Si intitola Where Does a Body End? il film che il regista romano (ma residente a Toronto) Marco Porsia ha dedicato alla ricostruzione della storia degli Swans di Michael Gira, gruppo che in 14 album in studio spalmati lungo 38 anni di attività – salvo qualche interruzione – ha rappresentato uno dei momenti più alti della scena – come definirla? Post-punk, no wave, industrial, noise, e altro ancora.
Il film è stato presentato in anteprima nazionale al Seeyousound International Festival di Torino; anzi, insieme a Days of the Bagnold Summer, è stato il film che ha chiuso la rassegna in anticipo di una settimana rispetto al previsto a causa dell’ordinanza comunale sul Coronavirus che ha sospeso l’attività dei cinema fino a sabato 29 febbraio.
Non ci siamo lasciati fermare e abbiamo fatto una lunga chiacchierata col regista.
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«Esisto veramente?». Bella domanda, Michael. E che fine fa un corpo quando muore? Il film comincia così, con un Michael Gira riflessivo e alla ricerca del senso dell’esistenza. A ben vedere, con i Circus Mort prima e con gli Swans poi, Gira ha esplorato territori sconosciuti cercando di risolvere il mistero della musica, un cammino segnato da onestà e passione.
Gli Swans sono uno dei pochi gruppi di cui non mi preoccupo di riascoltare gli ultimi lavori prima di vederli in concerto: so già che sarà inutile, loro suoneranno tutt’altro, spesso brani inediti che magari compariranno in dischi successivi. Una cosa è certa, tutte le volte al termine di un loro concerto mi sono ritrovato diverso da com’ero due o tre ore prima: aggredito da un sonic tornado di potenza ultraterrena orchestrato da Gira, sciamano che si muove a suo agio tra gli strati sonori che via via formano una costruzione sonora solidissima, posso tranquillamente affermare di aver sempre raggiunto una sorta di estasi, un insieme di consapevolezza e libertà.
Come già accennato, il film ripercorre le tappe della carriera del gruppo e si avvale delle parole di Lee Ranaldo, Thurston Moore, Kid Congo Powers, Foetus, Jehnny Beth, Blixa Bargeld, Ben Frost, e musicisti che si sono avvicendati nelle varie formazioni del gruppo, tra cui Jarboe, per anni musa e compagna di Gira.
La sensazione finale è che Where Does a Body End? non sia solo un documentario sugli Swans e Michael Gira ma soprattutto la testimonianza di una vita dedicata in maniera totalmente radicale all’arte, senza compromessi.
«Suona basso e, quando vedi il mio segnale, suona alto, senti la musica» - Michael Gira
Ovviamente hai deciso di fare un film sugli Swans perché sei un fan.
«Certo. Li ho scoperti nel 1986, quando in un negozio di dischi a Miami vidi Holy Money: lo ammetto, avrei comprato quel disco anche solo per la copertina. Non lo sapevo ancora ma la mia vita sarebbe cambiata. Quando nel 1997 arrivò la notizia dello scioglimento del gruppo – all’epoca abitavo già a Toronto con mia moglie – presi l’aereo e andai a vedere il loro concerto a New York: ecco, per me quello è uno dei ricordi più belli della mia vita. Pensavo di averli visti per l’ultima volta e invece vent’anni dopo mi sono ritrovato a fare un film su di loro».
«Nel 2014 Michael mi ha dato l’ok per la lavorazione del film a patto che lui ne potesse stare fuori».
«Ho iniziato a entrare in contatto con Michael ai tempi degli Angel of Lights e poi, quando gli Swans si riformarono, iniziai a riprendere i loro concerti a Toronto e New York, fino a quando mi concessero di andare con loro a Los Angeles e San Francisco e poi in Europa. Michael è una persona diffidente ma penso di aver conquistato la sua fiducia ponendomi nei suoi confronti come un professionista e non come un semplice fan. Nel 2014 Michael mi ha dato l’ok per la lavorazione del film a patto che lui ne potesse stare fuori».
Immagino che poter consultare l’archivio contenente materiale girato tra il 1980 e il 1997 ti sia stato molto utile per ricostruire la storia di quel periodo, vista la penuria di immagini su Youtube.
«Guarda, questa è una storia strana. Parlando con Jarboe è saltato fuori che Michael doveva per forza avere uno scatolone contenente un centinaio tra VHS e Betamax di registrazioni video regalategli dai fan. L’unico problema era ritrovarlo. Dopo quasi un anno di ricerche inutili, un bel giorno ricevetti un’e-mail da Michael in cui mi comunicava di aver ritrovato lo scatolone. Partii subito per New York e mi ritrovai tra le mani il Sacro Graal: passai settimane a convertire i vari formati e a sincronizzare le immagini con le registrazioni dei concerti fatte direttamente dal mixer e in possesso di Jarboe. Un lavoro immenso ma che portai avanti con entusiasmo crescente perché capii che con questo materiale e quello che avevo girato io avevo tutto quello che mi serviva per fare il film».
«Te la faccio breve: ho messo soldi miei in questo film e spero di rientrare delle spese trovando una distribuzione al di fuori del circuito dei festival».
«C’era ancora un problema: i soldi. Ho lanciato un crowdfunding e devo ammettere che mi sono arrivati abbastanza fondi; speravo che mi bastassero ma io faccio le riprese in Super 8, per ottenere delle immagini senza tempo, e questo tipo di riprese costano care. Te la faccio breve: ho messo soldi miei in questo film e spero di rientrare delle spese trovando una distribuzione al di fuori del circuito dei festival. Inoltre, come puoi immaginare, ho tantissimo materiale che non ha trovato posto nel film e che spero di inserire in uno o più DVD».
Per esperienza diretta, e il tuo film lo conferma, Gira è una persona che si spende molto durante e concerti e anche dopo, incontrando gli spettatori, firmando autografi, dischi e magliette. Non è da tutti.
«Sono contento di quello che dici perché volevo assolutamente che questo aspetto di Michael arrivasse al pubblico del film. Agli inizi non era così, odiava qualsiasi tipo di rapporto, ma, diciamo a partire dal 2000, il suo atteggiamento è cambiato; mi ha raccontato che in quel periodo ha frequentato dei festival di musica bluegrass ed è rimasto colpito dall’atteggiamento di questi musicisti settantenni, a volte ottantenni, che, al termine delle loro esibizioni andavano nella loro tenda a firmare autografi e fare foto coi bambini. Da quel momento ha capito di doversi confrontare col proprio pubblico».
Immagino che sentire direttamente sul palco il livello sonoro degli Swans sia un’esperienza al limite del misticismo.
«Devo dire che essere lì e fare le riprese proprio nel posto dove tutto nasce e si sviluppa è qualcosa che mi porterò dentro per sempre. La sensazione di star facendo quello per cui, in qualche maniera, credi di essere nato è difficilmente raccontabile».
Dopo cinque anni passati con gli Swans hai già in mente un nuovo progetto?
«Certo, fare film è come una droga, finito uno vorresti già lavorare al prossimo. Durante la presentazione di questo film a Londra ho già preso dei contatti e fatto delle interviste: ho intenzione di fare un film, questa volta più breve, su un gruppo poco conosciuto e attivo per poco tempo sul finire degli anni Settanta, i Rema-Rema. Mi interessa fare un film su qualcuno che ha provato a diventare famoso con la propria musica ma non c’è riuscito».
Una curiosità: Gira ci sente ancora?
«Sì, ma comincia a perdere colpi. Del resto quarant’anni di bombardamento sonoro qualche segno lo lasciano».