojan. Dal 1968 al 1975, anno del fallimento economico, la label giocò un ruolo primario nella cultura giovanile inglese, quella della classe operaia, degli skinhead, «la versione fashion, non quella fascista che emerse successivamente», come ricorda Don Letts in uno spezzone d’intervista.

Rudeboy - documentario - Trojan Records

Rudeboy è un documentario celebrativo girato su commissione della BMG, attuale proprietaria del catalogo dell’etichetta, e quindi non privo di limiti: non aggiunge nulla di inedito a una storia che gli appassionati già conoscono, la parte sul fallimento economico è solo accennata, a volte le parti girate con attori odierni in assenza di reperti visivi di qualità accettabile risultano un po’ troppo leccate, sognanti, con un eccessivo uso di slow motion: del resto il regista ha girato alcuni video dei Coldplay e degli insopportabili Mumford and Sons.

Rudeboy
Roy Ellis

Malgrado queste pecche il risultato è una lettera d’amore a uno dei primi movimenti culturali multirazziali sviluppatisi in Inghilterra e ha il pregio di avere una gran colonna sonora. 

«I semi per la società multiculturale in cui viviamo oggi sono germogliati sulle piste da ballo di quei giorni»– Don Letts

Sarà possibile vedere Rudeboy – The story of Trojan Records il 30 gennaio alle 21.20 e il 2 febbraio alle 22.45 nella Sala 3 del cinema Massimo.

Il Giornale della Musica è Media Partner di Seeyousound Festival.

Se hai letto questo articolo, ti potrebbero interessare anche

pop

Una riflessione sulla vita di Quincy Jones, scomparso a 91 anni

pop

Che cosa non perdere (e qualche sorpresa) a C2C 2024, che inizia il 31 ottobre

pop

Fra jazz e pop, un'intervista con la musicista di base a Londra