Nel 1968 il musicista Irmin Schmidt, in compagnia di Holger Czukay, Michael Karoli e Jaki Liebezeit, fondò a Colonia il gruppo di avanguardia Can, nel quale militarono per brevi periodi anche i vocalist Malcom Mooney e Damo Suzuki, che raggiunse un certo successo grazie agli album pubblicati nel periodo 1969-1973 e in seguito riconosciuti come altamente influenti quali Monster Movie, Soundtracks, Tago Mago, Ege Bamyasi e Future Days.
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A causa del suo suono sperimentale, originato dall’impulso del momento, il gruppo fu presto considerato rivoluzionario, lasciando un marchio indelebile su generazioni successive di musicisti.
Negli anni che fecero seguito allo scioglimento del gruppo, avvenuto nel 1979, Schmidt si fece un nome come compositore per le musiche di numerosi film, tra cui Palermo Shooting (2008) di Wim Wenders, con cui aveva già collaborato ai tempi dei Can per la colonna sonora di Alice nelle città. Schmidt, oggi quasi ottantaseienne, è riuscito nel compito non facile di reinventare sé stesso e la sua musica molte volte. Dopo l’avventura dei Can, ha realizzato 12 album come solista, composto le musiche per più di 120 film e un’opera.
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Nel documentario Can and Me, il carismatico artigiano di suoni ripercorre la sua vita e la sua carriera: il risultato è un’ode all’anticonformismo, alla spontaneità e alla creatività di un musicista straordinario.
Che cosa significa “suono”? E che cosa significa “silenzio”? Questo documentario è un ritratto intimo, poetico e contrastante della vita e del lavoro di Irmin Schmidt.
Il film, diretto da Michael P. Aust e Tessa Knapp, segue il suo percorso da direttore classico a pupillo dei famosi compositori Karl-Heinz Stockhausen e György Ligeti, dai Can al suo lavoro nel campo delle colonne sonore, fino al suo amore per la musica elettronica da club – nel 2016 preparò per The Guardian una playlist contenente musiche di Ben Frost, Swans, Arca, Laibach e l’amico Jaki Liebezeit.
«Qualsiasi cosa faccia Jaki la trovo estremamente interessante. Sono sempre affascinato da come riesce a trasformare una struttura molto minimale in un groove molto complesso. Lui è uno dei più grandi batteristi di sempre, il suo minimalismo è allo stesso tempo molto complesso; i suoi ritmi mi affascinano» – Irmin Schmidt
Il film dà il meglio di sé grazie al suo valore cinematografico, includendo filmati di un’epoca che ora, con la sua inclinazione all’eccentricità e alle sperimentazioni musicali avventurose, ci sembra coloratissima e un po’ pazza (il film si apre con un’esibizione del gruppo dal vivo di fronte a un pubblico di giovani nel quale spicca una ragazza che aspira tranquillamente da una pipetta da oppio, scena oggi impensabile).
La scomparsa di Holger Czukay e Jaki Liebezeit nel 2017 è stata la triste ispirazione per questo lavoro e lo stesso Irmin Schmidt non gode di buona salute ma è rimasto l’unico membro originario a poter raccontare in prima persona la storia del gruppo.
Ed ecco allora un caleidoscopio di concerti e dozzine di film per cui ha composto le musiche ad avvolgere un’intervista, registrata nella casa di Schmidt nella campagna provenzale, che ricostruisce le sue esperienze con l’accademismo classico, con i già citati Stockhausen e Ligeti, con le droghe e il minimalismo newyorkese, con il passato nazista di suo padre e con la sua smodata passione per il cinema.
«Le categorie non m’interessano più di tanto» – Irmin Schmidt
P.S. A chi fosse interessato ad approfondire ulteriormente la conoscenza della storia dei Can consiglio la lettura di All Gates Open: The Story of Can di Rob Young e Irmin Schmidt (Faber & Faber).
Il film è presentato in anteprima italiana a Seeyousound 2023 in collaborazione con il Goethe Institut di Torino e sarà proiettato nella sala 3 del cinema Massimo sabato 25 febbraio alle ore 18.00 (è prevista la presenza del regista Michael P. Aust) e in replica lunedì 27 febbraio alle ore 15.45, nella stessa sala.
Il giornale della musica è media partner di Seeyousound.