Africaine 808
Basar
Golf Channel
Cavern of Anti-Matter
Void Beats / Invocation Trex
Duophonic
Prins Thomas
Principe Del Norte
Smalltown Supersound
Era dall’uscita nel 2010 di Dagger Paths di Matthew Barnes, in arte Forest Swords, che un album di un dj/produttore non ci provocava così tanto entusiasmo e, di conseguenza, ascolti ripetuti e ossessivi al limite del compulsivo. In realtà, qua i dj/produttori sono due, i berlinesi Dirk Leyers e Hans Reuschl (DJ Nomad), famosi come protagonisti delle serate Vulkandance, forse i party più aperti alla world music della capitale tedesca, dove da sei anni si intrecciano suoni provenienti dall’Africa, dal Sud America e dai Caraibi.
Basar, a nome Africaine 808, è il frutto dello spirito globale e meticcio di queste feste, dove il duo, complice una vecchia drum machine Roland TR-808, osa mescolare ritmi, melodie e atmosfere eterogenei. L’approccio, colto e intelligente, è il frutto di ascolti ed esperienze molto, molto vari, che comprendono anche la collaborazione di Leyers con il cileno Matias Aguayo e quella di Reuschl con il celebre dj italiano Beppe Loda, un vero precursore a cavallo tra anni Settanta e Ottanta di questo tipo di ibridazioni tra dance e afro.
Per realizzare questo loro primo long playing, i due tedeschi sono stati aiutati da due formidabili percussionisti, il ghanese Eric Owusu e il congolese Jean Dominique “Dodo” N’Kishi (già collaboratore dei Mouse On Mars), da varie cantanti (Dasha, Nova, l’israeliana Ofri Brin) e da un dj inglese nella curiosa veste di narratore in “Language of the Bass”, un pezzo che racconta l’avvento dei soundsystem negli anni Ottanta (Alex Voices). Insieme con loro hanno costruito un avvincente bazar sonoro dove, anche se la protagonista dovrebbe essere la celebrazione di un’Africa eterogenea e pulsante, con tanto di strumenti tradizionali (ad esempio, lo ngoni dell’omonimo e bellissimo brano), possono apparire senza soluzione di continuità, amalgamati dai ritmi della TR-808, acid house, jazz, gospel, suoni caraibici, trip hop, cosmic disco, funky, R&B, un vecchio organo Farfisa e persino un didgeridoo australiano. Con un risultato talmente eccitante e visionario, che ci fa pensare fin da ora che questo debutto degli Africaine 808 sia uno degli album più importanti del 2016.
Decisamente più tedesco, o almeno più vicino agli stereotipi sonori che ci evoca la parola “Germania” (un mix tra un passato remoto all’insegna del krautrock e un passato prossimo intriso di techno e di elettronica più o meno gelida), è Void Beats/Invocation Trex, il primo album vero e proprio dei Cavern of Anti-Matter (nella foto). Un trio che, se ha come base – non a caso – proprio Berlino e come addetto a synth e a marchingegni elettronici vari un tedesco, Holger Zapf, è formato però per 2/3 da musicisti inglesissimi: il chitarrista Tim Gane e il batterista Joe Dilworth, già membri degli Stereolab. I quali – per chi se li fosse persi – hanno deliziato per quasi vent'anni i loro ammiratori con infinite variazioni di una stessa formula: uno space-pop squisitamente snob, reso speciale dalla voce della francese Laetitia Sadier e ottenuto mescolando lounge music, easy listening, testi paramarxisti, una spruzzata di Burt Bacharach e (appunto) molto krautrock.
Non sono quindi una sorpresa i massicci echi di band tedesche del passato come Can, Faust, Neu e soprattutto Kraftwerk proposti dalla Caverna dell’Anti-Materia in questi dodici brani avvolgenti, psichedelici e ariosamente cosmici, in gran parte strumentali (a parte l’eccezione del breve e super-pop "Liquid Gate" cantato da Bradford Cox dei Deerhunter, e della voce extraterrestre di Sonic Boom degli Spacemen 3 in "Planetary Folklore", un omaggio all’estetica dell’artista Victor Vasarely). Se tutto l’album è più che convincente, il trio dà il meglio di sé nei tre brani più lunghi (ciascuno tra i nove e i tredici minuti), "Tardis Cymbals", "Hi-Hats Brings The Hiss" (fra la techno e i Pink Floyd di Astronomy Domine) e "Void Beat": ipnotici e martellanti, punteggiati di particolari preziosi.
Da un luogo ancora più a nord di Berlino, ovvero Oslo, arriva altra musica elettronica dalle atmosfere generalmente futuribili. Ne è autore Prins Thomas, ovvero il dj e producer Thomas Moen Hermansen, conosciuto sia come alfiere della cosiddetta space disco sia per le sue collaborazioni col conterraneo Lindstrøm.
In questo doppio album (con nove brani per un totale di oltre un'ora e mezza), però, a ritmiche techno e/o disco Prins Thomas preferisce un minimalismo ambient, ricco di echi prog e rinvii al krautrock e alla Kosmische Musik di Klaus Schulze, ma anche all’IDM anni Novanta. Il risultato è rilassante, ricco ma fluido, piacevolmente ipnoinducente. Se ascoltato in cuffia, può diventare una sfiziosa colonna sonora per accompagnare i cambi di paesaggio del vostro prossimo viaggio in treno.