Riscoprire la RED Records

Marco Pennisi racconta il rilancio di una delle etichette storiche del jazz italiano, fra ristampe e fotografie

Red Records
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Tra le storiche etichette italiane di jazz, la RED Records - fondata nel 1976 da Sergio Veschi con la collaborazione dello storico e compianto promoter Alberto Alberti - è quella che ha avuto in fondo una storia più “carsica”. 

Guadagnatasi la fiducia di molti artisti americani e italiani coinvolti nella temperie creativa di quegli anni - qui trovate l’intera vicenda - ha poi attraversato dagli anni Novanta una fase più “conservatrice”, lasciando non ristampati diversi titoli importanti. 

È solo negli ultimi anni, grazie all’iniziativa dello storico grafico della RED, Marco Pennisi, che si è messa mano al catalogo con un ambizioso progetto di rilancio che parte dalla ristampa in vinile di altissima qualità e con una particolare cura grafica.

Tra i dischi più recenti citiamo le ristampe di un gioiello come African Bass del contrabbassista sudafricano Johnny Dyani o di un classico della discografia “italiana” di Chet Baker come At Capolinea, ma anche il volume Standards. Lost And Found 1, che vede Gato Barbieri alle prese con una ritmica tutta italiana (D’Andrea/Tommaso/Pignatelli) nella primavera del 1968.



Abbiamo fatto una chiacchierata con Pennisi, per farci raccontare meglio questo importante progetto che, in qualche modo, restituisce la completezza di quel percorso e, come vedremo, prova a dare continuità.

Inizierei parlando del “nuovo corso” della RED, da quando nel 2021 hai avuto l’idea di valorizzare l’enorme catalogo. Come sta andando?

«Mi sono dato cinque anni di tempo per “rispondermi” a questa domanda. Considera che non mi sono mai occupato di un’attività commerciale, che il mercato discografico è in fortissima contrazione e che di come si gestisce un’etichetta ne sapevo davvero poco. Sto imparando man mano che vado avanti e dipende molto dagli obiettivi che ci si pongono. I miei erano minimi: non farsi troppo male, ma con un approccio al progetto dove la musica viene prima dei conti». 

«Quindi l’idea che ad oggi, dopo qualche anno, la Red si autosostenga è già per me un gran risultato. Per chi l’ha vissuta sin dalle sue origini, la RED ha avuto un importante ruolo nel raccontare la vivace convivenza di pratiche e linguaggi tra gli anni Settanta e gli Ottanta, mentre magari chi l’ha frequentata dopo, negli anni dei CD, non è difficile che ne identificasse più l’impronta mainstream – anche perché alcuni dischi del primo periodo non erano stati riproposti in cd».

A questo proposito, credi che la riproposizione di tante gemme semi-dimenticate del catalogo possa restituire una sorta di ecumenismo dell’etichetta?

«Senz’altro. L’obiettivo è proprio quello di valorizzare le tante “voci” della RED. Il lavoro che stiamo facendo è di restituzione al pubblico, nella miglior forma possibile (o economicamente sostenibile) di quanto presente nel catalogo storico. Partendo dai master su bobina e dal loro restauro, con nuovo mastering, fino alla cura editoriale del prodotto con note di copertina in doppia lingua, integrazione dell’apparato iconografico ove possibile, aggiunta di eventuale materiale inedito. Il processo è molto lungo. La settimana scorsa ho portato a “cuocere”, oltre al master pubblicato, altri quattro nastri di una registrazione di Bob Berg della stessa session. Capire e valutare se, e cosa, eventualmente aggiungere alla ripubblicazione, richiede tempo e diversi livelli di valutazione (artistica, audio, economica, etc.)».

Per i collezionisti, anche internazionali, la RED è insieme a Carosello, Horo, e ovviamente alla Black Saint/Soul Note, una delle etichette chiave di quel momento di grande attenzione e anche coraggio, direi, in cui le label indipendenti italiane giocavano un ruolo decisivo nella documentazione del jazz tra Stati Uniti, Europa e Italia. Quale secondo te è una caratteristica della RED che la rende unica in questo panorama?

«Ex-post le risposte possono essere più di una. Di primo acchito mi verrebbe da dire che l’unicità sta anche nel percorso eclettico prima di trovare una precisa identità, che ha portato a documentare cose diversissime, spesso audaci. Poi, l’intuizione di dare spazio ai nomi emergenti del jazz italiano, penso ai tanti dischi di Franco D’Andrea, a quelli di Giovanni Tommaso e Massimo Urbani in un preciso arco temporale». 

«Ancora, i grandi sassofonisti colti all’apice della carriera, penso a Henderson, a Watson, a Woods, Bergonzi, Rouse con gli Sphere, il 29th. L’apporto di Alberto Alberti, che da promoter di molti artisti e attivo anche come direttore artistico di festival, sapeva cogliere e suggerire».

A proposito di collezionisti, ti sei fatto un’idea di chi sono gli ascoltatori e le ascoltatrici RED nel 2025?

«Sul prodotto fisico ho l’impressione che sia un ascoltatore colto, competente ed anche esigente. I pubblici sono davvero molto diversi, già tra chi ascolta vinile e chi cd. Il digitale poi, fa storia a sé. C’è coincidenza solo sui titoli forti e sulle novità (Baker, Henderson, Pepper, eccetera). Già tra i diversi supporti e i diversi paesi in cui siamo distribuiti c’è tendenza a sparigliare. Interessante e con risultati sorprendenti è il lavoro sulle “nicchie”. Sono considerazioni a posteriori, a cose fatte: decidere di ripubblicare James Williams o Johnny Dyani o Kahil El’Zabar lo fai perché ritieni che meritino. Poi ti accorgi che il tuo interesse coincide con quello di un certo pubblico, che non avevi certezza esistesse».

Tra i dischi che recentemente hanno più colpito chi ascolta jazz, c’è questo Gato Barbieri romano di Standards - Lost And Found. Come nasce questa pubblicazione?

«Le registrazioni storiche - questa e altre - hanno tempi di gestazione di molti mesi. Una volta recuperati i master, inizia la ricerca degli aventi diritto, la definizione del repertorio che hai tra le mani, la negoziazione per definire i compensi, la definizione del contratto. In parallelo devi valutare i costi del restauro del materiale audio e del nuovo missaggio. Nel caso specifico di Gato, dalla prima mail a quella con il contratto firmato da parte di Laura Barbieri, sono passati sei mesi. L’adesione al progetto di D’Andrea è Tommaso è stata entusiastica e iper-collaborativa. Franco in particolar modo ha seguito passo per passo l’avanzamento di tutta la complessa messa a terra, con costanti telefonate prima e di sollecito non appena inviata in duplicazione la musica. Ci teneva quasi più di me a dar la luce a questa musica. Mi è stato di esempio e mi ha spronato per fervore e passione: a ogni telefonata, aggiungeva un dettaglio, un aneddoto su Gato».

red gato barbieri

Anche di Chet Baker avete scovato questo concerto inedito a Foggia con Philip Catherine che ora è disponibile con il titolo Signature, che si aggiunge a Intimacy, catturato a Catania. Cosa raccontano, non solo di Baker, ma anche dell’Italia del jazz del tempo, questi dischi?

«Di un’offerta di concerti davvero capillare ed estesissima. Da giovane collaboravo a un’associazione jazz di Acireale che oltre ad un festival estivo aveva anche una rassegna invernale e concerti in jazz club. Ecco, solo in Sicilia esistevano almeno 6/7 associazioni analoghe. E non c’era regione che non proponesse qualcosa. Ricordo che in settembre una buona parte di Musica Jazz era intitolata “Speciale Festival” con articolati resoconti di quanto ascoltato in estate. Le occasioni e i luoghi per ascoltare jazz erano incredibili e la comunità jazzofila (giornalisti, musicisti, operatori, promoter, service) talmente estesa da riempire una rubrica telefonica fitta dalla a alla zeta, che conservo ancora. Non c’era testata, quotidiani o periodici, che non avesse spazio dedicato a concerti e musica. Prima di dimenticarmi, è obbligatorio citare il grandissimo lavoro di Rinaldo Donati che grande dedizione, attenzione, cura con l’aiuto di Fabrizio Fini danno nuova vita alle registrazioni della RED; troppo poco parlare di loro come ingegneri del suono».

Nella sezione “Archive” del bel sito RED si può scorrere la lista dei dischi fuori catalogo o attualmente non disponibili, se non, in qualche caso, in digitale. Sono titoli che fanno venire l’acquolina in bocca a qualsiasi appassionato, da Axieme di Steve Lacy a African Bass di Johnny Dyani, passando per Hemphill/Wadud, Walter Davis Jr. e molti altri… Come procede questa operazione di recupero?

«Molto bene, con i limiti che il modo di procedere sopra descritto (nastri, mastering, note di copertina, traduzioni) impone. Partiamo sempre dalla musica e dalle lavorazioni audio e a cascata, il resto. Tieni conto che i file audio sono lavorati in modo differenziato per vinile, CD e in HD per il digitale. Poi vanno incaricati gli autori per i testi. Infine, impaginare, passare dalla Siae e andare in duplicazione. Molti titoli sono già pronti per essere rilasciati alla stampa. Di altri mancano le note che saranno commissionate in prossimità della pubblicazione. Il piano editoriale per i prossimi due anni è definito al 60/70% sulle riedizioni, ma viene convalidato solo pochi mesi prima dell’anno, sia per lasciare spazio a opportunità che si presentano di nuove produzioni, sia per la difficoltà di chiudere molti progetti di registrazioni storiche, che “cadono” per diversi motivi, da quelle strettamente economiche a quelle legate alla difficoltà di raggiungere tutti gli aventi diritto». 

«A complicare la cosa, e a rendere ancor più fluida la programmazione, man mano che i CD prodotti dalla precedente proprietà vanno in esaurimento, ha senso ripubblicarli rimettendo mano alla parte audio e completando quella editoriale. Ma rispondo puntualmente: Steve Lacy è completo e pronto, come Walter Davis jr, la big band di Cuppini, Charles Davis, l’ultimo Billy Higgins, Beaver Harris, Anthony Davis, Liebman/D’Andrea, Stafford James. Altri titoli che prima o poi saranno ripubblicati, sono già masterizzati, ma incompleti dal lato redazionale».

Red records
La squadra di Red Records (foto Curti Parini)

Ci sono musiciste o musicisti italiani di generazioni più recenti che ti piacerebbe vedere nel catalogo RED?

«A breve pubblicheremo (non in ordine di uscita) un energico quartetto di Michele Polga con Lanzoni, Evangelista e Guerra; un progetto di Tommaso Perazzo e Marcello Cardillo con Buster Williams, e un nuovo lavoro di Francesco Zampini in trio con Jeff Ballard alla batteria».

Con il progetto Sounding Pictures state documentando anche l’eccellenza fotografica nel jazz italiano: ci parli di questa collana?

«I vinili della Red sono tutti gatefold. Aprendo l’album le due ante ospitano una foto di 62cm x 31, una dimensione potente. Ho pensato sarebbe stato bello fare una serie di volumi fotografici dello stesso formato del vinile, di solo foto e didascalie. Monografici, a documentare gli scatti più rappresentativi. Mirko Boscolo rientrato da Antigua dove ha vissuto a lungo, durante una cena mi ha espresso il desiderio di pubblicare i suoi lavori e la cosa ha acceso la miccia a quel progetto fino a quel momento latente. Elena Carminati e Carlo Verri (amici veri) quando ho acquisito la Red, di slancio, mi hanno messo a disposizione il loro archivio fotografico ed erano nella mia testa già della partita. Roberto Polillo si è proposto con entusiasmo e da un paio d’anni collaboriamo assiduamente. È ancora visitabile una sua mostra fotografica, curata da me, al castello di Casale Monferrato che ha lo stesso titolo della collana, Sounding Pictures. Le immagini molto spesso, suonano e non mi riferisco al ritratto del musicista nell’atto di suonare. Suonano i ritratti, le foto rubate, gli sguardi o i gesti. E da qui il titolo della collana».

Questo si ricollega anche a quanto dicevamo sull’Italia del jazz negli anni passati…

«Dal nostro paese sono transitati davvero tutti i musicisti di livello e di ogni indirizzo, dagli anni sessanta fino a ieri. Documentare tutto questo penso sia importante e ancor di più valorizzare il lavoro dei fotografi. Ad eccezione del compianto Riccardo Schwamenthal, per il quale la selezione delle immagini l’ho fatta con il figlio, lavorare spalla a spalla con i fotografi sia per la scelta che per l’impaginazione delle immagini, la dimensione, la sequenza, i tagli, il ritmo del volume è un’esperienza appagante e ci si prende il tempo che serve. Elemento comune tra i fotografi, la grande passione per il jazz: nessuno ha mai campato di questo e quasi tutti nella vita si occupavano anche d’altro. Trasferte e viaggi spesso a proprie spese per fare click sotto un palco. Sguardi diversi su protagonisti diversi. L’idea è anche di portare in mostra in giro per l’Italia volumi e foto. Carminati, Polillo, Verri sono statii ospiti di Padova Jazz, Verri a Novara Jazz, Polillo come detto è ora a Casale Monferrato».

Prossime sorprese, inediti?

«Beh, le sorprese si fanno, non si annunciano! Nel 2025 uscirà il secondo volume doppio vinile (e il CD) di Standards Lost And Found di Gato per il Record Store Day. Per la stessa data in aprile, un inedito di Gerry Mulligan, Nocturne, in quartetto con Harold Danko, Dean Johnson e Ron Vincent (doppio vinile e CD). A completare (per ora) i vinili un trio cui tengo molto di Hakan Başar, giovanissimo pianista turco inciso in studio recentemente, e la ristampa di Duo “Bones”di Kai Winding con Piana, Pieranunzi, Tommaso e De Piscopo prevista a settembre. In CD oltre ai titoli “italiani” già citati, il terzo capitolo di Mani Padme, Voo, la ristampa del piano solo di Walter Davis jr e un quartetto newyorkese, contratto firmato, ma ancora da definire la data di registrazione. Questo, sveliamolo a cose fatte, che dici?»

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