Allora è un vizio! L’artista e produttore originario della Sierra Leone Lamin Fofana svela Ballad Air & Fire, la prima "installazione" di una trilogia che sarà seguita da Shafts of Sunlight il 29 luglio e da The Open Boat il 26 agosto (tutti i dischi sono pubblicati da Black Studies).
Era già successo tra il 2019 e il 2020 con la pubblicazione di un’altra trilogia composta da Black Metamorphosis, Darkwater e Blues: Black Metamorphosis è un manoscritto inedito di oltre novecento pagine di Sylvia Wynter, scritto negli anni Settanta, probabilmente una delle più importanti interpretazioni dell’esperienza nera in Occidente; Darkwater di W.E.B. Du Bois è una raccolta di saggi, poesie e schizzi che riflettono sulla supremazia bianca, il colonialismo, il capitalismo razziale, il patriarcato, la bellezza, la democrazia e altro ancora, mentre Blues rifletteva su Blues People di Amiri Baraka, un libro del 1963 sull’esperienza della creazione di una cultura in un mondo alieno.
Le note di copertina del nuovo lavoro rivelano nuovamente la presenza di un forte sostegno ideologico: ancora la poesia di Amiri Baraka e la pandemia che deforma la nostra percezione del tempo nell’installazione d’apertura, Ballad Air & Fire, l’interruzione delle nozioni di arte e razionalità dell’Europa coloniale in Shafts of Sunlight, e l’eredità della migrazione in The Open Boat.
Il primo episodio della nuova trilogia, registrato nel 2021 durante una borsa di studio alla Akademie Schloss Solitude di Stoccarda con il supporto della Haus der Kunst di Monaco di Baviera e della Foundation for Contemporary Arts di New York, è un segmento altamente concettuale articolato in due brani: “Ballad Air & Fire”, un tour de force di 31 minuti, e “Unfinished Elegy”, che, benché presumibilmente incompleto, dura comunque 10 minuti. Ispirato dal poema eponimo composto di Amiri Baraka, Ballad Air & Fire si occupa del concetto di “tempo rallentato”, non misurabile, e sfrutta l'uso del rumore statico: è la ricerca di nuove proprietà temporali grazie a un rallentamento sufficientemente lungo. «Durante lo scorso anno ho lavorato/cospirato/sabotato con e contro il tempo» spiega Lamin Fofana. «Con la pandemia e il mondo che rallentava o si fermava, mi sono ritrovato a usare la lentezza come uno strumento di de/ri/composizione, al fine di alzare, intensificare, approfondire certe contraddizioni nella musica, nel tempo, nella mia pratica, in un tentativo di dare vita a qualcosa di nuovo, qualcosa che aprisse una via a nuove percezioni».
Facciamo un passo indietro, torniamo al 2019 e ascoltiamo il brano che dava il titolo al tassello iniziale della prima trilogia, Black Metamorphosis.
Residente a New York dal 1997 al 2016, Fofana cesella «musica priva di categorie da suoni trovati, voci umane, sintetizzatori digitali, sintetizzatori analogici e batterie elettroniche.»
Già membro del DJ collective Dutty Artz, fondato da DJ/rupture con sede a Brooklyn, Fofana, in quanto musicista e attivista, ha spesso incorporato temi pesanti di (im)migrazione nei suoi lavori, cercando di restituire la sensazione che si prova a “essere alla deriva”. Le sue scelte musicali hanno un impatto sfumato ed emotivo: il già citato brano d’apertura “Ballad Air & Fire” mette insieme un minaccioso senso di anticipazione con la sua mezz’ora di rumore bianco (ma Fofana lo chiama rumore nero), brontolii fragorosi e sussurri scricchiolanti di ritmo.
La title track di Shafts of Sunlight porta avanti l’atmosfera minacciosa finché la melodia costruita sul riverbero si fa largo tra il rumore, come raggi di sole che attraversano le nuvole. Ma l’apice si raggiunge con The Open Boat: il ritmo melodico costruisce come delle onde in “Poseidon (Dub Version)”/”Sea Is History” e sfiora il dancefloor con le melodie arpeggiate di “The Unity Is Submarine”. Si chiude con accordi di synth che si uniscono al soffio del rumore statico, un viaggio a ritroso che ci riporta al rumore che ha aperto la trilogia.
«Attualmente, la maggior parte del mio lavoro ruota intorno al black noise, al noir noir. Non mi interessa la musica fine a se stessa, piuttosto la musica come strumento per esplorare idee, che apre nuove dimensioni e portali a nuove possibilità e modi di vedere. Lavoro con registrazioni d’archivio non solo per il loro fascino estetico, ma perché aiutano ad accedere a un tempo estatico, o per lo meno aiutano nella rottura della linearità e nell’apertura di paesaggi temporali non lineari e multidimensionali» - Lamin Fofana, intervista concessa a "Flash Art"
Questa nuova trilogia rappresenta la continuazione della collaborazione tra Fofana e il visual artist nonché storyteller Jim C. Nedd, iniziata nel 2018 con l’album Brancusi Sculpting Beyoncé.
Nel 2016 Fofana ha lasciato gli Stati Uniti per trasferirsi a Berlino e, di conseguenza, poter viaggiare attraverso l’Europa. In quanto persona di colore che vive e si muove in spazi prevalentemente bianchi, è sotto continuo scrutinio, arrivando anche a subire molestie da parte di estranei: «Ma questo fa parte di un sistema, una struttura di dominazione e sottomissione che è incarnata nella condizione umana così come l’abbiamo conosciuta, ma dobbiamo immaginare la fine della condizione umana, specialmente in un momento come questo in cui siamo costretti a ripensare le nostre relazioni, tra di noi e con il pianeta. Dobbiamo ripensare tutto. La mutazione come conseguenza dello spostamento è una questione che è stata posta da scrittori come Wynter, Baraka, Du Bois e Frantz Fanon. Cosa succede quando i neri si trovano in Occidente? Questo processo di permutazione estetica va avanti da secoli. C’è stata una continuità ininterrotta tra la schiavitù e il colonialismo e l’anti-blackness contemporaneo in tutto il mondo. La nostra esperienza di alienazione non è completamente originale, perché siamo legati a persone che sono state sottoposte a strutture di disumanizzazione per secoli. Data questa esperienza – perché di questo si tratta, non è solo memoria storica –, i nostri incontri con il mondo ci costringono a sperimentare e creare nuovi concetti che ci aiutino a immaginare un’esistenza diversa.»
Ricapitolando, lentezza ma anche movimento, quello che genera cambiamenti a cui non possiamo più dare le solite risposte, si sono rivelate insufficienti o, peggio, sbagliate: bisogna creare uno spazio di riflessione per tutte quelle voci storicamente marginalizzate. Ciò che è davanti a noi non ha ancora forma, è ancora frammentato, ma sta per compattarsi, sta per alzarsi, bisogna farsi trovare pronti. Le trilogie di Lamin Fofana sono qui per avvertirci.
P.S. Un’ultima cosa, abbastanza strana: durante i suoi spettacoli Fofana fa spesso uso di specchi a scala umana. Perché? «In alcuni ambienti preferisco esibirmi dietro quattro o sei grandi specchi in piedi posizionati in modo che siano rivolti verso il pubblico. Come persona nera che esegue un lavoro musicale di fronte a un pubblico prevalentemente bianco, devi pensare a queste cose – ciò che Saidiya Hartman chiama “ipervisibilità” o “l’idea di guardare ed essere guardati, spettacolo e spettatorialità, godere ed essere goduti”. Sai che la relazione o il contesto è strano. Se sei già in una “terra strana”, perché non renderla ancora più strana?». Come dargli torto?