Destroyer
Poison Season
Dead Oceans
Dan Bejar ha varcato da poco la soglia dei quarant'anni ed è in attività quasi da venti con lo pseudonimo distruttivo che designa le imprese discografiche di cui ha piena titolarità (collabora poi con vari connazionali, tra i quali - più noti di tutti - i New Pornographers). Poison Season è la decima della serie e viene dopo Kaputt (2011), finora il suo maggiore best seller, ancorché sulla scala delle decine di migliaia di copie. Se quell'album aveva come centro di gravità il suono sintetico del pop anni Ottanta, qui stiamo da un'altra parte, a conferma di quanto irrequieto sia il suo estro da outsider: diciamo nei Settanta, per una certa inclinazione al glam di Lou Reed (esemplare la triplice apparizione di "Times Square", in testa, in coda e a metà della sequenza) e David Bowie ("Midnight Meet the Rain"), benché l'interessato - interpellato da "The Guardian" - abbia citato quali fonti d'ispirazione il Sinatra anni Cinquanta e Billie Holiday.
Allude forse al vago profumo di jazz che affiora in alcune orchestrazioni ("Forces form Above", "Sun in the Sky") o a certi rimandi alla belle époque di Broadway (ad esempio in "Hell"): fattori che influiscono relativamente sull'identità dell'opera, imperniata viceversa su un'idea di canzone pop che sappia essere al tempo stesso malinconicamente confidenziale e raffinata negli arrangiamenti di archi e fiati ("Girl in a Sling", "Solace's Bride" e "Bangkok", una più affascinante dell'altra, ne sono dimostrazioni eloquenti). L'insieme ha la fisionomia di un piccolo capolavoro, che nel genere, in ambito indipendente, rivaleggia quest'anno con Carrie & Lowell di Sufjan Stevens.