Julie Byrne
Not Even Happiness
Basin Rock
Aveva imparato a suonare fingerpicking seguendo l’esempio del padre, che infine – una volta reso inabile dalle conseguenze della sclerosi multipla – le affidò lo strumento. Non ancora maggiorenne, si allontanò dalla natia Buffalo, avventurandosi in un percorso nomade in giro per gli States. “Ho trascinato le mie vite attraverso il paese/E mi sono chiesta se il viaggio mi avrebbe condotta da qualche parte”, canta nell’episodio conclusivo, “I Live Now As a Singer”, sostenuta eccezionalmente da solenni accordi di sintetizzatore.
Poiché vive adesso come una cantante, invita a seguire la sua voce: così è intestata appunto l’ouverture dell’album (secondo della serie, benché il precedente Rooms With Walls and Windows altro non fosse che la replica su disco delle canzoni contenute in un paio di cassette amatoriali). Qui afferma: “Per me questa città è l’inferno/sono fatta per il verde, fatta per stare sola”. Allude a New York, dove ha preso dimora tre anni fa e sbarca il lunario lavorando da guardia stagionale a Central Park: «Lo considero un santuario, non solo perché riconnette i newyorkesi con la natura, ma anche per la fauna e la flora selvatiche che vi trovano rifugio», ha spiegato in un’intervista. Affacciandosi poi da una spiaggia sull’Atlantico, ha sperimentato una sensazione di pienezza non barattabile «nemmeno con la felicità», da cui il titolo dell’album.
Personaggio insolito e quasi anacronistico, insomma, la ventiseienne Julie Byrne mette in musica la propria sfera emotiva mostrando maturità sorprendente ed espone istantanee del suo girovagare: un tragitto nel cuore della nazione (in “Melting Grid”, che si muove con portamento languido fra Kansas, Arkansas e Wyoming) oppure un’alba in Colorado (nella squisita “Natural Blue”).
L’attitudine è spiccatamente autobiografica e introspettiva, come in un verso dell’iniziale “Follow My Voice”: “Ho un’anima complicata”, confessa. Ha voce quieta e vellutata, fedele compagna della quale è la chitarra, con rare e sobrie decorazioni d’archi o flauto, eccezion fatta – dicevamo – per il brano di chiusura, affine ai sognanti scorci di pop “ambientale” tipici di Julia Holter. Altrove le analogie rimandano invece a folksinger del tempo andato: Vashty Bunyan o Gillian Welch, a tratti persino la giovane Joni Mitchell, per quanto sue dichiarate fonti d’ispirazione siano poeti quali Frank O’Hara, Kenneth Patchen e Adrienne Rich, oltre a Leonard Cohen. Registrato nella stanza in cui trascorse infanzia e adolescenza, Not Even Happiness ha tono intimista e rivela le proprie qualità con una certa reticenza: un’esperienza d’ascolto idonea alla stagione invernale.