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L’eco dell’ultimo decennio del Novecento si riverbera nei nuovi lavori di Cristina Donà, Mauro Ermanno Giovanardi e Cesare Malfatti

Mauro Ermanno Giovanardi
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pop

La nidiata di artisti che cambiò, almeno in parte, i connotati della musica italiana alla fine del secolo scorso si è in qualche modo istituzionalizzata. Ne è simbolo, da quel punto di vista, Manuel Agnelli, la cui visibilità televisiva su scala X Factor – comunque la si voglia considerare – vale come certificazione di status. Lo stesso leader degli Afterhours, 20 anni or sono, mise – in qualità di produttore – la propria firma in calce al primo album di Cristina Donà, Tregua, insignito nel novembre 1997 della Targa Tenco per la categoria esordienti. Opera di grande valore che l’autrice, in occasione della ricorrenza, ha deciso di reinterpretare in maniera insolita. In Tregua 1997-2017 Stelle buone (Believe), le 11 canzoni della raccolta sfilano rispettando la sequenza originaria nelle versioni affidate a giovani interpreti nostrani. L’effetto è talora spiazzante (l’impeto quasi punk impresso all’iniziale “Ho sempre me” dal duo emiliano Io e la Tigre, oppure la cupezza in cui i bolognesi Zois hanno immerso “Senza disturbare”), ma in generale la sensazione è che vi sia equilibrio fra rispetto sostanziale e innovazione formale: brillano a riguardo lo spleen elettronico di Birthh ne “L’aridità dell’aria”, l’efficace minimalismo di Chiara Vidonis in “Raso e chiome bionde”, il gusto rarefatto attribuito dai Blindur a “Piccola faccia” e la diafana rilettura di “Tregua” offerta dagli abruzzesi Sherpa. Di suo, oltre a partecipare in voce agli altri dieci brani, la protagonista riserva per sé “Stelle buone”, resa impressionistica dagli arrangiamenti curati da Alessandro “Asso” Stefana.

Agli esordi, dopo averli conosciuti nel 1990 durante l’occupazione dell’Accademia di Belle Arti di Brera, Donà poté contare sulla protezione di Agnelli e Mauro Ermanno Giovanardi, a quei tempi ancora nei Carnival Of Fools. Quest’ultimo, a sua volta – e ripetutamente, da solista e con La Crus – destinatario del premio Tenco, si è impegnato in un progetto assai ambizioso: onorare cioè l’ondata musicale degli anni Novanta con un lavoro a soggetto, intitolato programmaticamente La mia generazione (Warner). Un jukebox di 13 canzoni d’epoca rielaborate a suo modo, ricorrendo agli interventi di alcuni esponenti della scena rappresentata nel disco. Ecco allora Rachele Bastreghi dei Baustelle duettare insieme a lui in “Baby Dull” degli Üstmamò, Samuel Romano dei Subsonica – appena tirati in ballo con “Lasciati” – fare altrettanto per “Cieli neri” dei Bluvertigo e l’ubiquo Agnelli dargli man forte nell’affrontare “Huomini” dei Ritmo Tribale. Quando arriva poi il momento di “Forma e sostanza” dei C.S.I. (Da Tabula rasa elettrificata, la cui ascesa verso la vetta all’hit parade nazionale nel settembre 1997 simboleggiò il cambiamento in atto), a soccorrerlo sono Emidio Clementi (Massimo Volume, dei quali all’epilogo viene ripresa “Il primo dio”) e Cristiano Godano (Marlene Kuntz, citati in precedenza con “Lieve”), eppure ciò non basta a trarlo d’impaccio: troppo ruggente l’originale, segnato dalla voce di Giovanni Lindo Ferretti, per accettare processi di pastorizzazione. Qui sta il difetto dell’album: unificato dal tratto distintivo del timbro roco e profondo di Giovanardi, nonché da un ricorrente uso dell’armonica a bocca con tono “morriconiano”, tende sovente a togliere vigore ai singoli episodi (accade ad esempio alla trascrizione in chiave blues della classica ballata hip hop di Neffa “Aspettando il sole” e a “Non è per sempre” degli Afterhours), mentre le cose funzionano meglio su canovacci più affini, tipo i Mau Mau in moviola di “Corto Maltese” e la Donà – così chiudiamo il cerchio – di “Stelle buone”.

Complice di Giovanardi nel caso La Crus, Cesare Malfatti ne costituiva il motore musicale. In questi giorni pubblica su etichetta Riff una collezione di “canzoni perse”, ritrovate nel cassetto e restituite alla vita dalla partnership con il manovratore di tastiere Stefano Giovannardi (curiosa l’omonimia sfiorata) e la cantante Chiara Castello. Si tratta di cantautorato in ambiente elettronico, per riassumerlo in una formuletta: garbato nella scrittura, dal portamento elegante e dunque gradevole all’ascolto. Non brilla per originalità, ma in alcune circostanze si lascia apprezzare: la dimensione astratta di “Lo sai lo sai”, l’impulso vagamente rock conferito dalla chitarra elettrica a “Io sognai” e l’andamento trip hop di “45 giri”, che sa tanto di Massive Attack, a proposito di anni Novanta.

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