Roma ha una sua parte oscura, si chiama Remoria e combatte da sempre per sovvertire il potere di Romulia. Questa, in estrema sintesi, la storia occulta, di fantasia, affascinante e allo stesso tempo tragica, raccontata in Remoria. La città invertita (Minimum Fax 2019, 283 pp., 17€) di Valerio Mattioli, un libro che forse solo un romano (in realtà con radici nel nord Italia, come racconta egli stesso) poteva scrivere.
Mattioli raccoglie e descrive una serie di situazioni basandosi su congetture, riletture della realtà, leggende metropolitane e interpretazioni al limite dell'incredibile, che hanno a che fare principalmente con l'amore profondo che nutre per questa metropoli, centro del mondo, immonda cloaca, laboratorio esperienziale per limitazioni della libertà e vaso comunicante umano tra fascisti e non fascisti. Mattioli però non è un fan a prescindere di Roma, va specificato. Scrive bene, chi ha letto i suoi libri precedenti, tutti principalmente musicali, da Noiser(s) a Superonda, lo sa già; soprattutto ha il dono della sintesi e della scorrevolezza, a volte riesce pure a far sorridere, e lo fa mentre narra di razzismo, socialità e disperazione.
Descrivere questo Remoria non è affatto un'operazione semplice e forse serve pure a poco. Si può però provare a dare delle coordinate: prendete le periferie, fatele confrontare con il centro, notate le spesso enormi differenze e interpretatele. Ne uscirà fuori un ritratto complesso e per certi versi assurdo, dunque paradossale, dove coatti e no (magistralmente descritti dal mito Stefano Tamburini, più volte citato e tra le massime fonti di ispirazione dell'autore) diventano i protagonisti di numerosi cambiamenti della società: sono agitatori culturali, a loro modo, come Matteo Swaitz (dietro il Truceklan), mettono musica nei CSA, fanno dischi che diverranno epocali, da Lory D a Leo Anibaldi, sanno dei fiumi di eroina che girano e che vengono raccontati in film come Amore Tossico di Claudio Caligari e L'Imperatore di Roma di Nico D'Alessandria.
E poi c'è la nuvola di Calatrava, il tanfo della discarica di Malagrotta, la linea metropolitana C che non arriva mai al centro, e gli zombie stravolti dalle droghe più disparate che si aggirano per i quartieri desolati, l'affetto per Torre Maura (quartiere dove Mattioli è cresciuto da ragazzino) e poi Centocelle, il Laurentino 38, il Casilino 900, i Rom, Ostia, i Coil, l'immancabile fantasma di Pasolini, il Pigneto, Casa Pound, i rave e la techno, e ancora e sempre la droga, tanta droga.
Per l'autore ci vuole un certo coraggio a vivere a Roma. Come dargli torto, ma allo stesso tempo viene facile immaginare che nella capitale possano trovare posto davvero tutti, basti pensare a quelle enormi periferie che hanno accolto, e lo fanno ancora, migranti da ogni parte del globo, dentro e fuori il GRA, grande raccordo anulare e “limen” che prova ad arginare – fallendo miseramente per la gioia dei palazzinari – uno sviluppo urbanistico spaventoso, folle, dove il centro commerciale di turno domina lo spazio circostante – altro che i circoli del PCI e gli oratori di una volta. Remoria è un azzardo, un oggetto fatto di parole che è inutile provare a catalogare con una semplice fascetta per librerie, va letto. Probabilmente vi verrà voglia di ascoltare le musiche citate all'interno (in maniera magistrale), di perdervi con la mente in una città eterna e marcia dove il tempo si è fermato, magari di diventare adepti di una qualche setta para-religiosa che adora Satana, fa il ghigno a tutti e odia visceralmente il vicino di turno.
Remoria è il “mostro” dentro l'autore e dentro la città, e pure un po' dentro ognuno di noi, in definitiva dentro l'italiano. Remoria fa paura.
«Romulia! Romulia!
La senti questa voce?
Io sono la catastrofe!»