Manca un anno esatto al 2017: un secolo fa la musica del Novecento conosceva il primo vero scossone “popular” della sua storia, o, almeno, della storia come la conosciamo fino a quando non intervenne la fonofissazione, e dunque la possibilità di incapsulare in supporti fisici ciò che naturalmente sarebbe destinato a sparire nel nulla, la musica. Ne 1917 fu pubblicato il primo disco della Original Dixieland Jass Band, scritto così, con due “esse”. Chissà se qualcuno ricorderà, nel prevedibile profluvio di celebrazioni, ricordi e “speciali”, che quella stessa data segnò anche l'inizio di uno di quei piccoli imperi commerciali musicali a base italiana che non poche energie contribuirono a muovere, oltre Oceano.
Nel 1917 i Quattro Siciliani incisero il loro primo 78 giri. Chi erano mai, i protagonisti del Quartetto oggi tutto da riscoprire, ma che all'epoca era una sorta di imprescindibile sigillo di “autenticità” e “nostalgia” per i milioni di emigrati dallo Stivale? Si chiamavano Rosario Catalano, Giuseppe Tarantola, Carmelo Ferruggia e Girolamo Tumbarello. Nell'ordine, suonavano: mandolino, clarinetto, chitarra, contrabbasso o tuba. Classici strumenti da migranti: le corde e i fiati, retaggio di alfabetizzazione musicale di base nei saloni di barberia, nei negozi di sartoria, nelle bande, nei nascenti circoli mandolinistici.
Non furono i primi ad incidere per il mercato “etnico” dei 78 giri destinati agli italiani: prima di loro c'erano stati i Three Rascals, o “I Tre vagabondi”, che avevano sperimentato l'incisione meccanica già nel 1908. I Quattro Siciliani a un certo punto diventarono anche, con l'aggiunta di flicorno e cornetta, I Sei Siciliani. O I Sei Mafiusi, con la “u”, tanto per restare nell'ambito della costruzione a posteriori di una “tipicità” da rivendere a chi si trovava in tasca qualche soldo da salariato o da piccolo commerciante, e poteva permettersi il piccolo lusso di farsi venire nostalgia delle note d'Italia.
Note d'Italia... o supposte tali: perché la grande invenzione dei mercati etnici per immigrati fu di gettare nel calderone tutto ciò che poteva essere o sembrare tipico e folklorico, a prescindere dall'origine, si potrebbe dire: tant'è che i Quattro Siciliani avevano in repertorio non certo canti alla carrettiera, ma polke, valzer e mazurche (dunque i “nuovi” strumentali per i balli di coppia importati dal Centro Europa, che poi assieme al tango e al foxtrot diventarono la base del ballo cosiddetto “liscio”) e tarantelle, non certo un'espressione folklorica della Trinacria.
Trovate tutti questi dati, e molti altri ancora, in un notevole libro che la studiosa Giuliana Fugazzotto è riuscita a “costruire” accedendo a un fondo documentario inedito: I Quattro Siciliani / La straordinaria vicenda di Rosario Catalano e del suo quartetto nell'America degli anni Venti, pubblicato da Nota nella collana Geos CD Book. Al libro è acclusa una precisissima discografia, curata da Richard K. Spottswood, e un eccellente cd con ventitré masterizzazioni dal catalogo dei Quattro siciliani, che coprono esattamente un decennio, dal 1917 di "Josephine al mare", a "Eres el segundo", valzer accreditato a “Los Cuatro Sicilianos”. Non è un errore: nell'incrociarsi di comunità immigrate, accadde anche, almeno finché durarono le incisioni “etniche” ( e cioè all'incirca fino al 1935), incisioni di gruppi “tipici” di un paese fossero rivendute ad altre comunità, fatto salvo il tradurre il nome nella lingua necessaria. Ecco così che troviamo dischi dei Quattro siciliani in sloveno, lituano, russo...
Com'era, la musica dei Quattro Siciliani, presto imitata da gruppi quali i Quattro Diavoli, i Quattro Buffoni, i Quattro Nuovi Siciliani? Erano note fortemente strutturate per il ballo e regolari, dalla scansione ritmica lontana dalla nascente flessuosità delle coeve musiche afroamericane, ma che già nel moto più libero e con abbellimenti del clarinetto, sopra l'impianto di base, mostrava una nuova libertà. Nel 1917 Rosario Catalano riuscì anche a far nascere una sua piccola ed attiva etichetta discografica, la Catalano Phonograph, con base in un negozio a New York che serviva anche da luogo di vendita di dischi, spartiti, piano rolls, sala prove, base operativa. Il genio italiano, come si diceva una volta. Lo stesso che agirà da fertilizzante primario nella nascita e sviluppo del jazz, negli stessi anni di attività dei Quattro Siciliani di New York.