Visible Cloaks
Reassemblage
RNVG Intl.
K. Leimer
Land of Look Behind
Palace of Lights
Sarà perché l’Oregon dove vivono s’affaccia sull’Oceano Pacifico, ma Spencer Doran e Ryan Carlile, i due musicisti/producer che formano i Visible Cloaks, hanno una predilezione sia per i suoni dalla consistenza acquatica sia per il Giappone. Qualche anno fa, infatti, il primo s’era fatto notare grazie al notevole Fairlights, Mallets and Bamboo, un mix (recuperabile su SoundCloud) di brani synth-pop e ambient dei primi anni Ottanta provenienti appunto dal Paese del Sol Levante, con una particolare attenzione a Haruomi Hosono e Ryūichi Sakamoto e alla loro Yellow Magic Orchestra. L’idea ispiratrice era quella di “quarto mondo” all’origine del progetto Possible Musics (1980-81) di Jon Hassell e Brian Eno: una sorta di musica immaginaria dove coesistevano e s’ibridavano suoni di matrice occidentale e suoni etnici e/o tribali provenienti dall’Africa e dall’Asia.
In questo suo esaltante secondo album, che segue un debutto meno interessante (Visible Cloaks, 2015), il duo di Portland torna a percorrere quella strada, creando – grazie all’elettronica e software innovativi come Altiverb - un intrigante intreccio musicalmente multiculturale, dove s’incontrano strumenti virtuali da tutto il mondo (o quasi). In bilico tra ambient, new age e sonorità new classical, digitale e organico, suoni elettronici che sembrano umani e suoni umani che sembrano elettronici, Reassemblage è avvolgente, ipnotico e incredibilmente affascinante. Prende il nome, non a caso, da un celebrato documentario etnografico d’avanguardia sul Senegal del 1982, girato dalla vietnamita Trinh T. Minh-ha e basato sulla tesi che sia impossibile e fuorviante pensare di comprendere davvero una cultura diversa della propria.
Tre gli ospiti del duo: il concittadino Matt Carlson, sperimentatore delle possibili sinergie tra voce e suoni sintetici, presente in “Neume”, brano ispirato fin dal titolo al canto gregoriano; il newyorchese Motion Graphics (ovvero il musicista elettronico Joe Williams), che appare nel pezzo “Terrazzo”; Miyako Koda, metà femminile del duo synth pop giapponese anni Ottanta Dip In The Pool, la cui voce viene trattata con un software MIDI in “Valve”, con effetti stranianti che ci hanno ricordato la Laurie Anderson di Big Science.
Se l’ascolto dei Visible Cloaks vi ha fatto venire voglia di altra ambient music, l’ulteriore consiglio che ci permettiamo di darvi è di cercare Land of Look Behind, recentissima ristampa rimasterizzata (anche in vinile, naturalmente) di un capolavoro dimenticato del 1982. L’autore, K. Leimer, tra l’altro, gode di una nuova notorietà proprio grazie ad una compilation, A Period of Review (Original Recordings 1975-1983), pubblicata nel 2014 dalla stessa RNVG Intl di Brooklyn che propone Reassemblage.
Originario del Canada, ma allora residente a Seattle, Kerry Leimer (la K. del nome d’arte è un omaggio all’omonimo personaggio kafkiano), dialogando idealmente col krautrock di Can, Neu!, Faust e Cluster (di cui fu un fan della prima ora) e con le sperimentazioni dell’album No Pussyfooting (1973) di Robert Fripp e Brian Eno, creò da autodidatta una musica elettronica tanto visionaria quanto gentile e discreta, in un’epoca (e in un luogo) in cui punk e new wave stavano prendendo il posto del prog rock.
In particolare, Land of Look Behind è la colonna sonora dell’omonimo documentario girato da Alan Greenberg (1950-2015) in occasione dei funerali di Bob Marley: un film sulla Giamaica e sulla cultura rastafariana che entusiasmò fin da subito Werner Herzog (e non solo). Se a questo punto vi aspettate un album reggae, rimarrete delusi. La musica, che K. Leimer compose e che solo parzialmente venne utilizzata dal regista, unisce voci e suoni registrati durante la ripresa del documentario e percussioni ipnotiche e avvolgenti (ispirate per certi versi ai ritmi dei rituali Nyabinghi) ad atmosfere cosmiche ed oniriche create dai sintetizzatori analogici di quel periodo. Il risultato, in bilico tra musica ambient dal sapore futurista e sonorità che ricordano il coevo My Life In The Bush of Ghosts di Eno/Byrne, ha una freschezza che non risulta corrotta dal tempo e che giustifica pienamente la nuova grande attenzione per il suo autore. Il quale, tra l’altro, ora vive a Maui (Hawaii) dove, oltre a continuare le sue esplorazioni sonore, produce anche olive e agrumi.