Lettera aperta sui Premi musicali

Perché ci sono così tanti Premi dedicati agli Emergenti? Servono davvero? Una riflessione e qualche proposta per evitare di continuare a premiarci a vicenda

Premi musicali artisti emergenti
Musicultura (dalla pagina Facebook del Premio)
Articolo
pop

Negli ultimi dieci anni ho frequentato molti Premi legati alla canzone d’autore e ai cosiddetti “artisti emergenti”, sia come membro della giuria in quanto giornalista, sia come concorrente in quanto musicista.

Soprattutto negli ultimi tempi, ho cominciato a maturare un pensiero ricorrente: che tutto quello che chiamerò qui il “Sistema dei Premi” sia da ripensare, che sia tutto un grande circo discutibile (cit. Elio e le Storie Tese) che dà risposte sbagliate a problemi reali e decisivi per lo sviluppo della musica nel nostro Paese.

Questa è una lettera aperta ai molti operatori e musicisti, in molti casi amici e colleghi, che si trovano e si sono trovati come me coinvolti in questo “Sistema”.

Non pretendo di offrire soluzioni, ma credo che – per cominciare – sia necessario aprire la riflessione, e non mi risulta che sia stato ancora fatto (posso essere smentito).

Specifico che non parlo, qui, di quei Premi che si dedicano alla produzione discografica, in cui una giuria di critici musicali vota sulla base di quanto ha ascoltato (o dovrebbe aver ascoltato) durante l’anno. Il prototipo di questo tipo di "Premio della Critica" sono le Targhe Tenco, ma si può estendere il discorso al Premio Loano nell’ambito della musica “di tradizione” e al Top Jazz di Musica jazz per il jazz. Non che questi non abbiano problemi e limiti (ne avevamo parlato qui con Enrico Bettinello), ma sono – mi pare – problemi e limiti molto diversi da quelli che vorrei qui raccontare. Mi occupo invece del modello standard di Premio oggi molto diffuso in Italia, quello che si potrebbe definire come il “Classico Premio dedicato agli Emergenti”.

Come funziona il Classico Premio dedicato agli Emergenti?

Uno dei problemi del “sistema dei premi” è proprio la formula quasi standard che viene adottata, ripetuta con poche variazioni di anno in anno e di Premio in Premio. Ovviamente ci sono le eccezioni, molti Premi funzionano molto bene e non è opportuno fare di tutta l’erba un fascio. Mi si perdoneranno le semplificazioni.

L’iscrizione

Dunque, come funziona? Solitamente, un musicista carica un paio dei suoi brani in un sistema informatizzato o in una cartella condivisa. In alcuni casi, prima di farlo paga l’iscrizione (da poche decine di euro a un centinaio, nel caso ad esempio di Musicultura).

La selezione

La giuria procede a una prima selezione: in questa prima fase, di solito, il lavoro di scrematura è in carico a poche persone legate all’organizzazione. In una seconda fase, sempre di solito, i giurati (giornalisti, musicisti, operatori) ascoltano i brani selezionati e li riducono a una rosa di finalisti, segnalando i loro preferiti.

Troppe cose da ascoltare, troppo poco tempo. Molti brani non avranno un secondo ascolto.

Si potrebbe qui aprire una parentesi sulle modalità di ascolto nella società contemporanea, ma non è forse opportuno. Dando per scontato l’impegno e la buona fede di chi seleziona nei vari punti della filiera (ripeto, è un lavoro che ho fatto spesso anche io), è ovvio che ascoltando decine di brani di artisti sconosciuti, magari mentre intanto suonano alla porta o si risponde a una mail, non ci si può fare un’idea chiara di un progetto. E non c’è modo di fare altrimenti: ci sono troppe cose da ascoltare, c’è troppo poco tempo. Si va a intuito, a sensazione, a pancia. Molti brani non avranno un secondo ascolto.

Il live

E si arriva al live, finalmente! Il musicista o il gruppo passato attraverso questa trafila parte con il suo furgone o con la sua brava chitarra a tracolla e attraversa la penisola da parte a parte per arrivare al luogo del Premio. Nella migliore delle ipotesi, viene rimborsato di parte delle spese. Nella peggiore, si paga la cena post concerto. Per un gruppo che partecipa alle selezioni di Musicultura, per esempio, sommate 120 euro di iscrizione, la spesa per la benzina e dell’autostrada per raggiungere Macerata, un paio di pasti e una notte in un B&B, e vi farete un’idea dell’investimento.

Nella migliore delle ipotesi, il musicista viene rimborsato di parte delle spese. Nella peggiore, si paga la cena post concerto.

Giunto sul luogo del concerto, solitamente il musicista si trova a suonare uno o due pezzi di fronte alla giuria, per un totale di 10-15 minuti. È un tempo che, come sa bene chi suona, serve a malapena per scaldarsi e per capire che si è saliti su un palco. È difficile assistere a performance memorabili. L’emozione può tradire e non c’è una seconda occasione. Spesso, tra smontare e caricare e ripartire non c’è neanche il tempo di chiacchierare con gli operatori presenti. Alla fine la giuria, di nuovo, sulla base dell’ascolto di uno o due brani in un contesto non proprio ottimale deve decidere quale progetto è il migliore.

Vittoria!

E se si vince? Nella migliore delle ipotesi, ci si porta a casa dei soldi (anche molti, nel caso di Musicultura, per esempio), o la possibilità di avere finanziamenti per il live (ci tornerò a breve). Si può anche vincere la possibilità di suonare a un altro Premio come ospite. Nel peggiore dei casi, ci si porta a casa una targa che finirà a prendere polvere in qualche studio di registrazione di periferia.

Daniela Pes, vincitrice del Premio Parodi 2017
Daniela Pes, vincitrice del Premio Parodi 2017

Perché ci sono così tanti Premi dedicati agli emergenti?

Negli ultimi anni i Premi dedicati agli emergenti, soprattutto in ambito di canzone d’autore, si stanno moltiplicando a vista d’occhio. Si è arrivati al paradosso – che potrebbe anche far sorridere – di avere un Premio dei Premi che mette a confronto i vincitori di una decina di Premi da tutta Italia. Si tiene proprio in questi giorni a Faenza, in occasione del MEI (manifestazione che a sua volta da sempre premia musicisti e professional con grande munificenza). Vi partecipano artisti selezionati da Premio Pierangelo Bertoli, Premio Bindi, Premio Buscaglione, Premio Alberto Cesa, Premio Ciampi, Premio Bianca d’Aponte, Premio Fabrizio De André, Premio Bruno Lauzi, Premio Andrea Parodi…

In apparenza, ci sono così tanti premi perché c’è grande domanda da parte degli artisti “emergenti”. È davvero così?

E – badate – l’elenco non corrisponde alla totalità dei Premi attivi oggi in Italia. Considerate (almeno) una quindicina di premi a dimensione nazionale, ciascuno con da un centinaio a diverse centinaia di musicisti che si iscrivono (considerando che molti partecipano alle selezioni di più premi) e avrete un’idea vaga delle dimensioni numeriche del fenomeno.

Dunque, in apparenza, ci sono così tanti premi perché c’è grande domanda da parte degli artisti “emergenti”. È davvero così? 

Il motivo per cui esistono così tanti Premi è che il mercato musicale (soprattutto per la canzone d’autore) è al collasso da anni. Fare i dischi è un’attività che costa e non ripaga. Il mercato del live è in grave difficoltà, vuoi per disinteresse del pubblico, vuoi per le politiche poco culturali degli enti, che puntano sui nomi sicuri più che sulle direzioni artistiche e sulla varietà dell’offerta. Potete prendere il programma di (quasi) tutti i festival italiani che si dedicano alla canzone per farvi un’idea del problema.

Il motivo per cui esistono così tanti Premi è che il mercato musicale (soprattutto per la canzone d’autore) è al collasso da anni.

Se hai fatto un disco, se scrivi canzoni e vuoi farti sentire, l’unico modo che hai – se non trovi qualcuno che investa su di te, ed è difficile per i motivi sopra citati – è entrare nel circuito dei Premi. Qui potrai suonare i tuoi brani di fronte a operatori, giornalisti, organizzatori sperando di essere notato (in alternativa, c’è X Factor, ma evidentemente non è per tutti).

Domanda e offerta

Chi organizza Premi, dunque, fornisce in apparenza un servizio utile ai giovani musicisti. Il problema è che il circuito dei Premi, così come è concepito ora, tende troppo spesso a “pagare in visibilità”, a fronte di un mercato che non ha gli spazi per assorbire un’offerta troppo vasta. Che significa? Significa che partecipare al tal Premio è sì utile per aprire relazioni, e permette di aggiungere una bella riga al proprio curriculum. Ma poi? Nella maggior parte dei casi, si finisce a suonare in altri Premi, spesso non pagati (il premio è appunto suonare nel premio). Il che, naturalmente, va benissimo per un musicista in fase di investimento sul proprio progetto.

Il circuito dei premi fatica a creare un pubblico per i musicisti che ospita e vorrebbe valorizzare.

Il problema è che troppo spesso il circuito dei premi si rivolge… al circuito dei premi. Fatica cioè a creare un pubblico per i musicisti che ospita e vorrebbe valorizzare: si innesta un circolo vizioso che, esaurita la sua spinta iniziale, nella maggior parte dei casi non permette di fare nessun reale salto di qualità. La riprova è che molti musicisti partecipano più volte allo stesso Premio, pur di non stare fermi a casa. Il circuito dei Premi è tendenzialmente scollegato dal circuito del live – o meglio, lo ha quasi del tutto sostituito, almeno per la canzone d’autore.

Per di più, il proliferare di premi – come è facilmente prevedibile – depotenzia il fatto di essere stati premiati. Ci sono ovviamente eccezioni: il Premio Parodi di Cagliari, di cui spesso abbiamo parlato su queste pagine, è uno dei pochi premi che si dedica alla world music in Italia (insieme a Suonare@Folkest, e a memoria pochi altri minori), dunque ha una sua ragione d’essere e una grande utilità per i musicisti che vogliono collocarsi in quella fetta di mercato. Ma se ci sono dozzine di premi dedicati alla canzone d’autore…

Di fatto, quello che i Premi stanno facendo è creare artificialmente la domanda per assorbire l'offerta di nuova musica.

In sostanza, il “Sistema dei Premi” è la soluzione più semplice per gestire un’offerta enorme: ci sono moltissimi musicisti che vogliono farsi conoscere. Di fatto, quello che i Premi stanno facendo è creare artificialmente la domanda per assorbire questa offerta. Ma la domanda, se non è supportata dal mercato, rischia – come sta succedendo – di autoalimentarsi, generando premi che premiano premiati che premiano premiati, e via così in loop.

Basta competizioni!

Dei molti Premi a cui ho partecipato come musicista, se c’è una cosa che ricordo di aver vissuto male è la dimensione della competizione. È proprio necessario decidere che io sono meglio di te? Soprattutto, dobbiamo deciderlo sulla base di una giuria (più o meno) qualificata che di me, o di te, sa quello che ha letto distrattamente in un comunicato stampa? O che ha sentito giusto due brani tirati via, magari con il sound check fatto di fretta o non fatto? (Sì, succede anche questo).

Ho provato spesso lo stesso imbarazzo dall’altro lato del tavolo, quando mi sono trovato a fare la giuria. Come si fa comparare progetti tanto diversi tra loro? Ma soprattutto, che senso ha farlo? Come può essere il cantautore con la chitarra migliore o peggiore di un gruppo con elettronica e chitarre elettriche?

In che modo è rispettoso verso un musicista che studia e prova da anni, e che ha fatto centinaia di chilometri per arrivare lì a suonare due pezzi, troncare un giudizio basato su poche e lacunose sensazioni? O vogliamo veramente decidere che il modello X Factor è quello giusto? (“Non mi sei arrivato”. Ma arrivato dove?).

La dimensione agonistica applicata alla musica, soprattutto a questo livello, è il male.

La dimensione agonistica applicata alla musica, soprattutto a questo livello, è il male. Può mortificare o penalizzare i musicisti meno adatti a questa modalità (quanti artisti avete amato dopo ascolti ripetuti? Quanti vi hanno convinto al primo pezzo?). Può tendere a premiare le cose già sentite, quelle che “arrivano” meglio al primo ascolto, quelle che già “funzionano” secondo i criteri assodati del pop.

Soprattutto, la dimensione agonistica alla lunga trasmette un’idea sbagliata: che il successo e la soddisfazione del fare musica debbano passare attraverso questo genere di riconoscimenti.

Al contrario, il ricordo più bello che ho di tutti i Premi a cui ho partecipato – come musicista e come giurato – è il mondo che c’è intorno. Il conoscere gli altri musicisti, il raccontarsi problemi e soluzioni, lo scambiarsi contatti e dischi. In diversi casi mi sono trovato a organizzare festival invitando band conosciute in qualche Premio.

Si sono create delle reti, e questo è un bene: è così che funzionano le scene, è così che si cresce come musicisti e come operatori musicali. Ma questo, almeno per la mia esperienza, prescinde completamente dalla dimensione della competizione.

Che fare? Qualche proposta

E arriviamo alla parte costruttiva. I problemi da affrontare sono di due tipi. Da un lato, bisogna trovare un modo per far sì che questi eventi non si alimentino da soli, ma aprano alla possibilità di suonare “nel mondo reale”. Dall’altro, bisogna capire come inventarsi eventi che valorizzino meglio i musicisti emergenti.

Qualche modesto suggerimento.

1) Creare più collegamenti con il “mondo reale”

Il “sistema dei Premi” non può finire per autoalimentarsi, perché tradirebbe la vocazione che anima decine di operatori e organizzatori che in molti casi regalano il loro tempo a una causa nobile. Deve trovare il modo di uscire dalla propria autoreferenzialità.

Una prima risposta pratica a questo problema, negli ultimi anni, l’ha data l’IMAIE con il Bando Promozione NUOVOIMAIE, grazie ai fondi dell’art.7 L. 93/92. In pratica, IMAIE finanzia il tour (di minimo otto date) dei vincitori dei Premi che hanno fatto domanda e vinto il bando, con cachet equi e varie tutele. Una bellissima idea, di certo potenziabile, ma che già sta dando risposte importanti. Bisogna andare in questa direzione, ma creando delle relazioni più solide tra Premi, locali di musica dal vivo, rassegne, stagioni teatrali e musicali, scuole di musica… Perché, se non è ben gestito (e non è detto che tutti i musicisti abbiano gli strumenti per farlo) anche il finanziamento per un tour rischia di diventare una cosa una tantum e non il volano per una carriera.

Altre risposte, a mio avviso, potrebbero nascere da un radicale ripensamento dell’evento-Premio. Che da ora del dilettante allo sbaraglio dovrebbe trasformarsi in fiera musicale, in occasione di incontro, in showcase festival.

2) Superare la classica formula-Premio

Dobbiamo pretendere Premi che valorizzino meglio i musicisti che ospitano. Una prima mossa è quella di farli suonare meglio, e di più: se faccio cinque ore di furgone e mi fai suonare male due pezzi, mi incazzo soltanto. Io vengo anche a suonare gratis perché mi sto promuovendo, ma solo se mi metti in condizioni di fare il mio concerto, per bene, di fronte a un pubblico. Il Premio Parodi di Cagliari, per esempio, spalma le esibizioni dei finalisti su tre serate, riducendo di molto l’effetto “emozione”, e permettendo ai musicisti di suonare tre volte per tre pubblici diversi, di ambientarsi, e nel frattempo di familiarizzare con i molti operatori presenti. È una buona soluzione.

Una seconda mossa, più radicale, è abolire la competizione. Un Premio ben organizzato può stare su anche senza la passerella stile X Factor.

3) Dal Premio allo showcase festival

Se l’autorevole direzione artistica di un Premio (magari estesa a collaboratori fidati) seleziona quelle che, a suo parere insindacabile, sono le migliori nuove proposte, non può bastare? Perché non torniamo a un ruolo forte della direzione artistica, che si prende le sue responsabilità e si costruisce una credibilità con le sue decisioni, edizione dopo edizione? Perché invece di selezioni e serate-macedonia in cui tutti suonano poco e male non si fanno showcase più strutturati, anche con meno artisti, ma meglio valorizzati? I musicisti non avrebbero che da guadagnarci, e avrebbero pure la loro brava riga da aggiungere al curriculum (“Selezionato dal Premio X nel 2019…”).

Perché non torniamo a un ruolo forte della direzione artistica, che si prende le sue responsabilità e si costruisce una credibilità con le sue decisioni, edizione dopo edizione?

È così che funzionano gli showcase festival, eventi in cui una direzione artistica seleziona i musicisti e li mette in condizione di suonare di fronte a un pubblico di operatori musicali. Gli operatori ascoltano, ma invece di decidere chi è meglio scrivono articoli, chiacchierano con gli artisti, partecipano con loro a eventi di formazione. Magari, persino, organizzano un loro concerto. Pagato.

Funziona? Per alcuni sì, tanto che gli esempi di showcase festival in Europa non mancano. L’Italia, da questo punto di vista, è un po’ indietro, e si vede.

Non sono mutamenti che possano avvenire in un giorno, certo, ma è una responsabilità che è necessario prendersi per far crescere una scena musicale, per rendere merito al lavoro di moltissimi operatori culturali colti e appassionati. Smettiamo di premiarci l’un l’altro, e cominciamo a discutere di problemi pratici.

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