Terribili già dal nome – The Slits, "Le Fiche" - Ari UP, Palmolive, Tessa Pollitt e Viv Albertine hanno rappresentato un punto di rottura della scena musicale inglese: un gruppo tutto femminile non si era mai visto e la loro freschezza, il loro entusiasmo e la loro energia incontenibili sono stati d’esempio per molte ragazze che si sono sentite motivate dal loro esempio a salire su un palco. Due album, Cut nel 1979 e Return of the Giant Slits nel 1981, prima dello scioglimento avvenuto l’anno successivo.
Ripercorriamo la storia di quel periodo con l’aiuto di Tessa Pollitt, bassista del gruppo.
Il rock è sempre stato un giocattolo per ragazzi: se penso agli anni Sessanta, gli unici due nomi di donne che mi vengono in mente sono quelli di Grace Slick e Janis Joplin. Bisogna attendere gli anni Settanta per vedere un maggior coinvolgimento delle donne all’interno di gruppi rock: si comincia con Suzi Quatro (sì, proprio lei, quella che con “48 Crash” ebbe successo anche in Italia) e Patti Smith, un’artista che ha raggiunto lo status di icona femminista senza aver mai preso in realtà posizione a favore del movimento, e si prosegue con le Runaways di Joan Jett e Lita Ford, Debbie Harry, front woman degli Stilettos prima e dei Blondie poi, Poly Styrene e Lora Logic coi loro X-Ray Spex, Siouxsie Sioux e i suoi Banshees, Gaye Advert degli Adverts, Chrissie Hynde e i suoi Pretenders, la tedesca Nina Hagen, la francese ma residente a New York Lizzy Mercier Descloux, Lydia Lunch, le Raincoats, le Delta 5, le Mo-Dettes e, ovviamente, le Slits.
«Uno dei principali aspetti del punk fu che le ragazze si alzarono in piedi e diventarono pari ai ragazzi, e questo cambiò il mondo». Johnny Rotten
Come Johnny Rotten ebbe a dire, «uno dei principali aspetti del punk fu che le ragazze si alzarono in piedi e diventarono pari ai ragazzi, e questo cambiò il mondo. Tutti questi gruppi di ragazze salirono sul palco e se lo presero, proprio come i ragazzi». Lo spiegarono bene, con un punto di vista femminile, le Au Pairs di Lesley Woods e Jane Munro nel loro singolo del 1980, “It’s Obvious”: “You’re equal but different, it’s obvious”. Il punk fu anche questo, la presa di coscienza e la conseguente affermazione delle donne in quanto musiciste.
«Prima delle Slits non c’era nessun gruppo di donne auto-determinate che suonasse nella maniera voluta, che vestisse nella maniera voluta, che vivesse nella maniera voluta. Ma le lotte e i conflitti senza fine che le Slits dovettero attraversare contribuirono a farle diventare l’avvisaglia di una nuova generazione». Vivien Goldman, giornalista
Racconta Tessa Pollitt: «Vivevo in un appartamento del college a Chiswick, un quartiere di Londra. Stavo facendo i miei esami di inglese e arte e seguivo i corsi di teatro. Ho lasciato gli studi per entrare nelle Slits. La mia insegnante di teatro rimase delusa e mi disse: "L’ho sempre saputo che eri matta". Ho incontrato le prime Slits, che all’epoca erano Palmolive [vero nome Paloma Romero, batteria, così rinominata da Paul Simonon, incapace di pronunciare correttamente il suo nome], Ari Up [vero nome Ariane Daniele Forster, voce], Kate Corrus [chitarra] e Suzy Gutsy [basso], dopo aver letto un articolo pubblicato su "News Of The World", un giornale domenicale da quattro soldi. Il titolo era "Queste ragazze fanno sembrare i Sex Pistols dei ragazzi del coro"!».
«Io ero in un gruppo chiamato The Castrators, avevamo fatto qualche prova ma non avevamo mai suonato davanti al pubblico. Poco dopo il nostro incontro presi il posto di Suzi al basso e lasciai i Castrators. Mi ricordo di Ari, che veniva a trovarmi nel mio appartamento al college, ogni volta impressionata dalle poesie con cui avevo ricoperto tutte le pareti. Passavo molto tempo con loro nella casa dove Ari abitava con sua madre Nora Forster (futura moglie di John Lydon) a Shepherd’s Bush. All’epoca molti musicisti passavano di lì. Noi, intendo dire le Slits, sprizzavamo entusiasmo da tutti i pori ma io mi sentivo un po’ in colpa per la partenza di Suzy perché lei mi piaceva e andavamo d’accordo. Kate Corrus fece due o tre concerti prima di essere rimpiazzata da Viv Albertine alla chitarra, proveniente dai Flowers of Romance di Sid Vicious e Keith Levene, la cui tossicodipendenza diventò l’argomento di “Instant Hit”, il brano d’apertura di Cut. Kate mi insegnò i giri di basso di quelle prime canzoni in repertorio».
A questo punto sarete curiosi di sapere come suonavano le Slits ai loro esordi. Ecco un demo registrato all’inizio del 1977.
«La reazione del pubblico ai nostri primi concerti fu di stupore, incredulità e shock. Eravamo agli inizi e le nostre capacità tecniche erano primitive e disinibite, compensavamo le nostre mancanze con un’energia e un’attitudine prive di restrizioni. Il nostro primo concerto fu coi Clash al Coliseum, ad Harlesden: ho una foto in cui Palmolive mi guarda stupita perché stiamo suonando due canzoni diverse! Ooops!»
«Ho una foto in cui Palmolive mi guarda stupita perché stiamo suonando due canzoni diverse! Ooops!».
«Eravamo ragazze giovani, tutto era nuovo ed eccitante, erano atterrati gli alieni. Penso che per i ragazzi fosse intimidatorio e per le ragazze motivante e audace: le spinse a riconoscere che il loro futuro avrebbe potuto scatenare una nuova libertà di espressione e rendere accettabile l’esibizione di quel lato selvaggio femminile che era stato compresso troppo a lungo. Ora la diga aveva ceduto e c’erano nuovi territori psichici da esplorare».
«Fu come se improvvisamente avessi ricevuto il permesso. Non mi era mai capitato che mi proponessero di entrare a far parte di un gruppo, le ragazze non facevano nulla di tutto ciò. Ma quando vidi le Slits farlo, pensai che fosse una cosa mia e che lo volessi fare anch’io». Gina Birch, The Raincoats
Non fu facile, le quattro ragazze ebbero molti problemi, furono regolarmente insultate per strada per il loro abbigliamento e il loro atteggiamento, subirono molteplici attacchi fisici e addirittura Ari Up fu accoltellata due volte.
C’è da dire che Ari era un personaggio particolare, fuori da ogni schema e senza inibizioni. Guardate che cosa combinò all’interno di un ufficio di cambiavalute londinese.
E adesso un colpo di scena: anche l’Italia si interessa al fenomeno punk e la trasmissione “Odeon” intervista le Slits, il cui nome viene tradotto con “fessure” per evitare rogne. Il tono dell’intervista è piuttosto irritante, infarcito com’è di provincialismo misto a perbenismo.
«Il White Riot tour a supporto dei Clash fu un’opportunità fantastica per suonare di fronte a un numero maggiore di persone e l’unione di The Clash, The Buzzcocks, The Subway Sect e The Slits fu davvero sublime per il pubblico. Avevamo tutti un’affinità e i nostri singoli obiettivi a cui puntare. E per di più andavamo tutti d’accordo. Don Letts stava cercando di diventare il nostro manager e aveva dovuto farsi prestare 500 sterline per pagare alcune delle nostre spese. Anche l’autista del bus era stato corrotto per continuare a portarci in giro e malgrado ciò, se non ricordo male, offese pesantemente Ari. Non aveva mai avuto a che fare con una ragazza come lei ed era profondamente scosso e oltraggiato dalle sue bizzarrie selvagge da ragazza delle caverne fuori controllo. Tieni presente che all’epoca lei aveva solo 15 anni».
«Un paio di volte ci rifiutarono l’ingresso in hotel dove eravamo prenotate a causa del nostro aspetto e del nostro comportamento. Sembrava tollerabile che i ragazzi fossero un po’ fuori controllo, ma le ragazze? Non si era mai visto prima. A un livello psicologico profondo gli stavamo arruffando le piume. Non spaccavamo le camere d’albergo né facevamo nulla di particolarmente offensivo, bastava la nostra semplice presenza per disturbarli, come se fossimo la reincarnazione di streghe di un’epoca precedente o qualcosa di simile. Questo si può vedere nel materiale girato in Super 8 da Don Letts, quando, tra le altre cose, filmò il nostro primo concerto a Harlesden…Inestimabile! Il White Riot tour per noi fu un vero trampolino che ci permise di presentarci a un pubblico più ampio, in attesa di ciò che stava per succedere».
Pochi mesi e arrivò la chiamata di John Peel e del suo produttore John Walters; il gruppo non ha ancora inciso nulla ma il celebre DJ radiofonico lo vuole in studio per registrare una delle sue famose session.
«La prima John Peel session fu registrata il 19 settembre 1977 e fu una benedizione perché finalmente fu possibile essere ascoltate alla radio. Avevamo un grande rispetto per lui e lui gentilmente ci diede un palco e la possibilità di sperimentare un’incisione per la BBC. John era sempre stato un ribelle interessato agli artisti più innovativi e insoliti che altrimenti all’epoca non avrebbero avuto passaggi radiofonici. Penso che fosse piuttosto divertito dai nostri comportamenti ma in ogni caso ci dimostrò un grande rispetto. La prima session rappresenta le Slits più grezze e la vetta delle capacità compositive di Palmolive, in canzoni come “Newtown” e “Shoplifting”, e del suo stile batteristico senza barriere. Sono davvero contenta di aver fatto queste prime registrazioni perché catturarono la nostra prima formazione e la nostra attitudine senza compromessi, e ci permisero la nostra prima esperienza sotto pressione in uno studio di registrazione».
«Le prime due session – la seconda avvenne il 17 aprile 1978 - che le Slits fecero nell’era punk furono assolutamente magiche, penso che fossero semplicemente fantastiche». John Peel
«Le Slits si formarono nel 1976 ma Cut, l’album d’esordio, uscì solo nel 1979. Avevamo bisogno di tempo per crescere, sviluppare e affinare le nostre capacità, prima di avvicinarci a un’etichetta discografica. La nostra scelta cadde sulla Island Records. Avevamo fatto qualche demo per la Decca, ci chiesero di vestirci con abiti da sera coordinati per la copertina dell’eventuale disco. Mi sento di dire che non avevano capito un cazzo! Il tempismo nella vita è tutto e noi entrammo in contatto con la Island quando ci sentimmo pronte. Se pianti un seme devi aspettare perché cresca e fiorisca».
«Avevamo fatto qualche demo per la Decca, ci chiesero di vestirci con abiti da sera coordinati per la copertina dell’eventuale disco. Mi sento di dire che non avevano capito un cazzo!».
«Non stavamo seguendo ciò che altri gruppi punk stavano decidendo di fare, non era una gara a competere con qualcuno. Noi abbiamo sempre discusso su cosa fosse meglio per noi. Come disse Bob Marley, "La gara non la vince il più veloce ma colui che la porta a termine". Lo dimostra Cut, che ha superato la prova del tempo e le cui canzoni oggi risultano ancora familiari a distanza di 40 anni».
La copertina di Cut non passa inosservata: tre ragazze in un giardino di rose del Surrey, vestite solo con un perizoma, a seno nudo, coperte di fango dalla cintola in su e con lo sguardo fiero da guerriere (ne manca una: la quarta, Palmolive, lasciò il gruppo per unirsi alle Raincoats perché contraria a comparire nella foto, trovando l’immagine troppo forte. Per la registrazione del disco le tre fecero ricorso a Budgie, il batterista di Siouxsie and the Banshees). Lo scatto era della fotografa Pennie Smith, quella della celebre foto usata per la copertina di London Calling, scelta in quanto donna. Non c’è spazio per solleticamenti pruriginosi, solo per lo scontro. E lo scontro ci fu veramente, perché un automobilista londinese, distratto dalla vista di un cartellone pubblicitario con l’immagine della copertina del disco, ebbe un incidente e intentò una causa alla Island».
«Sapevamo che avremmo dovuto avere una posa da guerriere, senza cercare di essere seduttive. Eravamo consapevoli che quello che stavamo facendo avrebbe potuto essere frainteso, volevamo che la foto avesse la giusta attitudine, che non fosse lasciva». Viv Albertine
Sono passati 41 anni ma l’album continua a essere un documento incendiario in grado di risvegliare il delinquente minorile che dorme dentro di noi. Cut centra l’obiettivo di suonare allo stesso tempo inusuale e personale. Rimane l’attitudine punk ma non è più il momento delle canzoni one-two-three-four. L’ascolto della musica portata dagli immigrati giamaicani ha lasciato il segno, e allora ecco il reggae e il dub, affidato alle sapienti mani del produttore Dennis “Blackbeard” Bovell, che pochi mesi prima aveva prodotto Y, l’album d’esordio del Pop Group.
The Pop Group, 40 anni al di là del bene e del male
«Su questo punto i miei ricordi sono un po’ annebbiati, non ricordo quando incontrammo Dennis Bovell per la prima volta, senz’altro gli abbiamo dato dei demo o delle versioni grezze delle nostre canzoni scritte per l’album. Non ci sono dubbi che l’abbiamo incontrato negli studi della Island dove lui stava lavorando all’album Forces of Victory di Linton Kwesi Johnson. Proprio in quel periodo aveva prodotto un successo da classifica con “Silly Games”, un pezzo di Janet Kay in stile Lovers Rock».
«Dennis accettò di produrre il nostro album e imparammo a conoscerlo bene durante il lockdown a Ridge Farm dove registrammo: ci impose una dura disciplina e un lavoro che durò settimane, fino a quando tutti quanti non fummo soddisfatti del risultato. Dennis ha un incredibile sense of humour ma è molto serio per quanto riguarda il lavoro, e tutto questo fuoriesce dai solchi del disco. Nel 1979 l’esplosione del punk era passata ma il suo atteggiamento è ancora evidente nel nostro disco. Fummo criticate per non essere abbastanza punk dai media e da alcuni fan della prima ora. Tutto deve cambiare e non volevamo assolutamente diventare una parodia del punk. Stavamo crescendo, sviluppandoci ed evolvendoci: tutto questo è riflesso in Cut».
L’album fu preceduto dalla pubblicazione del singolo “Typical Girls”, la canzone che senz’altro ho più canticchiato nella mia vita, un’esplosione di vitalità, un brano che si disfa e ricompone in continuazione, i suoni che scompaiono per poi tornare improvvisamente, una protesta contro gli stereotipi femminili imposti dai maschi – “who invented the typical girls?”. In un periodo in cui il femminismo doveva essere militante e rigido, le Slits erano divertenti e giocose, e pur rifiutando l’etichetta di “femministe”, in realtà lo erano. “Typical Girls” è le Slits che fanno esattamente ciò che vogliono, con in più un sorrisetto birichino.
In un periodo in cui il femminismo doveva essere militante e rigido, le Slits erano divertenti e giocose.
Non entro nel merito delle canzoni che compongono l’album, mi limito a dire che in un anno, il 1979, in cui uscirono dischi fantastici, autentiche pietre miliari della storia del rock, Cut è riuscito a pieno titolo a stare al loro livello, anche se all’epoca vendette poco.
«Dopo l’uscita, la promozione e il tour di Cut, l’Island ci scaricò. Forse non eravamo abbastanza commerciali o forse troppo difficili da controllare. Non sono certa sul vero motivo, in ogni caso sono contenta di aver lavorato con loro nel periodo di Chris Blackwell. Probabilmente, in ultima analisi, avevano problemi finanziari e infatti di lì a poco si fusero con la Universal Records. Sì, registrammo per Rough Trade, prima la nostra versione di “Man Next Door” su 7", e poi un singolo condiviso con il Pop Group: su un lato c’era “In the Beginning there Was Rythym” [una canzone che ci ricorda ancora una volta che la fusione tra punk e funk non fu inventata dai Red Hot Chili Peppers, con la presenza come secondo bassista di Sean Oliver, divenuto poi marito di Tessa e scomparso all’età di 27 anni per anemia falciforme], e sull’altro “Where There's a Will There's a Way” del Pop Group. Questo singolo in realtà fu realizzato per l’etichetta Y Records, distribuita da Rough Trade. Realizzammo anche “Animal Space/Animal Spacier”, un 12" per l’etichetta Human Records».
1981, questa volta l’etichetta è la CBS, ed è il turno di Return of the Giant Slits, un disco la cui anarchia rappresenta ancora oggi un passo troppo in avanti. La risposta del pubblico fu contrastante, ancora una volta il successo non arrivò e questo fu il motivo principale dello scioglimento del gruppo.
Non c’è più Budgie, alla batteria è stato chiamato Bruce Smith del Pop Group, e la ritmica si fa più sperimentale, ispirata all’afro-pop.
«Sento sempre parlare di Cut ma c’è una seconda parte della storia di cui non si parla mai. Return of the Giant Slits è epico! Rispetto per la giovanissima Neneh Cherry, presente in alcuni brani di questo disco, e ancora grazie per aver portato energia fresca all’interno del gruppo con l’hip hop, il jazz, l’influenza della musica africana. Avevamo e ancora abbiamo spiriti affini».
Lo definirei più un album per aficionados che per ascoltatori casuali, un’istantanea della sperimentazione post-punk all’inizio degli anni Ottanta, ancora con il Dub Master Bovell come produttore.
Il 12 ottobre 1981 ci fu ancora il tempo per registrare la terza Peel Session e a dicembre per un ultimo concerto all’Hammersmith Odeon: poco dopo il gruppo si sciolse. Nel 2005 Ari Up e Tessa riformarono le Slits con altre musiciste, registrarono un album nel 2009, Trapped Animal, e si esibirono in giro per il mondo fino al 2010, anno della prematura scomparsa di Ari.
«Un po’ di tempo dopo lo scioglimento delle Slits mi offrirono la co-direzione di un film di uno scrittore assolutamente digiuno di regia. Non mi erano stati offerti molti lavori negli ultimi tempi, così accettai. Al colloquio di lavoro i produttori mi chiesero: “Stiamo parlando di una persona con cui è difficile lavorare, pensa di poter gestire la faccenda?”. “Più difficile di Sid Vicious?”, risposi ridendo. “Dopo di lui posso gestire chiunque”. Viv Albertine
«Sì, certamente il punk fornì un trampolino a molte donne musiciste, cantanti e scrittrici. Penso che adesso ci siano più donne musiciste che abbracciano questa nuova libertà di espressione rispetto a prima che il punk emergesse. Purtroppo mi avvicinai molto a Poly Styrene soltanto due o tre anni prima della sua morte. Alla domenica avevamo lunghe conversazioni telefoniche. Ho scoperto una persona senza peli sulla lingua, molto saggia e anche spirituale, dall’animo molto generoso. Gli X-Ray Spex rimangono uno dei miei gruppi punk preferiti, il loro talento musicale era superiore a quello degli altri. Poly scrisse alcuni classici che sono rilevanti ancora oggi».
«Non ho più suonato il basso dalla dolorosissima perdita di Ari. Sono contenta di aver riformato le Slits, è stata un’occasione per passare del tempo con lei prima della sua morte prematura. Perderla è stato qualcosa da cui non mi sono ancora ripresa, le mi aiutava e guidava mentre suonavo il basso. Ma mai dire mai! Mi piacerebbe fare di nuovo amicizia col mio basso ma non adesso, devo esplorare altre cose e mi sto divertendo a fare la DJ, vorrei riprendere al termine di questo lockdown, quando sarà di nuovo possibile riunirci nuovamente tutti quanti insieme. Non sono interessata a fare qualcosa sul web in un mondo virtuale, ma ho progetti per fare trasmissioni alla radio, quando ci lasceranno, noi poveri animali, uscire dalle nostre gabbie».
«Dopo più di 40 anni per me l’eredità delle Slits è: siate coraggiose, abbattete le barriere, libertà di espressione senza nessun compromesso con la visione che gli altri hanno di voi, siate innovative, sfidate le credenze antiquate e sforzatevi di essere originali. Siate osservatrici della vita e traducete tutto nella vostra musica, con il vostro cuore e la vostra anima. Continuate a evolvervi e non diventate statiche o auto-compiaciute, abbracciate il cambiamento e aspettate l’inaspettato!».
«Dopo più di 40 anni per me l’eredità delle Slits è: siate coraggiose, abbattete le barriere, libertà di espressione senza nessun compromesso con la visione che gli altri hanno di voi, siate innovative, sfidate le credenze antiquate e sforzatevi di essere originali».
Le dichiarazioni di Viv Albertine sono estratte dalla sua autobiografia Clothes, clothes, clothes. Music, music, music. Boys, boys, boys pubblicata da Faber & Faber nel 2014.
Many thanks to Tessa Pollitt, a true atypical girl, for her kind helpfulness. Silence is a rhythm too!