Per festeggiare i 40 anni dall’uscita di Y, album d’esordio del Pop Group, l’etichetta Mute ha pubblicato un cofanetto contenente la versione del disco rimasterizzata agli Abbey Road Studios, del 12” di "She Is beyond Good and Evil", Alien Blood, disco dedicato alle versioni originarie dei brani compresi poi nel disco definitivo, e Y Live, registrato a Sheffield, Manchester, Londra e New York, e organizzato nella stessa sequenza di brani del disco originario.
Formatosi nel 1977 a Bristol, The Pop Group ha fatto in tempo a lasciarci due album e una manciata di singoli, tra cui l’eternamente rilevante “We Are All Prostitutes”, prima di sciogliersi nel 1981, lacerato dalle diverse visioni politiche e musicali dei suoi membri. Dall’esplosione del gruppo nacquero i Maximum Joy, i Rip Rig + Panic, i Pig Bag e i Mark Stewart + Maffia. Ma andiamo con ordine.
Marzo 1979, esce un 7” a nome The Pop Group – quanto di più banale si possa pensare – e il titolo, “She Is beyond Good and Evil”, cita Nietzsche: incuriosito, lo compro. Arrivo a casa, lo metto sul giradischi e sono letteralmente investito da qualcosa di mai sentito prima: una distorsione, poi entra un riff di chitarra, ma non un riff qualsiasi, uno dei più belli di sempre per intensità e semplicità, ed ecco una voce sciamanica filtrata ed effettata:
la mia ragazza è nata su un raggio di suono, dorme sull’acqua, cammina sul ghiaccio… io baratterei la mia anima per lei, non c’è antidoto per lei… lei è qualcosa che non puoi comprare…la nostra unica difesa è raggrupparci come un esercito, io ti brandisco come una pistola… i valori occidentali non significano nulla per lei, lei è al di là del bene e del male.
Non riesco a stare fermo, sotto la voce c’è un inferno fatto di agit-prop, free jazz, funk psichedelico, dub, tutto passato nel frullatore del punk. Tre minuti e venti secondi e la musica è cambiata, il punk è alle spalle, è nato il post-punk.
«Il testo della canzone parla di amore incondizionato come forza rivoluzionaria, dove idealismo ed energia si mescolano con la poesia e l’esistenzialismo, e i desideri politici con l’idea romantica di passare attraverso il nichilismo per riemergere sull’altra sponda con qualcosa di positivo, qualcosa che va oltre» – Mark Stewart, cantante del gruppo
Passa un mese ed ecco Y: i cinque di Bristol – Mark Stewart alla voce, Gareth Sager al sassofono, chitarra e pianoforte, Bruce Smith alla batteria e percussioni, Simon Underwood al basso e John Waddington alla chitarra – si affidano nuovamente alla produzione di Dennis Bovell, il Dub Master originario di Barbados che coi suoi Matumbi, insieme agli Aswad, agli Steel Pulse e ai Misty in Roots, ha dato vita alla scena reggae britannica e ai tappeti sonori su cui Linton Kwesi Johnson ha srotolato le sue poesie.
La copertina è affidata a una foto di Don McCullin che ritrae un raduno tribale africano: uomini quasi nudi, mascherati e coi corpi dipinti, che brandiscono armi primitive. Un’immagine minacciosa esattamente come la musica che esce dai solchi del disco.
Captain Beefheart, i Pere Ubu, Ornette Coleman, i Funkadelic, gli echi e i delay del dub, la politica, lo sberleffo del punk: c’è tutto e altro ancora. Basta ascoltare il brano d’apertura, “Thief of Fire” – ammetto il mio crimine, sono il ladro del fuoco – confessa Stewart, novello Prometeo demente e paranoico, mentre gli altri destrutturano i suoni con attitudine liberatoria e la linea di basso non fa prigionieri.
«Il Pop Group è empio, sovraeccitato, violento, paranoico e doloroso» – Nick Cave
Ascoltate la versione di “Thief of Fire”, a cui opportunamente è stata aggiunta la dicitura “Bass Addict”, compresa in Alien Blood: pura dinamite. Fatelo seguire da un altro classico del gruppo, “We Are Time (Ricochet)”, in una versione definita da Sager «senza indossare i guanti, ogni movimento è permesso, applicato e approvato», e da “Slow Money (Slow Thief)” con la voce di Stewart (Un ordine è un ordine anche se è privo di senso) che echeggia da una cassa all’altra: sembra di ascoltare un dubplate di Lee Scratch Perry .
Y Live ci restituisce il Pop Group descritto da Nick Cave alle prese coi brani del disco durante le esibizioni dal vivo: la musica è affilata come un rasoio mentre Stewart riversa la sua ira e urla come un profeta del Vecchio Testamento. Io li vidi nel 1980 a Milano e vi assicuro che rimasi a bocca aperta, come rarissime altre volte mi è successo: situazionismo al fulmicotone.
Nel 1979 la Gran Bretagna ci diede Metal Box, London Calling, Entertainment, Unknown Pleasures, 154, Live at the Witch Trials, Three Imaginary Boys, Drums and Wires, Cut (prodotto anch’esso da Dennis Bovell), ma Y, più ancora dei dischi appena elencati, indicò quanto lontano potessero spingersi le mutazioni in atto nel campo musicale.
«Closer dei Joy Division è spesso considerato il fiore all’occhiello del post-punk, ma Y – col suo potenziale indefinito, il fuoco rispetto al ghiaccio dei Joy Division – può avanzare la stessa rivendicazione» – Mark Fisher