29 agosto, ultimo giorno di ferie: l’umore non è dei migliori e in più arriva la notizia della scomparsa di Lee Scratch Perry avvenuta all’età di 85 anni al Noel Holmes Hospital di Lucea, nella parte settentrionale della Giamaica.
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Per uno come me che che possiede 206 dischi, tra album a suo nome e produzioni di altri artisti, è davvero una brutta botta: da 45 anni Lee Perry è il mio musical hero, un artista per cui il termine ”genio” è perfettamente calzante.
Lee Scratch Perry è un artista che ha segnato sette decadi di musica giamaicana e non solo: innumerevoli le sue collaborazioni, dai Wailers quando erano ancora un trio vocale ai Clash, da Max Romeo ad Adrian Sherwood, solo per nominarne alcune. Negli anni Settanta nel suo studio Black Ark sono stati scolpiti i Dieci Comandamenti del dub, lui e King Tubby hanno creato una tecnica destinata a influenzare gran parte della musica che ascoltiamo oggi.
Nato poverissimo a Kendal nel 1936, negli anni Cinquanta Lee Perry si trasferisce a Kingston dove scopre la musica, impara le mosse e s’impadronisce del groove. Inizia a frequentare Studio One, diventa il pupillo di Sir Clement “Coxsone” Dodd, il ragazzo tuttofare, la guardia del corpo, il talent scout, il procacciatore di erba. La prima registrazione a suo nome è del 1961, “Chicken Scratch”, da cui deriva il suo più famoso e duraturo soprannome.
Dopo cinque anni una violenta litigata pone fine alla collaborazione tra i due e Perry cosa fa? Attraversa la strada e offre i suoi servigi a Joe Gibbs che gli concede immediatamente di registrare “I Am the Upsetter”, chiaro avvertimento a Dodd. Litiga anche con Gibbs – il motivo scatenante sono sempre i soldi – ed ecco che Perry si vendica con un’altra vaffacanzone, “People Funny Boy”.
A questo punto decide di mettersi in proprio e, grazie anche ai musicisti di cui si contorna, i mitici Upsetters, comincia a sfornare singoli di successo, tra cui quello che lo fa conoscere in Inghilterra: “Return of Django” (Perry era un fanatico degli spaghetti western).
Comincia la collaborazione con Marley, gli Upsetters diventano la backing band di Bob Marley, Peter Tosh e Bunny Wailer col nome di The Wailers: l’incrocio tra la sensibilità di strada di Marley e il senso di avventura e misticismo di Perry si rivela un punto di svolta non solo per le loro carriere ma per l’intera storia del reggae. Quando i Wailers passano alla Island per diventare dopo pochi anni delle superstar planetarie, Perry si scatena: le sue produzioni si fanno sempre più avventurose e sperimentali, a suon di colpi di pistola, vetri rotti, bambini piangenti e nastri fatti andare al contrario.
Nel 1973 inaugura il suo studio di registrazione, Black Ark, da dove usciranno pietre miliari della roots music e il miglior dub del periodo.
«Lui è il Salvador Dalí della musica, lui è un mistero, il mondo è il suo strumento, dovete solo ascoltarlo» – Keith Richards
Dieci anni dopo il Black Ark è distrutto dal fuoco, probabilmente appiccato dallo stesso Perry in piena crisi dopo essere stato abbandonato dalla moglie. Gli ci vorranno anni per riprendersi, dopo aver attraversato un lungo periodo di dipendenza dall’alcol, e una parte del merito va ad Adrian Sherwood, produttore londinese cresciuto nel mito di Perry e con cui Scratch ha realizzato i sui dischi migliori degli ultimi 35 anni.
Dieci canzoni per riassumere la discografia di Lee Scratch Perry? Non so se ridere o piangere ma tant’è, eccole, mentre il dub satura il mio appartamento e i dreadlocks in moonlight gli rendono omaggio sulla spiaggia di Negril.
«Io sono un mago: un mago deve fare le sue magie e poi sparire»
1. Chicken Scratch
L’avventura discografica comincia 60 anni fa con Studio One. Ammettiamolo, Lee Perry sarà ricordato per le sue fantastiche produzioni, non certo per le sue capacità vocali.
2. I Am the Upsetter
Perry scatena un dissing contro Dodd e senza saperlo dà vita a uno dei suoi innumerevoli soprannomi.
3. People Funny Boy
Ce n’è anche per Joe Gibbs. Celeberrima l’introduzione col pianto di un neonato. «All I have done for you, you not remember that, when you were down an' out I used to help you out, but now that you win jackpot you don't remember that».
4. Return Of Django
È la fine del 1968 e Lee Perry conquista l’Inghilterra anche grazie alla distribuzione della Trojan Records.
5. Natural Mystic
Versione originale del brano che Marley reinciderà nel 1977 per Exodus. Fiati superbi e atmosfera davvero mistica, il tutto supportato dalla sezione ritmica dei fratelli Barrett.
6. Vampire (Devon Irons & Doctor Alimantado)
Basta, sgancio solo più bombe: roots music a livello stratosferico, Alimantado – “the best dressed chicken in town” – entra come un treno e Perry che salta sui cursori del mixer. Monumentale!
7. Chase the Devil (Max Romeo)
«Lucifer son of the mourning, I'm gonna chase you out of earth! I'm gonna put on a iron shirt and chase Satan out of earth, I'm gonna put on a iron shirt and chase the devil out of earth, I'm gonna send him to outta space to find another race, I'm gonna send him to outta space to find another race». Stavolta Perry se la prende con Lucifero in persona e gli promette di cacciarlo dalla terra.
8. Disco Devil
Come se fosse un 7” giamaicano, ecco la dub version, autentico jeu de massacre senza esclusione di colpi e dove non si fanno prigionieri.
9. My Little Sandra (Leo Graham)
Uno dei nomi meno conosciuti tra quelli che hanno frequentato il Black Ark Studio è quello di Leo Graham ma questa canzone si è scolpita nella mia mente (e nel mio cuore) fin dal primo ascolto.
10. Black Board Jungle
«Calling the meek and the humble, welcome to blackboard jungle»: sentite cosa si può fare con un mixer a quattro piste se ti chiami Lee Perry, Scratch, Pipecock Jackson, Super Ape, The Upsetter.
Grazie di tutto, Rainford Hugh Perry, con tutto il cuore, quantunque spezzato.