Stiamo vivendo giorni particolari, inutile negarlo, e per resistere alla noia la musica ci dà un importante aiuto. Per nostra fortuna nelle ultime due settimane sono usciti dischi molto interessanti (a differenza dei programmi Rai). Oggi diamo spazio alle novità nell’ambito della black music, tra rap, trap, nu soul e r’n’b con venature jazz.
1. Jay Electronica – A Written Testimony (Roc Nation)
Partiamo con l’album d’esordio di Jay Electronica, ovvero Elpadaro F. Electronica Allah (anche se sarebbe più corretto definirlo una collaborazione tra Elec e JAY-Z), quarantaquattrenne di New Orleans, che dopo anni avventurosi passati in giro per gli Stati Uniti durante i quali è diventato un affiliato della Nation of Islam, ha vissuto per cinque anni con Erykah Badu, con cui ha avuto una figlia, ha collaborato con Big Sean e Chance The Rapper, è stato – si dice – ghost writer per Nas, ha finalmente realizzato, in quaranta giorni e quaranta notti di duro lavoro, A Written Testimony, album inevitabilmente circondato da un’hype che sfocia nel mito. Negli ambienti hip-hop si sosteneva che sarebbe arrivata prima l’Apocalisse che un disco di Jay e lui cosa fa? Lo pubblica in piena pandemia, quando l’attenzione generale è distratta da questo argomento. Perché un’attesa così lunga? La risposta è nel testo di “The Bliding”: Elec ha sofferto del “blocco dello scrittore”.
Negli ambienti hip-hop si sosteneva che sarebbe arrivata prima l’Apocalisse che un disco di Jay e lui cosa fa? Lo pubblica in piena pandemia.
JAY-Z, boss della Roc Nation, si mette al servizio di Jay e compare in otto brani; The Alchemist e No I.D. (purtroppo non c’è Just Blaze, il produttore di quella bomba intitolata “Exhibit C”) approntano beat spogli ma eleganti nei brani non prodotti da Jay, e il risultato finale, per certi versi, può ricordare gli Outkast, però vent’anni dopo, con JAY-Z nei panni di Big Boi e Jay Electronica in quelli di André 3000 (un altro che ha avuto una lunga relazione con Erykah Badu.
Una curiosità: il brano finale, “A.P.I.D.T.A.” è stato registrato la notte seguente la morte del cestista Kobe Bryant ed è strutturato su un sample di “A Hymn” dei Khruangbin.
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Un disco impregnato di religione islamica, dove si avvertono gli insegnamenti di Louis Farrakhan – l’album si apre con la sua voce – ed Elijah Muhammad, ma bilanciato dai testi “profani” di JAY-Z: trentanove minuti, la qualità è stata privilegiata rispetto alla quantità. L’attesa è stata premiata, A Written Testimony funziona che è una meraviglia. Forse è solo un antipasto, ma di un ristorante stellato.
2. Donald Glover – Donald Glover Presents (RCA Records)
Uscito dal nulla domenica 15 marzo e disponibile solo per qualche ora in streaming sul sito www.donaldgloverpresents.com, questo è il nuovo – visti i presupposti, viene da dire “forse” – album dell’artista conosciuto come Childish Gambino.
Dodici brani, di cui tre già noti, il delizioso “Feels like Summer”, “Warlords” e “Algorithm”, eseguiti al Coachella, presentati senza soluzione di continuità e in loop: l’effetto finale disorienta, c’è così tanta musica da “spacchettare” che servirebbero molteplici ascolti, ma ciò non è possibile.
Le collaborazioni sono solo due, una con Ariana Grande in “Time”, una virata verso il modern pop, e l’altra con 21 Savage e SZA, “Vibrate”, entrambi in grande forma.
Dopo due ascolti mi sento di dire che siamo di fronte a un disco sufficientemente buono ma non eccezionale, con momenti fastidiosamente pretenziosi e una brutta caduta di stile in “Why Go to the Party?” che, a parte il titolo azzeccato in tempi di pandemia, ha un’intro che ricorda “Bohemian Rhapsody” dei Queen.
Le domande finali sono: questo disco uscirà mai? E se sì, sarà proprio così o diverso? Non resta che attendere.
Breaking news: domenica 22 marzo è comparsa una nuova versione del disco intitolata 3.15.20, disponibile in streaming con i brani separati su Apple Music, Spotify e Tidal oppure in un'unica traccia coi brani mixati sul sito www.donaldgloverpresents.com. Nel brano “12.38” compare la voce di Khadja Bonet, mentre altri quattro vedono la collaborazione del compositore Ludwig Göransson. Sarà la volta buona o dobbiamo aspettarci altre sorprese?
3. Lil Uzi Vert – Eternal Atake (Generation Now / Atlantic)
Ispirato dalla mitologia greca, Eternal Atake è un viaggio (o dovrei dire un’odissea) all’interno del suono. Il secondo album del rapper di Filadelfia, a tre anni di distanza dal precedente Luv is Rage 2, è stato anticipato dai singoli “Futsai Shuffle 2020” e “That Way”, inclusi nella raccolta come bonus track. Questo disco è stato circondato da un’attesa spasmodica tra i suoi fan e dobbiamo dire che non è andata delusa: il risultato è all’altezza della fama di LUV, miscela perfetta di rap, romanticismo melodico e beat attenti alla moda del momento ma usati per percorrere territori inusuali e creare solide fondamenta curate in ogni minimo particolare dal collettivo Working On Dying su cui LUV mostra tutta la sua maestria.
Un’oretta di musica spalmata in diciotto brani da cui risulta difficile scegliere i preferiti; come ha scritto "New Musical Express", «anche questa volta LUV ha realizzato un disco che starà vicino ai cuori di una generazione di amanti del rap. Lui è sicuramente il Lil Wayne della nostra generazione».
4. Jhené Aiko – Chilombo (Def Jam)
Ora è il turno del terzo album di Jhené Aiko, il più debole del lotto. Chilombo è un disco che racconta la fine amara di una relazione ma in realtà l’addio definitivo tarda ad arrivare, anzi la rabbia è ancora ben presente in versi quali “Non sei un mio amico, figlio di puttana” e “non mi rompere i coglioni con le tue telefonate, non sono più la tua ragazza”. Venti canzoni (troppe) per raccontare il suo tentativo di uscire da una relazione finita, con descrizione del piacere riscoperto per le piccole cose e del suo esplicito desiderio sessuale, con relativo rifiuto del giudizio degli altri, il tutto con una produzione pastosa e zuccherosa: scusa, Jhené, davvero, non è il momento giusto.
Scusa, Jhené, davvero, non è il momento giusto.
5. Charlotte Dos Santos – Harvest Time EP (Because Music)
Madre norvegese e padre brasiliano, Charlotte Dos Santos realizza il suo secondo EP dopo Cleo, uscito nel 2017. Harvest Time racconta una storia di rinascita, crescita e fiducia in se stessa, con la voce della Dos Santos che si fa leggera come una piuma e il pianoforte e il synth a sostenerla nel suo fluttuare. Un sogno a occhi aperti spruzzato di jazz e soul, con echi di Solange e Kate Bush, ipnotico e curativo, perfetto per questi giorni di paura e dolore. Se non vi basta, aggiungo che Raphael Saadiq e Big Boi amano collaborare con lei.