Dieci album, di cui otto di artisti neri e gli altri due di artisti bianchi che si muovono ai margini della scena musicale “ortodossa”; Africa, R’n’B, jazz (forse), soul e niente rock; tre delle etichette più interessanti degli ultimi anni (Glitterbeat, Ostinato Records e International Anthem) e una che da più di quarant’anni è sinonimo di qualità (On-U Sound): questo il riassunto del mio 2023 discografico. A classifica già stilata mi sono reso conto che in ben due album compare Grace Jones: inutile dire che mi fa piacere.
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1. Dave Okumu & The 7 Generations, I Came from Love (Transgressive)
Il mio disco dell’anno è un affresco collettivo sulla blackness di ieri e oggi. 14 canzoni che compongono 4 capitoli accompagnati da altrettanti mini-film diretti da Nicolas Premier: un progetto ambizioso e perfettamente riuscito, avvicinabile, non per la musica quanto per l’attitudine, ai percorsi seguiti dagli Irreversible Entanglements, da Moor Mother, dai Sault e dai Mourning [A] BLKstar.
Come ebbi modo di scrivere quando lo recensii, questo disco è un viaggio che impegna sia la testa sia il cuore.
2. Faizal Mostrixx, Mutations (Glitterbeat)
L’eredità culturale ugandese, gli strumenti tradizionali e quelli elettronici miscelati in maniera poetica: questo e altro ancora è rintracciabile nel secondo lavoro dell’artista multi-disciplinare Faizal Mostrixx. Mutazioni, proprio come quelle che da un po’ di tempo stanno attraversando le diverse scene musicali africane: energie afro-cosmiche inarrestabili.
3. Jaimie Branch, Fly or Die Fly or Die Fly or Die ((world war)) (International Anthem)
Al netto dell’emozione e della tristezza per la sua precoce scomparsa, questo di Jaimie “Breezy” Branch è assolutamente un grande album. La sua tromba è un soffio di libertà che si fa strada tra il rumore, i canti, i groove e le melodie. Quando non si può più volare, si muore.
4. Victoria Monét, Jaguar II (RCA)
Se Jaguar II si pone come un’estensione del suo predecessore, è anche vero che offre qualcosa di fresco e differente, come del resto Victoria Monét ha sempre cercato di fare nel corso della sua carriera.
Album in cui compaiono, tra gli altri, Buju Banton, Kaytranada e gli Earth, Wind & Fire, Jaguar II è la perfetta esposizione del suo talento e di come lei sia l’incarnazione di un’artista che ha lavorato al massimo delle sue possibilità per ottenere il riconoscimento che il pubblico e la critica le stanno meritatamente tributando.
5. Lonnie Holley, Oh Me Oh My (Jagjaguwar)
Il 73enne musicista nonché artista visivo ha realizzato un album che si è rivelato un’autobiografia uditiva, una storia cosmica di sopravvivenza che sembra uscita da un romanzo di Faulkner, in larga parte ispirata alla sua vita. In un brano compare anche la voce di Michael Stipe. Musica soul in senso lato in grado di parlare all’anima, afro-futurismo messianico.
6. Amaarae, Fountain Baby (Interscope)
Il suo secondo disco è quello della conferma per la giovane artista divisa tra Accra e Atlanta, è lei la regina del pop africano. 14 canzoni che si snodano tra una miriade di generi, dalla dancehall al dream pop, dal flamenco al folk giapponese, dalla trap all’highlife, per arrivare, e non potrebbe essere diversamente, all’afrobeats, con la sua voce carezzevole a fare da filo conduttore.
Un’artista che non ha lasciato indifferente un’altra donna che incontreremo tra poco in questa classifica: mi riferisco a Janelle Monáe, non proprio una qualsiasi.
7. Creation Rebel, Hostile Environment (On-U Sound)
Dopo 41 anni di silenzio i Creation Rebel sono tornati, nuovamente in compagnia di Adrian Sherwood: 11 episodi, tra canzoni, strumentali e dosi massicce di dub, con un suono che rinverdisce quello classico del catalogo On-U a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta e la presenza in due brani del compianto Prince Far I.
8. Jantra, Synthesized Sudan: Astro-Nubian Electronic Jaglara Dance Sounds from the Fashaga Underground (Ostinato Records)
Dal distretto di Al-Fashaga, un fazzoletto di terra conteso tra Sudan, Etiopia ed Eritrea, arrivano le magiche tastiere “hackerate” di Jantra, un misterioso musicista fatto scoprire agli ascoltatori occidentali da Vik Sohonie, il boss dell’etichetta Ostinato Records.
La storia di questo disco “inconsapevolmente” afro-futurista è quella che più mi ha intrigato in questo 2023.
9. Janelle Monáe, The Age of Pleasure (Wondaland Arts Society / Atlantic)
Alla fine molti dei dischi che ho ascoltato quest’anno hanno a che fare, con declinazioni diverse, con l’afro-futurismo. Non fa eccezione il quarto album della scatenata Janelle Monáe, uno dei personaggi dell’anno anche grazie ai suoi successi cinematografici e alle sue prese di posizione in favore di categorie a vario titolo emarginate.
In questo caso però ci troviamo alle prese con un afro-futurismo colorato e sexy che esplora le vie che portano al piacere, colonna sonora perfetta per i giorni soleggiati e le notti appiccicose della passata estate. «I'm light as a feather yeah, baby, I float».
10. Lenhart Tapes, Dens (Glitterbeat)
Vecchie cassette di turbo-folk serbo acquistate nel corso degli anni nei mercati delle pulci “annegate” nei suoni industrial della Belgrado underground, i Throbbing Gristle che incontrano Le Mystère des Voix Bulgares: è l’ethno-noise di Vladimir Lenhart, un viaggio analogico tra walkman e loop ritmici in salsa balcanica.