Il nuovo biopic su Bob Marley è una grande occasione sprecata

Il film Bob Marley: One Love del regista Reinaldo Marcus Green non riesce ad andare oltre gli stereotipi

Marley One Love Film
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Incentrato sugli anni che vanno dal 1976 al 1978, Bob Marley: One Love il film del regista Reinaldo Marcus Green, lo stesso di King Richard – non riesce a restituirci Bob Marley come persona, limitandosi a dipingerlo come un manifesto di quelli appesi nelle camerette dei ragazzi.

Premesse importanti: ho visto il film nell’unico cinema della mia città che lo proietta, uno di quelli appartenenti al circuito UCI, quindi popcorn, patatine, odore di fritto ormai penetrato nelle poltrone, bevande gassate – soprattutto una che non nominerò – con conseguenti rutti non sempre smorzati, tutti aspetti che, come potrete immaginare, in qualche maniera influiscono negativamente sul mio giudizio. In più il film era doppiato: un crimine, si è persa tutta la cantilena musicale del patois giamaicano e a volte la traduzione ha raggiunto livelli di ridicolaggine davvero imbarazzanti.

Il film era doppiato: un crimine, si è persa tutta la cantilena musicale del patois giamaicano e a volte la traduzione ha raggiunto livelli di ridicolaggine davvero imbarazzanti.

I biopic di musicisti famosi a livello planetario raramente sono belli, spesso perché inciampano su una domanda molto semplice: a quale pubblico ci stiamo rivolgendo?

Stiamo facendo un film destinato ai già iniziati, a quelli che si definiscono i die-hard fan, desiderosi di vedere la vita e l’epoca del loro eroe come le avrebbero dipinte loro, con tutti i dettagli al loro posto? Oppure il nostro film è uno zerbino con la scritta Welcome destinato ai neofiti, un jukebox assolutamente disinvolto di grandi successi destinato a coltivare nuove generazioni di fan, dando gas, già che ci siamo, al conteggio degli streaming e alle vendite del catalogo?

Il più delle volte i biopic non arrivano a trovare una soluzione, in parte perché generalmente devono servire un terzo padrone che si chiama family trust del musicista in questione, che tende a imporre le proprie specifiche idee a proposito della descrizione sullo schermo: nel caso specifico la Bob Marley’s Estate (nelle persone di Rita, Ziggy e Cedella Marley, anche tra i produttori) è intervenuta pesantemente, con risultati più che discutibili.

One Love Film Bob Marley

Il film abbraccia un periodo che va dal 1976, quando l’irrequietezza politica in Giamaica stava degenerando e Marley riuscì a stento a sopravvivere a un tentativo di omicidio nei suoi confronti, attentato in cui rimasero coinvolti anche sua moglie Rita e il suo manager Don Taylor e che diede lo spunto per la canzone “Ambush in the Night”, inclusa nell’album Survival (1979).

Passa poi attraverso il periodo inglese, in una Londra in piena era punk (nel film compaiono brevemente anche dei finti Clash che cantano “White Riot”, vi risparmio il mio giudizio) dove Marley e i suoi Wailers registrano Exodus, album fondamentale della loro discografia con la celebre copertina ideata da Neville Garrick, il grafico amico di Bob scomparso nel novembre dello scorso anno, e arriva fino al 22 aprile 1978, vale a dire il suo ritorno in Giamaica per il One Love Peace Concert

 «Ambush in the night / All guns aiming at me / Ambush in the night / They opened fire on me now / Ambush in the night / Protected by His Majesty» - “Ambush in the Night”

Flashback sbrigativi, quasi frammenti subliminali, fanno riferimento ai traumi dell'infanzia di Marley – il padre Norval, giamaicano bianco di discendenza inglese, che lo abbandona quasi subito e la madre Cedella che si traferisce negli USA in cerca di fortuna –, mentre più sostanziosi sono gli assaggi di Marley come giovane musicista, anche se in fin dei conti interrompono il flusso del film e risultano troppo stereotipati per aggiungere qualcosa di significativo alla comprensione dell’uomo che sarebbe diventato.

In ogni caso ho apprezzato quel paio di minuti dedicati ai Wailers originali mentre eseguono con entusiasmo quel gioiello di “Simmer Down” – una volta registrato raggiunse la prima posizione della classifica giamaicana nel febbraio 1964 - durante il provino a Studio One davanti a Coxsone Dodd e Lee “Scratch” Perry (non si sa perché qui ritratto quasi come una macchietta: ehi Ziggy, sciacquati la bocca quando parli del Mighty Upsetter, mi hai sentito?

E già che ci sono, altre due rimostranze: la prima riguarda l’episodio di Dodd che minaccia con la pistola prima una persona e poi il gruppo e che non è mai avvenuto; Dodd aveva mille difetti, tra cui la ritrosia nel pagare gli artisti, ma non era persona violenta, a differenza del suo grande rivale Duke Reid, il boss dell’etichetta Treasure Isle, che probabilmente è stato usato come ispirazione per dare vita a questo episodio, colorito nelle intenzioni ma penoso nell’esito e soprattutto falso.

La seconda riguarda Beverley Kelso, l’ultima cantante dei Wailers originali ancora in vita e che a mio avviso meritava di essere almeno nominata.

 Bob Marley: One Love vede come attori protagonisti Kingsley Ben-Adir nei panni di Marley, che fa del suo meglio nel ruolo malgrado non assomigli più di tanto a né parli come il vero Marley (una curiosità: negli ultimi quattro anni Ben-Adir ha interpretato Malcolm X, Barack Obama e Bob Marley, completando così un trittico di personaggi storici).

Altra cosa fastidiosa: Ben-Adir raramente ha più consistenza delle nuvole di fumo di ganja che riempiono continuamente ogni fotogramma in cui è coinvolto, generando un fastidioso senso di noia. Lashana Lynch interpreta Rita e ruba la scena ogni volta che compare, anche se la sceneggiatura non riesce a innalzare il suo personaggio al di sopra di quello classico nonché scontato della moglie che soffre per i tradimenti – di cui per altro si parla poco o nulla e i cui frutti, vale a dire otto figli, vengono nominati solo una volta e definiti elegantemente “bastardi” – ma è comunque di sostegno a quel genio di suo marito.

Frammenti di “Redemption Song” emergono come motivo musicale ricorrente e in una delle ultime scene del film vediamo Marley suonare questa canzone per la sua famiglia totalmente rapita, un momento platealmente sdolcinato nonché anacronistico: Marley non scrisse questa canzone fino al 1979.

Sono passati 42 anni dalla morte di Marley, avvenuta all’età di 36 anni per una rara forma di melanoma e non sono sicuro che ci sia un altro musicista così globalmente emblematico. Per alcuni cinici Marley è diventato l’impersonificazione di un musicista di cui la gente possiede i manifesti e le T-shirt ma che in realtà non ascolta, il che non è totalmente onesto nei confronti della maggior parte dei possessori di quei manifesti e di quelle T-shirt.

Alcuni dei dischi di Marley sono ancora enormemente popolari: la sua compilation del 1984 Legend è da 822 settimane nella Billboard 200 e l’uscita del film prolungherà ulteriormente il suo successo (sarà molto difficile comunque che riesca ad avvicinarsi al record di Dark Side of the Moon dei Pink Floyd, presente in quella classifica da 51 anni). Nell’immaginario culturale pop Legend ha completamente eclissato qualsiasi altro disco Marley abbia realizzato in precedenza: ha venduto più di 15 milioni di copie solo negli Stati Uniti, mentre in quel mercato nessun altro suo disco ha raggiunto il milione di copie vendute, neanche Exodus.

Ne deriva che per molti fan Legend è il primo e unico disco di Marley che ascolteranno: non mi viene in mente un’altra greatest hits compilation che abbia avuto un ruolo così ingombrante nella definizione pubblica di un artista.

Per carità, Legend è una raccolta carina ma l’idea che sia una sinossi definitiva della carriera di Marley è semplicemente assurda: per i pochi che non la conoscono, 10 dei suoi 14 brani sono del periodo 1977–1980, 4 anni che rappresentano la vetta della popolarità globale di Bob ma che sono uno spaccato piuttosto minuscolo di un’incredibile carriera discografica lunga quasi due decenni e molto prolifica (5 delle 10 canzoni che compongono Exodus sono incluse in Legend, una delle ragioni per cui One Love è così dedito a rimarcarne il valore: il mio è solo un sospetto ma, come diceva Giulio Andreotti, «a pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca»). 

Ecco, One Love mi fa un po’ l’effetto di Legend, ha lo stesso approccio, ne è la versione cinematografica: se non il pubblico, almeno lui, Robert Nesta Marley, nato a Nine Mile il 6 febbraio 1945 e morto a Miami l’11 maggio 1981, meritava qualcosa di meglio.

Ora più che mai, One Love!

 P.S. Sono contento di segnalare il libro di Federico Traversa One Love – Bob Marley – Il Romanzo (Edizioni Il Castello): romanzo per l’appunto, come correttamente riportato sulla copertina, ma con solide e corrette basi storiche e conoscenze di prima mano di membri della famiglia Marley.

Un libro scritto durante la pandemia, un raccolto personale, addirittura intimo, che crea un parallelo tra la malattia di Marley e quella che ha colpito il fratello dell’autore: dolore, fatica, disperazione, ma anche la serenità fornita dalla famiglia e da quella musica in levare che quando ti colpisce non senti dolore.

One Love Federico Traversa

 

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