Da ieri mezza Italia sta commentando il capodanno russo: sta infatti impazzando sui social lo speciale televisivo per la fine dell’anno del Pervyj kanal (primo canale), intitolato Ciao 2020!, che con un colpo di genio – o di follia – gli autori hanno deciso di costruire interamente come se fosse un programma tv italiano degli anni ottanta.
Se non lo avete ancora visto, prendetevi un’ora del vostro tempo per farlo perché ne vale veramente la pena. Lo trovate qui.
L’intera operazione, condotta dal popolare intrattenitore Ivàn Ùrgant, è una specie di grande omaggio/presa in giro (il confine è sottile) all’Italia, alla tv italiana degli anni ottanta e alla canzone italiana di quel decennio, popolarissima in Russia. L’intera ora è girata in tinte vintage con un rigore filologico impeccabile, che va dalle titolazioni alle coreografie, con tutti gli ospiti e i conduttori in parrucche cotonate e baffoni, tra camicie sintetiche, seni prosperosi e ricoperti di abbronzante, piramidi di spumante e giacche con le spalline. Ma ci sono anche – citando a caso – guardie vaticane che ballano insieme a giocatori vintage della Juventus, gare di velocità nel mangiare la pasta (!), battute sul Vesuvio, balletti, un finto bingo con close-up di scollatura ogni volta che si estrae il numero, finte pubblicità ammiccanti («Detersivo Buono. Tanto tempo per amore»).
Gli ospiti comprendono alcune delle popstar e degli attori russi più popolari: immaginatevi l’equivalente del Capodanno su RaiUno, solo con un’età media molto più bassa (ma ci va poco). Tutti si esprimono in finto italiano (o meglio: qualcuno ha più o meno tradotto l’originale russo, affidato ai sottotitoli). Tutti cantano in “italiano” e vengono presentati con i nomi italianizzati. Vale la pena solo leggere l’elenco: Arti e Asti, (alias Artik e Asti, duo ucraino: splendida la loro “Bambina balla”), Gerolomo Paffuto, Crema de la Soda (i moscoviti Cream Soda, con “Piango al tecno”, ovvero “Плачу на техно”, successo della quarantena grazie a un video virale girato dal balcone), La Dora, Nicola Bascha con Daniele Millocchi (“La baldoria”, crossover rap-lirica così kitsch che potrebbe funzionare benissimo a Sanremo), Giorgio Criddi (il rapper Egor Krid), Giovanni Dorni, La Soldinetta (ovvero la popstar Monetochka), e via così. I testi sono insieme surreali per l’italiano maccheronico, e incredibilmente plausibili per un brano pop.
«Non sei con me
l’acqua cade al rave piango
piango forte lacrime sulle guance
dalle guance blop blop» (Crema de la Soda, “Piango al tecno”)
Quello di Ciao 2020! è un esperimento notevole, affascinante da diversi punti di vista soprattutto perché esteso a un intero speciale televisivo e non limitato a un singolo sketch. Intanto, è evidente che il meccanismo del comico non è lo stesso per noi italiani e per il pubblico russo per cui lo spettacolo è pensato: diverse battute sfuggono completamente, per i riferimenti all’attualità o alla cultura russa, o per giochi di parole incomprensibili (il sito Russia Beyond ha messo insieme una interessante “traduzione” di alcuni passaggi). Sovente si osserva tutto con il sottile fascino che genera l’intraducibilità, l’incapacità di capire veramente quello che sta accadendo.
Allo stesso tempo, lo spettatore italiano non può non ritrovarsi intrappolato nel gioco di specchi sugli stereotipi culturali, o ridere alla comicità (involontaria) nelle traduzioni o nella scelta del registro linguistico (quale conduttore potrebbe mai cominciare una frase con «Madonna, finalmente ci stiamo!»? Quale film potrebbe intitolarsi Quattro putane?).
Insomma, un dispositivo di grande complessità non appena si scava sotto la superficie del cazzeggio.
Ovviamente, parte dell’interesse per chi – come me – si occupa di canzone italiana riguarda proprio la riduzione a stereotipo di alcuni elementi musicali e stilistici.
«Che bello innamorarsi, infiammarsi, incresciarsi» (La Dora, "Innamorata")
Intanto gli “anni ottanta”, che sono ormai chiaramente identificati da una serie di sineddochi musicali, di singoli elementi che richiamano – “una parte per il tutto” – a un’unità culturale nota nell’immaginario collettivo come “musica anni ottanta”. Che non è, naturalmente, tutta la musica anni ottanta (il decennio tiene insieme dai R.E.M. agli Smiths agli Wham! agli Human League; o, in Italia, da Creuza de mä ai Negazione ad Al Bano) ma che è la musica che è diventata la musica degli anni ottanta, e il cui sound è da qualche anno al centro di un recupero globale, dalle colonne sonore al nuovo pop da classifica.
Da questo punto di vista, il lavoro fatto dagli autori di Ciao 2020! è efficacissimo anche perché impiega suoni che sono oggi familiari ai più: le drum machine scatolose stile 808, i sequencer, i synth Roland sono (di nuovo) protagonisti nel pop (per dire, il pezzo di Jony, “La cometa”, sembra una canzone dei Thegiornalisti, però bella).
Per il pubblico italiano quel sound corrisponde alla musica pop che passa dal grande ritorno di Sanremo, che proprio dal fatidico 1980 esce dalla sua crisi di pubblico e visibilità, iniziata dalla fine dei sessanta, e si re-inventa come spettacolo televisivo, nel contesto della prima concorrenza tra Rai e le nuove tv private. Sono gli anni del playback e dell’eliminazione dell’orchestra (che tornerà solo nel 1990), di Cecchetto conduttore, dei grandi successi di Toto Cutugno, Al Bano e Romina, Umberto Tozzi…
E per il pubblico russo? La storia della fascinazione del mondo slavo per la nostra canzone risale in realtà a molto prima. Già negli anni cinquanta diversi impresari organizzano tournée di musicisti italiani in Unione Sovietica («Grazie Italia gridavano i russi ai nostri cantanti», titola un numero di Sorrisi e canzoni nel 1957); nel 1962 La Domenica del Corriere può mettere in copertina insieme Domenico Modugno e Jurij Gagarin che cantano "Volare". Sono del resto anni in cui i legami con l’Urss sono forti, grazie all’attività del Partito Comunista.
La musica che viene esportata è, immancabilmente, la canzone all’italiana più classica, quella melodica, delle grandi voci, che aveva già affascinato il pubblico internazionale nella prima era della popular music. I musicisti italiani giravano il mondo fin dall’Ottocento contribuendo a costruire quell’immaginario musicale (si può ricordare ad esempio come “’O sole mio” sia stata composta a Odessa proprio da uno di questi musicisti, Eduardo Di Capua).
La fascinazione specifica per gli anni ottanta italiani, periodo che oggi è da noi perlopiù osservato col sopracciglio alzato (salvo – appunto – il recente revival) ha una ragione ancora più specifica. Tra le prime trasmissioni internazionali che bucarono il rigore della tv di Stato sovietica, dopo le Olimpiadi di Mosca ‘80, ci fu proprio il Festival di Sanremo, prima in forma di spezzoni, poi – dal 1984 – in versione integrale (trovate la storia qui). Il successo fu incredibile, e il Festival divenne uno dei momenti più attesi nell’anno televisivo delle repubbliche socialiste, adorato da milioni di persone che vi ritrovavano realizzate, in fondo, quelle che già erano le loro aspettative sull’Italia: il paese del disimpegno, del sole, del mare, dell'edonismo, della dolce vita, di belle donne e belle melodie.
È in questo momento storico che si costruisce in Russia la fama di molti musicisti, che ancora sopravvive (qualcuno ricorderà momenti epocali come Toto Cutugno che canta con il Coro dell’Armata Rossa, o Al Bano recentemente inserito nella blackist dell’Ucraina perché sospettato di simpatie filorusse).
Le tournée di questi musicisti si estendono per decine di date e raggiungono migliaia di spettatori, e nel nuovo contesto della Perestrojka – finalmente favorevole alle importazioni, specie se non americane – il pop italiano può avviare una vera colonizzazione dei palinsesti. I numi tutelari e le canzoni di riferimento di Ciao 2020! sono proprio questi, e vengono anche citati in un breve sketch-intervista: “Susanna” di Adriano Celentano, “Felicità” del «Maestro Al Bano», “Gelato al cioccolato” di Pupo, “Gloria” di Umberto Tozzi, i Ricchi e Poveri di “Mamma Maria” – che è anche l’unico vero brano italiano a comparire nella trasmissione, nella versione tamarro-rave dei Piccolo Grandi (Little Big, il gruppo che avrebbe dovuto rappresentare la Russia allo scorso Eurovision Song Contest). Non a caso, tutti brani pubblicati in Italia tra il 1979 e il 1984.
(Tra l’altro, nella grande popolarità di Sanremo di quegli anni, non erano già mancate le parodie. Qui ne trovate una).
Con gli anni novanta il mito dell’Italia della canzone si affievolisce, e congela di fatto in una bolla gli artisti degli anni ottanta, che rimangono popolari sull’onda della nostalgia. Fino a oggi: uno speciale televisivo in prima serata, la notte di San Silvestro, interamente dedicato a quell’immaginario deve fondarsi su riferimenti condivisi, e paradossalmente è probabile che quel mondo, quei musicisti, quel sound siano più condivisi oggi in Russia che non Italia.
In ogni caso, un bel pezzo di storia culturale dell’ex Unione Sovietica e dell’Italia che collidono, nel segno della retromania, per lo speciale di Capodanno di questo sempre più assurdo 2020 – appena finito.