I festeggiamenti per i quarant’anni di attività dei Cure proseguono con la pubblicazione di 40 Live: Curaetion-25 + Anniversary, cofanetto a tiratura limitata contenente due Blu-ray/DVD e quattro CD che coprono la notte finale del Meltdown Festival dello scorso anno, alla Royal Festival Hall di Londra, e Anniversary: 1978-2018 Live in Hyde Park, London, con l’aggiunta di un libretto di quaranta pagine.
Smisi di seguire le uscite discografiche dei Cure dopo la pubblicazione di The Head on the Door nel 1985: se ben ricordo, non ci fu un motivo scatenante, anzi il disco mi piacque abbastanza, semplicemente mi ero stufato. Continuavo ad avere loro notizie grazie ai video che passavano in televisione – i tormentoni “Just like Heaven”, “Lullaby”, “Lovesong” e “Pictures of You” – e mi faceva piacere che il gruppo esistesse ancora dopo aver passato momenti di turbolenza che avevano messo a rischio il prosieguo delle attività. Mi ero disintossicato dopo anni in cui davo la caccia ai singoli e andavo ai loro concerti – anche a quello del 1982 di Siouxsie and The Banshees in cui Robert Smith era il chitarrista. Non ascoltavo neanche più i dischi del periodo 1979 -1985, li trovavo improvvisamente fastidiosi, soprattutto Pornography, che al tempo avevo adorato.
Col senno di poi sono giunto alla conclusione che Robert Smith, leader e unico membro costante nelle varie formazioni del gruppo, è soprattutto uno scrittore di grandi canzoni pop e non il ragazzo immaginario che addolciva o aumentava, a seconda delle situazioni, il mio spleen adolescenziale, quello che, pur avendo un gruppo che si chiamava “la cura”, avrebbe voluto morire prima del compimento del venticinquesimo anno d’età.
“Ho cercato di riderci sopra, mascherare tutto con bugie, ho cercato di riderci sopra, nascondendo le lacrime nei miei occhi perché i ragazzi non piangono” – “Boys don’t Cry”
E allora Curaetion-25: From There To Here, From Here To There, il concerto finale del Meltdown Festival, è l’occasione per riprendere il contatto e, in un certo senso, fare la pace con Robert Smith. Un Robert Smith che ormai assomiglia a quella zia stramba e un po’ suonata che è presente in ogni famiglia, sempre più simile al personaggio interpretato da Sean Penn e ispirato alla sua figura nel film di Sorrentino This Must Be the Place.
From There To Here, tredici canzoni, una per ogni album del gruppo, da "Three Imaginary Boys" a "It’s Over", poi due inediti, “It Can Never Be the Same” (nulla di nuovo ma funziona, sono i Cure che fanno i Cure al loro meglio, con la voce di Smith che parla la lingua giusta al cuore del pubblico, a giudicare dal boato finale), seguito dall’innocuo “Step into the Light”, quindi From Here To There, di nuovo tredici canzoni ma in ordine cronologico invertito, da “The Hungry Ghost” a “Boys don’t Cry”.
Non siamo di fronte a un disco fondamentale nella discografia del gruppo, è piuttosto la celebrazione di un traguardo importante, probabilmente impensabile, qualcosa del tipo “siamo invecchiati ma siamo ancora qui e adesso vi facciamo sentire cosa siamo stati capaci di fare”.
Lo stesso dicasi per Anniversary: 1978-2018 Live in Hyde Park, London, trenta canzoni che pescano nel repertorio più consolidato del gruppo, e allora via con “Killing an Arab”, “10:15 at Saturday Night”, “Friday I’m in Love”, “The Caterpillar”, “Lullaby” e gli altri successi a seguire, con la sola assenza di “Charlotte Sometimes”.
E allora Robertino – sovrappeso, col rossetto sulle labbra, gli occhi bistrati e i capelli a cespuglio –, come cantava qualcuno prima di cadere dal divano, battere la testa e farsi le foto con Giorgia Meloni, curami, curami, curami, prendimi in cura da te.
“Mi ricordo mentre te ne stavi in silenzio nella pioggia mentre io correvo verso il tuo cuore per starti vicino, e ci baciammo mentre il cielo cadeva su di noi, tenendoti vicina, come ti ho sempre tenuta quando avevi paura” – “Pictures of You”