Fine anno, tempo di bilancio: ecco dunque Alberto Campo ed Ennio Bruno alle prese con i 20 migliori dischi pop del 2022.
“Pop” in senso molto lato, evidentemente. Del resto, essendo contrazione di “popular”, il vocabolo in sé risulta vago e pertanto accogliente. Conta piuttosto che metà esatta dei titoli sia di genere femminile.
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1. Makaya McCraven, In These Times, XL
La chiama “organic beat music”, poiché – dice – “la parola jazz è nel migliore dei casi inadeguata, e nel peggiore offensiva, per esprimere ciò su cui ci applichiamo”.
Frutto di sette anni di lavoro e imbastito con la tecnica del taglia-e-cuci, è un capolavoro che incorpora nella matrice originaria vibrazioni hip hop e reggae, suoni di sitar e violino zigano.
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2. Sudan Archives, Natural Brown Prom Queen, Stones Throw
Il nostro album R&B preferito di quest’anno è il secondo lavoro della cantante e violinista Brittney Parks: 18 brani caratterizzati da testi espliciti ed escursioni in altri territori sonori che in definitiva conferiscono al disco un’originale dimensione pop, amplificata dall’immagine pubblica piuttosto sfacciata della protagonista.
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3. Lucrecia Dalt, ¡Ay!, RVNG Intl.
Da tempo residente a Berlino, l’artista colombiana rivendica le proprie le radici e impiega sonorità e codici del folklore nativo per musicare un racconto fantascientifico ambientato sull’isola di Maiorca, citando fonti d’ispirazione cinematografiche quali L’uomo che cadde sulla Terra e Gena Rowlands in Love Streams di Cassevetes. Un futuro che sa di passato.
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4. Kokoroko, Could We Be More, Brownswood
L’ottetto londinese non fallisce il colpo al momento del debutto sulla lunga distanza. Innestando su un canovaccio jazz schegge di musica africana, dall’highlife targato Ghana all’afrobeat nigeriano, e insaporendo la ricetta con umori soul, fragranze reggae e spezie “funkadeliche”, avvera un’alchimia sonora che rasenta a tratti la perfezione.
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5. Horace Andy, Rockers & Scorchers, On-U Sound
A 50 anni da Skylarking, suo album di debutto per la leggendaria etichetta Studio One, Horace Andy si è affidato alle amorevoli cure di Adrian Sherwood e ha dato alle stampe un disco eccellente. Come già tre anni fa con Lee Perry, Sherwood ha scodellato anche il gemello dub di Midnight Rocker, intitolato Midnight Scorchers: un viaggio nella camera d’eco più calda d’Inghilterra.
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6. Anteloper, Pink Dolphins, International Anthem
La pagina triste della classifica: Jaimie “Breezy” Branch, con Jason Nazary fondatrice di Anteloper, è scomparsa il 22 agosto, neppure due mesi dopo l’uscita di questo disco. Musicista di grande spessore e persona di straordinaria umanità, ha lasciato un vuoto non ancora quantificabile. Detto ciò, la qualità dell’album potrebbe sembrare secondaria, e invece no: perché è altissima.
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7. Sault, 11/AIIR/Earth/Today & Tomorrow/Untitled (God), Forever Living Originals
Un premio alle generosità. Tantissima musica (cinque dischi per un totale di circa 220 minuti, cui andrebbero aggiunti inoltre i tre quarti d’ora di Air, pubblicato in primavera) resa disponibile – al solito – gratuitamente. Non tutto è perfetto, ma il collettivo guidato dal produttore Inflo si conferma una delle maggiori forze creative oggigiorno in circolazione.
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8. Moor Mother, Jazz Codes, Anti-
Nel disco più accessibile da lei realizzato finora, Camae Ayewa – la Madre Mora – celebra la cultura afroamericana con ampiezza di vedute e profondità di linguaggio, sostenuta dall’arredo sonoro confezionato da strumentisti amici, tra cui l’arpista Mary Lattimore e il pianista Jason Moran, nominando stelle polari quali Mary Lou Williams, Woody Shaw, Joe McPhee e Amina Claudine Myers.
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9. Yaya Bey, Remember Your North Star, Big Dada
Soul, jazz e reggae amalgamati in un calderone di potente R&B. Yaya Bey inanella storie tragicomiche della sua vita di donna nera alla ricerca di equilibrio: un personaggio incasinato e divertente, come se Fleabag fosse innamorata del soul psichedelico di Erykah Badu. “Sono una vera superstar, sono un fottuto affarone”: e se avesse ragione?
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10. Alabaster DePlume, Gold, International Anthem
Secondo lavoro per l’etichetta di Chicago del britannico Gus Fairbairn, sassofonista e sedicente oratore mascherato dietro uno pseudonimo bislacco, nell’occasione responsabile di una Babele frastornante a base di surreali sketch di quotidianità snocciolati su un fondale sonoro di musiche senza centro di gravità, fra jazz folk, reggae e bossa nova.
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11. Daniel Villareal, Panamá 77, International Anthem
Altro titolo targato International Anthem in lista: appartiene a Daniel Villareal, batterista dei Dos Santos. Il suo debutto da solista non è incasellabile in un genere ben preciso: fonde uno stile percussivo latinoamericano con influenze di rock psichedelico, cumbia, afrobeat, boogaloo, free jazz, hip hop e funk, dando vita a un paesaggio sonoro originale e totalmente contemporaneo.
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12. Cate Le Bon, Pompeii, Mexican Summer
Sentirsi libera da confinata in casa, ha detto la gallese Cate Timothy – rinominatasi Le Bon in onore del duraniano Simon – a proposito di questo disco realizzato nel “vuoto ininterrotto” creato dalla pandemia. Risultato: una combinazione di avant pop, progressive e post punk, con allusioni a Stereolab e Laurie Anderson. Sottofondo ideale per il Korova Milk Bar di Arancia meccanica.
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13. Jockstrap, I Love You Jennifer B, Rough Trade
Album d’esordio fantasioso ed eccentrico per il duo formato da Georgia Ellery e Taylor Skye, londinesi d’adozione: orchestrale in alcune parti, ma con interventi continui di strumenti digitali e inserti occasionali di chitarre indie-folk, riesce nell’impresa ardua di conferire coesione artistica a una cacofonia melodrammatica.
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14. Afrorack, The Afrorack, Hakuna Kulala
Il musicista ugandese Bamanya Brian si era posto l’obiettivo di decolonizzare l’hardware in ambito musicale: il suo Afrorack, primo sintetizzatore modulare made in Africa, ha messo in mostra quest’anno tutto il suo potenziale, permettendogli di disgregare le sonorità euroamericane con ritmi e scale tipiche dell’Africa orientale. Una delle scoperte più interessanti del 2022.
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15. Rosalía, Motomami, Columbia
Pop. Avant pop. Hyper pop. Post pop. Reguetón. Flamenco. El Guincho. The Weeknd. Tokischa. Pharrell Williams. James Blake. Burial. No me has olvida’o. Candy, candy, candy. “La Combi Versace”. Carla Bruni, wah, woh. Como Naomi en los 90. Multicolor. Roller coaster. Girl Power. Saoko, papi, saoko. Motomami. Spagnola. Tamarra. Insomma, La Rosalía.
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16. Big Thief, Dragon New Warm Mountain I Believe in You, 4AD
La Nuova Montagna Calda del Drago in cui affermano di credere i Big Thief corrisponde a una ventina di canzoni per una durata superiore agli 80 minuti. Un album doppio dall’identità variegata e a tratti persino incoerente che colloca il quartetto di Adrianne Lenker oltre i confini abituali dell’indie rock, tra ballate folk stile Dylan e post punk concettoso genere Talking Heads.
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17. Beyoncé, Renaissance, Columbia
A sei anni dal precedente Lemonade, Renaissance celebra la musica da club e il suo spirito all’insegna dell’emancipazione e – perché no? – del sudore. L’ultimo triennio è stato terribile e lei ci costringe a ricordare cosa si prova a sentirsi bene: “Non sprecate il vostro tempo a cercare di competere con me, nessun altro in questo mondo può pensare come me”. Spocchiosa, eccessiva, Beyoncé.
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18. Kendrick Lamar, Mr. Morale & the Big Steppers, PGLang
A cinque da Damn., premiato con il Pulitzer, è tornato a manifestarsi l’interprete più acuto dell’hip hop contemporaneo, scendendo dal piedistallo e mostrandosi vulnerabile. Ha scelto infatti di raccontare sé stesso, rievocando il proprio cammino dall’infanzia nel ghetto di Compton alla fama planetaria e indugiando sulla dimensione familiare. Un atto di coraggio.
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19. Destroyer, Labyrinthitis, Bella Union
Album numero 13 per Dan Bejar, che pure questa volta – come spesso in passato – è riuscito a ritagliarsi un posticino nei nostri cuori e in questa classifica. Fra Tintoretto, la fontana di Trevi e altri oscuri riferimenti nonsense, Destroyer ci ha imprigionato di nuovo nel suo labirinto senza uscita. Senza dimenticare che “June” è una delle canzoni più belle del 2022.
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20. Caterina Barbieri, Spirit Exit, Light-Years
L’opera finora più ambiziosa nel curriculum discografico della produttrice originaria di Bologna, che incastona la poesia di Emily Dickinson e il misticismo di Teresa d’Avila nella dimensione “post-umana” esplorata dalla filosofa Rosi Braidotti. Accanto ai beneamati sintetizzatori modulari, ai ascoltano pianoforte, chitarra elettrica e archi, ma soprattutto la voce.