I tifosi del Venezia e il canto del gondoliere

La promozione del Venezia Calcio riporterà in Serie A uno dei canti dei tifosi più originale e emozionante, "El gondolier"

Canzoni venezia El Gondolier Pope
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La sensazione la vivo per la prima volta negli anni Ottanta, nel Palazzetto dell’Arsenale di Venezia dove giocava la Reyer prima di spostarsi al Palasport Taliercio di Mestre, con il pubblico a ridosso dei giocatori, in una sorta di rituale potentissimo. 

Le squadre entrano in campo.

Presto l’aria sarà piena dei suoni della partita e soprattutto delle urla delle tifoserie.
Sarà piena di insulti, più o meno sconvenienti da citare, di «forza ragazzi» e «alé alé alé», di sbertucciamenti degli avversari e dell’arbitro.

Ma prima che il paesaggio sonoro si colori di quei graffiti, proprio mentre le squadre entrano in campo e alzano lo sguardo verso le tribune, migliaia di mani tendono verso l’alto le sciarpe con i colori della squadra. Un muro di sciarpe.
E inizia il canto.

Il canto è “El gondolier (Pope)”. 

Lo cantano tutti, ultras e semplici spettatori, vecchi e giovani.
Lo cantano in modo energico, ma mai sguaiato (per quello basta attendere qualche minuto o il primo errore arbitrale), lasciando che si libri nell’aria:

Pope! Oeh! Pope! Oeh!
Gondola, gondola, oeh!

Notte de luna,
notte piena de stele,
vogo in laguna, vogo
e vogio cantar.

Mi son el gondolier
che in gondola te ninòa,
se el remo in forcòla sigòa,
coverze el scìoco dei basi.

Mi son el gondolier
che ancora in mar ve dondola,
no ste a curarve de mì,
mi fasso andar la gondola.

(Pope! Oeh! Pope! Oeh!
Gondola, gondola, oeh!

Notte di luna,
notte piena di stelle,
vogo in laguna, vogo
e voglio cantare.

Io sono il gondoliere
che in gondola ti culla,
se il remo cigola nella forcola (scalmo)
copre lo schiocco dei baci.

Io sono il gondoliere
che ancora in mare vi dondola,
non fate caso a me,
io faccio andare la gondola.

Anche per le squadre e i tifosi avversari che ne colgono a malapena le parole, l’effetto è sorprendente: un muro di suono dolce ma deciso, scolpito come una certezza nell’aria tesa, una melodia che stabilisce la cornice identitaria di Venezia, che cantano tutti, anche il distinto avvocato in tribuna che – probabilmente – si asterrà dagli improperi e della insolenze degli altri inni.

Un canto che potrebbe sorprendere trovare in una sede di tifoserie sportive, perché non cita mai la parola "Venezia", né parla di sport, di basket o di calcio. Non inneggia a coraggio o altri sentimenti di legame con la squadra (come nel caso, celebre, del Liverpool e di "You’ll Never Walk Alone").

Ricorda piuttosto quel “No Potho Reposare” che accompagna le partite del Cagliari. 

Un canto che racconta in modo semplice, poetico e in fondo un po’ malinconico – nonché assai romantico rispetto ai ritmi e le modalità dell’odierno overtourism – il ruolo del gondoliere, che in una notte veneziana conduce la gondola e esorta i due innamorati a non curarsi di lui, che è presente (e ce lo dice, vuole che questo ruolo sia chiaro), ma al tempo stesso chiede di non essere presente, di diventare quasi un dettaglio di questo paesaggio romantico.

Ricordo abbastanza distintamente (anche se sono passati 35 anni) le primissime volte in cui mi sono trovato in mezzo a questo canto, cercando di capirne le parole, imparandole progressivamente scimmiottando gli altri (mediamente allo stadio si sentono inevitabilmente stonature, incongrue accelerazioni e alcuni errori/semplificazioni del testo originale), emozionandomi per il rapidissimo potere evocativo e identitario della musica, ma anche chiedendomi come mai quel canto fosse finito proprio lì, sulle tribune di un luogo di sport.

Già. Come ci è finita quella canzone su quegli spalti? E che canzone è?

Sarà una canzone antica, penserete voi. E invece no. “El gondolier (Pope)” non è un brano popolare molto antico. Anzi.La prima incisione risale alla metà degli anni Sessanta da parte di Umberto Da Preda, importante e amatissima figura di cantante cittadino che era reduce dalla vittoria alla Gondola d’Oro di pochi anni prima. Una figura emersa prima dell’attenzione per la riscoperta del repertorio folk locale da parte del Canzoniere Popolare Veneto, ma molto amata in città.

Umberto Da Preda

L’avrà scritta qualche autore intriso di venezianità, penserete voi.

E invece no nemmeno in questo caso.
La musica della canzone è addirittura di Bruno Canfora, arrangiatore e direttore d'orchestra pazzesco, uno che nella sua carriera ha scritto e arrangiato cose come "Vorrei che fosse amore" o "Brava" di Mina, "Stasera mi butto" di Rocky Roberts, "Il ballo del mattone" della Pavone o le canzoni delle Gemelle Kessler. Un milanese purosangue, mica uno di Cannaregio!

Le parole sono di Emilio Daniele, meglio noto con lo pseudonimo di De Vera, storico violinista del Maestro Cinico Angelini e autore anche delle parole di "Basta" di Celentano.
Un piemontese, mica Bepi della Giudecca!

Il tema è classico, quello della gondola, che Da Preda conosce bene tramite le interpretazioni di "La biondina in gondoleta", la cui versione musicale più conosciuta è composta da un autore tedesco, Johann Simon Mayr, o di una "Voga, Voga, Cocola", che è invece di un romagnolissimo Casadei!

Mica male come serie di cortocircuiti, vero?

Una canzone scritta da dei non veneziani, che diventa in pochi passaggi una canzone percepita come classica (anche ben più vecchia di quanto non sia) e che si attiva come dispositivo identitario in un contesto totalmente diverso come quello del tifo organizzato. Un dispositivo identitario che è sopravvissuto indenne sia alle travagliate vicende della fusione tra le squadre di Venezia e Mestre nel 1987, che allo spostamento della Reyer nel palazzetto di Mestre. 

Non è chiaro chi l’abbia “portata” sugli spalti di uno stadio o un palazzetto e esattamente quando. Così come non è chiaro perché proprio “El gondolier (Pope)” e non un’altra canzone che parla di Venezia (ma un tempo era anche facile sentire sugli spalti le note dell’"Inno a San Marco”).

Quello che è certo è che la presenza così forte di questa canzone come vessillo sonoro di una tifoseria racconta forse senza nemmeno volerlo la straordinaria fluidità di segni che il sentimento di appartenenza innesca.

Il tifoso o la tifosa che cantano “El gondolier (Pope)” in fondo non hanno bisogno di ribadire in modo assertivo a giocatori e ultras avversari di essere di fronte a dei “Veneziani”: gli basta farsi “portare” dal canto del gondoliere, il rituale è coesivo e evocativo e poco importa che queste immagini che sembrano riflettersi sul pelo dell’acqua da tempi immemori vengano dall’immaginazione di autori non veneziani. 

La capacità di includere, di trasformare il territorio e le sue storie, è infatti la qualità più intima e nascosta di questa città.
E i segni li si possono ritrovare anche dietro un muro di sciarpe nella curva dei tifosi.

Un po’ inaspettatamente di nuovo in serie A, come nel basket!

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