La Sindrome di Collyer, o Disturbo di Accumulo, è la patologia di quelle persone che non riescono a fare a meno di riempirsi la casa di oggetti di qualsiasi tipo, senza mai buttare nulla, aumentando il volume di roba stipata nelle stanze fino a livelli inverosimili.
Prende il nome da due fratelli, realmente vissuti nel secolo scorso, sui quali si trovano notizie in abbondanza in rete e che ne furono per primi affetti in modo estremo (molto consigliato il libro Homer & Langley di E. L. Doctorow che ne racconta la storia in forma romanzata).
Ora, una tendenza all’accumulo è più o meno presente in ciascuno di noi (chi scrive sta osservando le pareti dello studio straripanti di libri, cd e vinili, facendosi qualche domanda…), senza che questa diventi patologica. Al contrario, qualche oggetto messo da parte molti anni fa potrebbe essere particolarmente interessante da (ri)scoprire, portandoci a rivivere ricordi dimenticati o a prendere atto di eventi, persone, comportamenti e manie sepolti nelle pieghe del tempo.
Questa dev’essere stata perlomeno l’intenzione di Jarvis Cocker, noto soprattutto per essere cantante e leader dei Pulp, al momento in cui ha deciso di scrivere questo libro.
Andando a cercare reperti accumulati nel sottotetto della casa in cui ha vissuto i primi vent’anni della sua vita, Jarvis esamina oggetti più o meno significativi di quando fu bambino o giovane uomo, giocando al keep or cob (tenere o buttare) per ciascuno di essi. E così ecco una carrellata che comprende non solo pagine di diario dedicate all’innamorata delle elementari o i primi occhiali indossati dall’autore a 5 anni, ma anche pacchetti di caramelle ammuffite, fotografie sbiadite in cui non si riconosce nessuno, pupazzi di dubbio gusto o arnesi di plastica dall’utilità incerta.
E per ognuno di essi c’è una storia, a modo suo comunque interessante.
È chiaro che questo libro, nella sua originalissima forma stilistica (e che va letto in cartaceo, perché l’apparato iconografico a corredo è straordinario), altro non è che un pretesto per raccontare la nascita del Jarvis Cocker uomo, musicista e artista. Un predestinato, potremmo dire; poiché fin dai primi anni di vita non solo si rende conto di avere qualche diversità di approccio rispetto agli altri bambini (artisti si nasce o si diventa? …), ma soprattutto di amare la musica in modo viscerale e talmente appassionato da capire già in tenera età di volerne fare un mestiere.
Ci penserà l’avvento del punk, con la filosofia secondo cui non è necessario saper suonare uno strumento per fare musica, a convincerlo in modo definitivo.
E comunque, Good Pop Bad Pop (Jimenez 2023) alla fine non è neanche un libro musicale – anche se indirettamente la musica è in sottofondo continuo, una presenza inevitabile che fa parte della natura dell’autore. La storia dei Pulp è raccontata solo per i primi anni di vita; e molti lettori rimarranno sorpresi di scoprire che dal punto di vista anagrafico il gruppo appartiene alla new wave, poiché nasce nei primi anni Ottanta e pubblica il primo disco nel 1983. Quando negli anni Novanta la band diverrà famosa, nonché una delle più affermate del panorama brit pop, ormai non c’erano più oggetti significativi da tirar fuori dalla soffitta.
Non di meno gli anni di formazione dei Pulp, quelli in cui Jarvis cresce e precisa sempre meglio la direzione artistica che vuole intraprendere, emergono chiaramente. E sono appassionanti, anche se in definitiva raccontano la solita storia di una band che si fa le ossa nei primi anni Ottanta (e che però ha anche la fortuna di finire tra le grazie di un certo John Peel).
Alla sua guida, questo personaggio miope e dinoccolato, punk di intenzioni e non di facciata, fragile e ironico, intelligente e originale, che risponde al nome di Jarvis Cocker. Fate conoscenza con lui, diventerete amici.