Remain in Love – I Talking Heads, i Tom Tom Club e la mia vita con Tina è il titolo del libro scritto (senza l’aiuto di un ghost writer) da Chris Frantz, batterista dei due gruppi appena citati nonché marito da ben 43 anni di Tina Weymouth, bassista degli stessi due gruppi.
E allora mi è venuto naturale ricordare “Once in Lifetime”, la canzone che aveva il compito di aprire la seconda facciata di Remain in Light, il quarto album dei Talking Heads uscito nel 1980, ed ecco spiegato il titolo: non a molti musicisti è riuscito di avere un successo planetario in contemporanea con due gruppi diversi, per l’appunto due volte nel corso di una sola vita.
Nel corso di 56 capitoli Frantz racconta la “sua” storia, dall’adolescenza trascorsa in Kentucky alla frequentazione della Rhode Island School of Design, dove conobbe sia David Byrne sia la sua futura fidanzata, poi convivente e infine moglie, dal trasferimento a metà degli anni Settanta in un quartiere malfamato di New York ai primi concerti come trio – dopo aver chiesto per dei mesi a Tina di imparare a suonare il basso, scontrandosi anche con l’opposizione, mai venuta meno, di Byrne – in un club maleodorante sulla Bowery, il CBGB, in compagnia di altri ragazzi che volevano lasciare il segno nella storia della musica, e mi riferisco a Patti Smith, i Ramones, i Blondie e i Television, dall’ingresso nel gruppo di Jerry Harrison – rimasto scottato dall’improvviso scioglimento dei Modern Lovers – alla registrazione di Talking Heads: 77 e al primo tour europeo coi Ramones (senz’altro uno dei capitoli più divertenti), e molti altri avvenimenti che vedremo nel corso dell’articolo.
Questo libro è sì la storia di uno dei più grandi gruppi rock di sempre ma è anche e soprattutto una dichiarazione d’amore che dura da quasi 50 anni per una donna californiana, Tina Weymouth, la “Dea del basso”.
Il libro è rigorosamente strutturato in ordine cronologico, con l’eccezione del primo capitolo: è il 17 dicembre 1980, mancano otto giorni a Natale, e i Talking Heads si esibiscono al PalaEur di Roma per la penultima data europea del loro Expanded Heads Tour, preceduti dai Selecter che scaldano il pubblico al punto giusto: «Nella luce grigia e fredda del palazzetto la massa di ragazzi italiani, per lo più maschi, ondeggiava, vibrava, e urlava come un’unica, enorme bestia selvaggia. L’aria era calda, umida e densa di fumo di sigaretta. Il rumoreggiare della folla era tanto travolgente che noi membri della band restammo spiazzati. Avevamo girato il mondo in tour, fatto il tutto esaurito ovunque, ma nessun pubblico si poteva paragonare a questo in termini di pura intensità animale. Faceva quasi paura, assomigliava a una versione moderna dell’antica plebe all’epoca del Colosseo».
Penultima data della sezione europea del tour, il gruppo in versione allargata – con Adrian Belew alla chitarra solista, Busta “Cherry” Jones al secondo basso, Steve Scales alle percussioni, Dolette McDonald ai cori e il “parlamentare funkadelico” Bernie Worrell alle tastiere – è una macchina da guerra rodatissima e quella sera lo dimostra in maniera inequivocabile dando vita a un’esibizione indimenticabile, cominciata col celeberrimo giro di basso che Tina aveva creato per “Psycho Killer”.
Per nostra fortuna all’epoca la RAI svolgeva ancora il ruolo di servizio pubblico e riprese l’intero concerto: il gruppo è in trance agonistica, i musicisti sorridono e ammiccano perché sentono che stanno suonando con una potenza, una fantasia e una maestria che in quel momento pochi altri al mondo hanno, e sul bis di “The Great Curve”, Tina si sposta sul lato del palco e sale sulla torre degli amplificatori senza perdere un solo beat sul suo basso Hofner Club. È lì, sopra quel mare in tempesta in cui ormai il pubblico si è trasformato, infilata dentro un abito che si è cucita da sola, un tubino bianco senza spalline e con uno spacco laterale che sale fin sopra la coscia, e balla, ondeggia e suona con autorità, e Chris…beh, Chris è totalmente orgoglioso di lei mentre picchia sui tamburi come un fabbro ferraio.
Chris mantiene per tutto il libro un tono affabile che è la proiezione sincera della sua immagine spontanea: lui è pur sempre quel ragazzo WASP che indossava camicie Brooks Brothers e polo Lacoste, prestandole pure a David. Traccia il contorno della sua adolescenza agiata in Kentucky – il padre era un generale – e poi degli studi alla Rhode Island School Of Design, dove incontra David Byrne, evento che mette in moto la storia.
Poi arriva Tina, che però non diventa subito la sua ragazza: entrambi hanno altri partner ma Chris, innamorato cotto, mette in atto un corteggiamento di mesi e alla fine i due si mettono insieme, cominciando una convivenza fatta anche di ascolti prolungati di R’n’B, Motown e P-Funk, influenze che si sentiranno poi nel loro stile musicale.
Dopo lo spostamento in un loft piuttosto disastrato a New York, Tina ci mette qualche mese ad accettare gli inviti pressanti di Chris a unirsi a lui e David, sempre contrario a questa opzione e vera spina nel fianco di Tina: perché? È presto spiegato, David voleva essere al centro dell’attenzione e vedeva la presenza di una donna sul palco come un diversivo (col senno di poi un po’ di ragione l’aveva...).
Bello stronzo, direte voi (e mi unisco anch’io), ma Frantz ha sempre pensato che Byrne potesse essere maleducato e complicato ma ha sinceramente avvertito che la sua singolare prospettiva compositiva fosse una voce eccezionale all’interno della musica rock, anche quando si assunse i meriti per canzoni in realtà scritte da tutto il gruppo.
L’impressione finale è quella di un racconto fatto da una persona con del risentimento, superato però dall’amore, davvero infinito, nei confronti di un gruppo, e che gruppo!
1975, i Talking Heads sono ancora un trio, David Byrne suona una chitarra acustica ma il nostro sguardo è fisso sugli occhi di Tina (e quindi Byrne aveva ragione a essere diffidente).
Frantz dipinge il ritratto di un gruppo più solidale quando aveva meno successo; oggi risulta difficile credere che all’epoca vivessero tutti insieme in un loft, soprattutto perché gli altri tre membri del gruppo non hanno rapporti con Byrne ormai da ventuno anni.
Una piccola riflessione personale prima di riprendere il racconto: la lettura di questo libro mi ha spinto a riascoltare dopo tempo i primi due album dei Talking Heads e a distanza di anni sono ancora bellissimi. E aggiungo un altro tassello: mentre scrivo è il 7 luglio ed esattamente quarantacinque anni fa usciva More Songs about Buildings and Food. Presto, un fazzoletto!
I capitoli sono generalmente brevi e Frantz ha la tendenza a divagare, saltando all’interno della cronologia degli eventi quando i soggetti di cui sta scrivendo ricompariranno più avanti nel racconto. Fa eccezione il formidabile diario di viaggio del primo tour europeo in qualità di gruppo spalla dei Ramones, loro compagni all’etichetta discografica Sire: gli intellettuali Talking Heads assorbono la tradizione europea come spugne mentre Johnny Ramone si lamenta tutto il tempo per la mancanza di hamburger e della cultura americana, arrivando al punto di rifiutarsi di scendere dal bus per visitare il sito archeologico di Stonehenge.
Dee Dee Ramone era senz’altro un junkie ma quando riuscì a recuperare un po’ di cocaina durante il tour, si assicurò di dividerla con Frantz. La cocaina è spesso presente nella vita del batterista che non nasconde il suo uso massiccio della sostanza, arrivando a confessare di aver messo a rischio il proprio matrimonio, salvato solo dal deciso intervento di Tina e dal ricovero in una struttura di recupero.
E questo non è l’unico salvataggio messo in atto da Tina: nel periodo in cui il gruppo cresce florido ma in realtà è sull’orlo dello scioglimento a causa delle trame oscure messe in atto da Byrne e Brian Eno, produttore di More Songs about Food and Government e Fear of Music.
Se già sapevamo che “My Life In The Bush of Ghosts”, l’album in coppia di Eno e Byrne, fu usato come laboratorio di prova per ciò che avrebbe poi dovuto far parte del quarto disco del gruppo, mi risulta nuova la notizia che al termine dell’incisione del disco i due abbiano litigato. Frantz e Weymouth sembrano essere stati il fattore di nutrimento del gruppo, spendendo molte energie per tenere insieme una band ormai ribelle.
Frantz afferma che le sessioni di Remain in Light sono state iniziate da loro due più Harrison, chiamando in successione prima Eno e poi Bryne e facendo loro ascoltare il risultato davvero bollente di quelle sessioni come esca per rinnovare il loro interesse. Uno alla volta: il primo ad abboccare fu Eno e poi anche Byrne cascò nella macchinazione ideata da Tina. Possiamo tranquillamente affermare che se abbiamo avuto Remain in Light gran parte del merito va riconosciuto a Tina.
«Tu potresti chiederti "cos’è quella bella casa?" / Tu potresti chiederti “dove va quell’autostrada?” / E tu potresti chiederti “ho ragione, ho torto?” / E tu potresti dire a te stesso “mio Dio, che cos’ho fatto?”» - Once in a Lifetime
È arrivato il momento in cui le tre frazioni del gruppo lavorano a progetti solisti, e se quelli di Harrison e Byrne frequentano territori adiacenti a quelli del gruppo originario, Tina e Chris hanno il successo più grande realizzando musica lontana dall’ambito familiare dei Talking Heads rinominandosi Tom Tom Club.
Per gli altri è piuttosto irritante che questo gruppo, che vede anche la partecipazione di tre sorelle di Tina e dei giganti giamaicani Tyrone Downie e Uziah Thompson, ottenga dischi d’oro prima dei Talking Heads, ma Chris è pronto a puntualizzare che The Catherine Wheel di Byrne è un disco molto interessante e che la colonna sonora di uno spettacolo di Twyla Tharp – all’epoca compagna di Byrne – era facilmente destinata a vendere 1/100 di quel caribbean funk monsta che era Tom Tom Club.
La seconda fase del gruppo dopo la reunion del 1983 vede Byrne assumere un controllo più stretto sulle canzoni e sui concerti: ancora un tour nel 1984 e poi la decisione di Byrne di non salire più sul palco, cosa difficile da mandare giù soprattutto per Frantz.
Dal 1983 al 1988 ci saranno ancora quattro album ed è triste leggere come gli altri membri del gruppo dovettero continuamente venire a patti con Byrne giusto per tenere in piedi la band. Poi nel corso di un’intervista apparsa nel dicembre del 1991 sul Los Angeles Time Byrne annuncia lo scioglimento del gruppo, ovviamente senza averne parlato prima con gli altri tre. Il commento di Frantz alla stampa è «per quanto ci riguarda il gruppo non si è mai sciolto, è David che ha deciso di uscirne».
«Per quanto ci riguarda il gruppo non si è mai sciolto, è David che ha deciso di uscirne».
Per Chris e Tina comincia un lungo periodo di produzioni al Compass Studio di Nassau di proprietà del loro amico Chris Blackwell, dove conoscono i Black Uhuru, Robert Palmer, Lee “Scratch” Perry, Mick Jones, Joe Strummer e Grace Jones, lavorano con Ziggy Marley per il suo Conscious Party e hanno la pessima idea di produrre Yes Please degli Happy Mondays: persino l’atteggiamento davvero rilassato di Chris e Tina nei confronti delle droghe è messo duramente alla prova con l’arrivo del gruppo in carenza da eroina. Sembra addirittura che Shaun Ryder abbia fatto cadere le boccette di metadone all’aeroporto di Heathrow e, in preda al panico si sia messo a leccare la preziosa sostanza sul pavimento dell’aeroporto.
Com’era prevedibile, sono molti gli aneddoti compresi in questo memoir: mi piace ricordare quello di Andy Warhol che, dopo averli visti in uno dei loro primi concerti al CBGB, li fa convocare per un pranzo alla Factory, nel corso del quale il gruppo deve scegliere tra il pranzo dell’Artista e il pranzo del Mecenate. In seguito Warhol realizza anche uno spot radiofonico per il gruppo in cui dice «comprate il nuovo disco dei Talking Heads e dite che vi ha mandato Warhol» e continua a essere un fan del gruppo, anche se a volte si riferisce erroneamente ai quattro come Talking Horses, particolare che mi diverte molto.
E poi c’è l’episodio di Sid Vicious sinceramente preoccupato per le condizioni delle dita di Tina dopo un concerto alla Roundhouse di Camden al punto da disinfettarle e curarle, suggerendole anche di iniziare a impiegare il plettro.
Ed eccoci al 2002 quando, dopo undici anni senza contatti e diciotto senza aver più suonato insieme, i Talking Heads sono ammessi nella Rock & Roll Hall Of Fame e Chris Frantz si prende una sonora rivincita nei confronti di Byrne quando al microfono dice «vorrei ringraziare la Rock & Roll Hall of Fame per aver regalato a questa band un lieto fine».
«I Talking Heads mi hanno fatto sentire intelligente. Dopo ho voluto fare sesso con un sacco di bibliotecarie» – Anthony Kiedis, Red Hot Chili Peppers, durante il discorso di presentazione del gruppo alla Rock & Roll Hall of Fame
Ma quella sera succede un altro episodio da cui David Byrne – diciamo – non ne esce proprio benissimo: sceglie quella serata di festa per scappare e lasciare la moglie, senza dirle nulla.
Raggiunto al telefono da Frantz il giorno seguente si limita a dire «è tempo di andare avanti». Una cosa è certa: se i Talking Heads sono durati dal 1975 al 1991 (in maniera attiva in realtà fino al 1988) lo si deve agli sforzi strazianti di Chris Frantz e Tina Weymouth, i veri custodi degli ideali del gruppo.
P.S. Primo punto: se potete, leggete questo libro in versione originale, un paio di volte la brutta traduzione mi ha portato vicino ad abbandonare in maniera definitiva la lettura. Secondo punto: anche Tina Weymouth ha scritto un memoir, ormai pronto per essere pubblicato. Terzo punto: vi ricordate quando Paolo Sorrentino, ricevendo l’Oscar per La grande bellezza, ringraziò le sue fonti d’ispirazione? I nomi erano quattro: Federico Fellini, Martin Scorsese, Diego Armando Maradona e, neanche a dirsi, i Talking Heads. Grazie anche da parte mia.
«Sono stato molto fortunato: non solo ho contribuito a fondare uno dei gruppi rock più originali ed entusiasmanti di sempre, ma l’ho anche fatto al fianco dell’amore della mia vita, Tina Weymouth. Insieme a David Byrne e, successivamente, a Jerry Harrison abbiamo creato un nuovo paradigma che abbiamo definito “Dance Music dell’Uomo Pensante”» – Cris Frantz