ITALODISCHI #5 2024 - Cantautrici, cantautori e dintorni

Francesca Bono, Fabrizio Tavernelli, Giovanni Milani, Łukasz Mrozinski, MaNiDa, Linda Collins, Analogic, ÈRÌN Collective e Bambini sperimentali

Francesca Bono (foto di Marcello Petruzzi)
Francesca Bono (foto di Marcello Petruzzi)
Articolo
pop

Saltiamo i preamboli e passiamo subito a presentare il disco che mi è sembrato il più convincente di questi mesi estivi (giugno incluso), anche se è di fatto uscito nell’ultima settimana di settembre… 

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Francesca Bono, Crumpled Canvas

Si tratta del ritorno di Francesca Bono, che avevamo salutato un paio di anni fa col disco che aveva fatto in compagnia di Vittoria Burattini, e che con Crumpled Canvas arriva a quello che è di fatto il suo esordio come solista. Un punto d’arrivo importante, che sintetizza l’esperienza del suo primo gruppo (Ofeliadorme), che era legato a un sound post trip hop ricco di effetti digitali, con quella del duo Bono/Burattini, più rivolto alla sperimentazione su sonorità analogico-percussive. 

Questo disco, coprodotto e in parte suonato e arrangiato da Mick Harvey, presenta una serie di canzoni in sospeso tra lo spleen del blues più crudo ed elementare e la sofisticazione di una musica circolare, euforizzante, ma sempre onirica e aperta a diverse interpretazioni. Sul tutto aleggia un delicato senso della melodia che inizialmente si nasconde, ma dopo qualche ascolto si impone e finisce col dominare i brani, a dispetto di arrangiamenti multiformi e imprevedibili. Bellissimo album.

Fabrizio Tavernelli, Resa incondizionata

A dispetto del periodo solare, ho sentito molti dischi cantautorali e intimisti in questa tornata, scartandone buona parte. I più originali però li ho tenuti in considerazione, purché non siano una mera riproposizione del passato ma aggiungano qualcosa al genere. Ad esempio Fabrizio Tavernelli, già in A.F.A. e En Manque D’Autre (tra i tanti), che pur non essendo un autore giovanissimo mostra una capacità di integrare stili diversi nella sua musica che in questo Resa incondizionata (il suo settimo album, se non abbiamo sbagliato il conto) è abbastanza stupefacente. 

Assistiamo al passaggio dal kitsch di certi chitarroni anni Novanta, con tanto di cori poderosi, a dissonanze di marca new wave, e poi episodi riflessivi su romantici riff di pianoforte, elettronica tagliente, addirittura ritmiche in odore di drum’n’bass! In questo sovraccarico sensoriale non tutto fila perfettamente, com’è normale, ma nel complesso l’album è costruito con estrema perizia ed efficacia.

Giovanni Milani, Fotografia N. 2

A modo suo è interessante anche Fotografia N. 2, seconda prova di Giovanni Milani. Lo sfondo a queste canzoni è praticamente jazz, dominato da pianoforte e sax (questo in carico allo stesso Milani). È quindi cantautorato sì, ma in un contesto abbastanza inusuale, e anche se qualcosa non funziona come dovrebbe (a dire il vero, un vocal coach per Giovanni avrebbe il suo da fare…) l’impressione generale è di un disco che non si accontenta delle soluzioni banali, e prova a sperimentare qualcosa di nuovo.

Łukasz Mrozinski, L’esistenza infinita di ogni momento nel tempo

D’altronde qui non siamo a X-Factor, e se c’è da parlare di una proposta interessante la bravura vocale dell’interprete conta relativamente. Per Łukasz Mrozinski si potrebbe fare la stessa critica per quanto riguarda la voce in L’esistenza infinita di ogni momento nel tempo; fragile, incerta, poco convincente. Non di meno le strutture musicali dell’album, che è peraltro la colonna sonora dell’omonima opera audiovisiva, sono assolutamente degne di nota: panorami di desolato spleen elettronico, tessiture acustiche sparse, oasi di frammenti melodici, in un continuum da 50 minuti per lo più improvvisato e senza sovraincisioni. Un gesto coraggiosamente imperfetto ma degno di nota, che è l’occasione per festeggiare la centesima pubblicazione dell’etichetta I Dischi del Minollo: auguri.

MaNiDa, Foreśìa

Chiudiamo coi solisti cantautorali e vediamo qualche pubblicazione più inusuale per conformazione e tipologia. È questo il caso di Foreśìa, l’esordio dei MaNiDa, un quartetto composto da batteria, contrabbasso, voce e sax tenore. Nessun strumento armonico, quindi, cosa tanto coraggiosa quanto (in teoria) limitante, che obbliga la band a fare scelte originali. È così che la voce di Martina Bergonzoni dialoga in mille modi col sax di Niccolò Zanella, a volte doppiando la melodia, altre creando contrasti misurati, altre ancora deflagrando in caos controllati; sono pezzi che spaziano dal jazz cameristico all’avanguardia rock di band come Slapp Happy, Fiery Furnaces o Orchestre Tout Puissant Marcel Duchamp. 

Il suono inevitabilmente risulta piuttosto scarno, ma proprio per quello acquisisce un fascino affilato e spiazzante che non lascia indifferenti, anche se per pubblicare l’album il gruppo ha dovuto andare a scovare una label in Norvegia (la AMP).

Linda Collins, Choices

Sicuramente poco allineata anche la proposta dei Linda Collins nel loro secondo album, Choices. Il terzetto torinese, che da questo disco si avvale anche del contributo vocale (decisivo) di Benedetta Sotgiu, propone una musica che potremmo definire indietronica per la sua capacità di arrangiare digitalmente le canzoni, evitando scontate soluzioni tipicamente rock. Ma non è mai un’elettronica invadente, anzi: l’uso che ne viene fatto è puramente funzionale, finalizzato alla creazione di atmosfere delicate, spesso impalpabili, che ricordano a volte certo cantautorato acustico anni Novanta (Sparklehorse, Smog), altre una sorta di post trip hop come nella fase anni zero dei Massive Attack (la voce di Sotgiu è molto affine a quel sound) o come nel glitch pop dei Notwist (senza glitch, però). Certamente qualcosa di molto originale nel panorama italiano, poco ma sicuro.

Bambini sperimentali vol. 1 

La benemerita 19:40, una delle migliori label di musica sperimentale d’Italia, torna con un tema a lei caro e già oggetto di passate frequentazioni: la musica per bambini. Ispirata dai tre meravigliosi volumi di Raymond Scott Soothing Sounds For Babies, la raccolta Bambini sperimentali vol. 1 traspone in chiave digitale alcuni temi adatti all’ascolto di un pubblico in tenera età, partendo dalla rielaborazione della famosa favola La mela e la farfalla; a seconda del compositore che se ne occupa, il disco copre sonorità diverse nelle sezioni Musica Elettronica (Sebastiano De Gennaro), Musica Plunderphonica (Francesco Fusaro) e Musica per Theremin (Vincenzo Vasi). Inutile dire che, malgrado il target di ascoltatori non sia quello, anche un adulto può rimanere facilmente affascinato da queste melodie volutamente semplici ma efficaci, facendo finta di perdere tutte le infrastrutture mentali costruite negli anni, e tornare bambino almeno per un’ora.

Analogic, Eva

Non c’è ancora in scaletta un disco di pop, e alla fine ho deciso di premiare degli esordienti, gli Analogic, e il loro disco Eva – anche se in realtà questa è una riproposizione, con stampa del vinile, di un disco uscito addirittura a dicembre 2023 (consentitemi lo strappo alla regola). Nomen omen: la band rifiuta l’uso del digitale e privilegia il live ai trattamenti di studio. Non ne faccio un punto di merito, onestamente; ma va detto che invece, dal punto di vista della scrittura, l’album riesce a toccare un’infinità di stili diversi mantenendo una sua credibilità. Rock, indie, metal, prog, jazz, funky… poteva essere un minestrone confuso e irrisolto, e invece ne esce un disco che fa dell’eclettismo la sua bandiera, e tocca corde diverse con un esito che a volte chiaramente non vi soddisferà, ma nella maggioranza dei casi si farà ampiamente apprezzare.

ÈRÌN Collective, Alternative positive

Però voi volete anche ballare, vero? Manca giustamente una dose di funky a questa lista, e allora vi suggerisco di dare un ascolto agli ÈRÌN Collective, gruppo di stanza a Bologna che tra membri fissi e ospiti arriva facilmente a 10 elementi, e che è dedito a un afrobeat ad altissima temperatura che non vi lascerà indifferenti. Con un contributo decisivo alle voci del nigeriano Devon Miles e del marocchino Reda Zine, il collettivo mette in scena un sound molto fiatistico e (ovviamente) dominato dalle percussioni che, tralasciando qualche virtuosismo strumentale un po’ stucchevole, vi vedrà irresistibilmente chiamati a muovere il culo e diventare schiavi del groove…

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