«Ci vedo doppio: due Capossela!». La seconda serata del Tenco 2009 - lo diciamo subito, unanimemente una delle più belle degli ultimi anni - si è idealmente chiusa con il duetto notturno tra Capossela e il suo emulo Alessandro Mannarino. Il giovane romano, visto al Primo Maggio e in tv dalla Dandini, aveva candidamente confessato in conferenza stampa il suo amore per il maestro Vinicio, cui deve certo più di un'ispirazione, dal timbro vocale fino a barba e cappello. Sul palco del Dopotenco, "Pena de l'alma" e "Corvo Torvo" hanno regalato al primo l'onore di suonare con il suo "padrino" (la definizione è di Capossela) e al pubblico degli addetti ai lavori una curiosa sensazione di straniamento. Adeguata chiusa, comunque, ad una serata che si era aperta sul palco dell'Ariston con Capossela e la sua formazione di "strumenti inconsistenti", il freak trio theremin - sega musicale - cristallarmonium: uno strumento, quest'ultimo, composto da calici di cristallo, «che provoca l'ipnosi, ideale per irretire le persone» dice Capossela. E funziona.
Il pubblico riconoscimento dei maestri è stato a ben vedere una costante della giornata. Lo stesso Capossela aveva ammesso in tarda mattinata il suo amore per Daniel Melingo, comparendo anche alla presentazione del libro di Horacio Ferrer che vedeva l'argentino protagonista. L'arrivo di Melingo nel foyer non ha mancato di sconcertare molti presenti: chi cercava tra la folla lo stiloso tanguero nerovestito, come da press photo, a fatica lo ha riconosciuto con il suo look alla Manu Chao, coppola di lana e giacca della tuta aperta. Minimale (per non dire reticente) nelle risposte, il porteño, nonni rebetici e parenti triestini, infila almeno due aforismi di quelli da annotare: «il rock è parte del tango» e la meravigliosa, all'ennesima domanda, «no tengo nada que decir sin cantar». Cantando, poi, ne dice di cose: si contorce sul palco, si spoglia rimanendo scalzo e in canottiera (eppure stiloso. Come fa?), si concede un meraviglioso solo di clarinetto, cantandoci anche dentro.
Se quello di Daniel Melingo è stato il set migliore della serata, non ce ne voglia Max Manfredi, che segue a ruota. Il cantautore genovese riceve la Targa da Gianni Mura (anche lui particolarmente minimale nel discorso: «bravo, meritata, era ora») e si concede tre episodi da Luna Persa con sontuosi arrangiamenti, fino a strappare a furor di popolo un non previsto bis ("Notti slave").
Un'ultima perla da annotare: "Montesole" fatta da Ginevra Di Marco; da brividi. Finale tutto dedicato ai nostalgici (non sono pochi al Tenco, lo avrete capito ormai) con Vittorio De Scalzi, a Sanremo per presentare il suo recente lavoro su testi inediti di Riccardo Mannerini. Splendidi i testi, non emozionanti le canzoni. Di lì il passaggio a Senza orario senza bandiera è chiamatissimo. Facile indovinare i bis (non sforzatevi: "Signore, io sono Irish" e "Miniera").
Insomma, anche ieri non abbiamo trovato il nuovo Capossela (no, non può essere Mannarino: è bravo, ma - per ora - troppo simile all'originale). Ma ci si divertisse sempre così tanto a cercarlo...
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Il pubblico riconoscimento dei maestri è stato a ben vedere una costante della giornata. Lo stesso Capossela aveva ammesso in tarda mattinata il suo amore per Daniel Melingo, comparendo anche alla presentazione del libro di Horacio Ferrer che vedeva l'argentino protagonista. L'arrivo di Melingo nel foyer non ha mancato di sconcertare molti presenti: chi cercava tra la folla lo stiloso tanguero nerovestito, come da press photo, a fatica lo ha riconosciuto con il suo look alla Manu Chao, coppola di lana e giacca della tuta aperta. Minimale (per non dire reticente) nelle risposte, il porteño, nonni rebetici e parenti triestini, infila almeno due aforismi di quelli da annotare: «il rock è parte del tango» e la meravigliosa, all'ennesima domanda, «no tengo nada que decir sin cantar». Cantando, poi, ne dice di cose: si contorce sul palco, si spoglia rimanendo scalzo e in canottiera (eppure stiloso. Come fa?), si concede un meraviglioso solo di clarinetto, cantandoci anche dentro.
Se quello di Daniel Melingo è stato il set migliore della serata, non ce ne voglia Max Manfredi, che segue a ruota. Il cantautore genovese riceve la Targa da Gianni Mura (anche lui particolarmente minimale nel discorso: «bravo, meritata, era ora») e si concede tre episodi da Luna Persa con sontuosi arrangiamenti, fino a strappare a furor di popolo un non previsto bis ("Notti slave").
Un'ultima perla da annotare: "Montesole" fatta da Ginevra Di Marco; da brividi. Finale tutto dedicato ai nostalgici (non sono pochi al Tenco, lo avrete capito ormai) con Vittorio De Scalzi, a Sanremo per presentare il suo recente lavoro su testi inediti di Riccardo Mannerini. Splendidi i testi, non emozionanti le canzoni. Di lì il passaggio a Senza orario senza bandiera è chiamatissimo. Facile indovinare i bis (non sforzatevi: "Signore, io sono Irish" e "Miniera").
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