Alieni fra di noi

Tornano i Verdena, sempre ai vertici del rock italiano, e raccontano la genesi di Endkadenz

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Il Vol. 2 di Endkadenz (qui la recensione di Alberto Campo), in uscita il 28 agosto, è stato registrato insieme alla prima parte, pubblicata lo scorso febbraio. Riproponiamo qui l'intervista che "il giornale della musica" ha fatto ai Verdena in quell'occasione.

Pare sempre poco elegante parlare di cifre, ogni qual volta il discorso va a cadere sulla scena indipendente (di fatto o, per così dire, di ispirazione) nostrana. Eppure le trentamila copie di Wow dei Verdena, dal 2011 a oggi, riassumono meglio di altro il clima attorno a Endkadenz, probabilmente il disco italiano più atteso del 2015: per il dato numerico, ovvio, ma anche per il campione demografico che vi si nasconde dietro, mai così trasversale prima d'ora. Il disco che metteva d'accordo (praticamente) tutti, evento infrequente per una scena italiana che del suo essere settaria sembra talvolta aver fatto una bandiera. Di come dargli un seguito, degli onnipresenti anni Novanta così come del loro essere un'anomalia di lungo corso nella scena nazionale abbiamo parlato con Roberta Sammarelli, bassista, e Alberto Ferrari, voce e chitarra del trio.

Ormai è prassi consolidata, ma siete praticamente scomparsi una volta calato il sipario sul tour di Wow. Metà 2012, giusto? ROBERTA SAMMARELLI: «Esatto, dopo le date con i Flaming Lips, già di loro qualcosa di estemporaneo. A maggio però eravamo già in sala prove con qualcosa di pronto e la scrittura è proseguita fino al maggio successivo. Da lì in poi abbiamo cominciato a registrare, tenendoci gli ultimi sette mesi per i testi».

Visto come sono ben poco intercambiabili i vostri ultimi dischi, iniziate un lavoro con un'idea precisa di dove volete arrivare?
SAMMARELLI: «No, contano i suoni e per Endkadenz ne abbiamo utilizzati di nuovi: una nuova pedaliera per la voce, ad esempio, in modo da averla sempre effettata - dalla saturazione al delay - come un nuovo distorsore per cui Alberto era impazzito, tanto che su tutti i pezzi finiva per utilizzare solo quel pedale. L'identità di un disco è sempre figlia di quelle cose lì».

Più ancora che di un titolo che, nello storpiare la parola decadenza, pare a modo suo ironico. Un po' come intitolare un brano "Inno del perdersi" e attaccargli in coda degli applausi scroscianti...
SAMMARELLI: «Certo, non voleva aver nulla di apocalittico. La linea è quella del paradosso, ci diverte realizzare questi contrasti, anche per non prendere le cose troppo sul serio. Del titolo ci piaceva soprattutto l'immagine che c'è dietro, quella di un musicista che si tuffa di corpo dentro il suo strumento. Nasce tutto da un disegno che avevamo trovato, un disegno neppure troppo chiaro ma che ci divertiva per la sensazione che trasmetteva. Arriva da una performance di un compositore tedesco degli anni Trenta che mischiava musica e teatro e che all'ultimo colpo del concerto costringeva il timpanista a rompere la pelle del suo strumento per buttarvisi dentro».

In qualche modo il clima enigmatico di Endkadenz è anche una reazione al successo e alla solarità di certe atmosfere di Wow?
ALBERTO FERRARI: «Non saprei, sicuramente è andato benissimo: disco d'oro, il nostro primo, e coi tempi che corrono... Ma non credo sia una reazione al suo successo, secondo me è un lavoro che procede in scia con quanto proponiamo da Requiem in poi. Noi in fondo siamo molto egoisti nel fare musica, non pensiamo tanto alle aspettative della gente che ci ascolta quanto all'essere noi per primi felici di quello che sentiamo. Il che non significa che non siamo grati di avere un pubblico e un'etichetta».

La Universal, che a questo round ha scelto di dividere Endkadenz in due, con una seconda parte in uscita in estate. Più un bene - per come un lavoro meno immediato del precedente può venire assorbito dal pubblico - o un male, nel suo costringervi a ripartire due volte da capo in un anno?
SAMMARELLI: «Era già stata una lotta non indifferente nel 2011, ce l'avevamo fatta ma ormai l'etichetta ha deciso di non pubblicare più doppi. E questo sarebbe stato ancora più lungo, sono due lavori di un'ora, così che non vedo grossi problemi nel pubblicarlo in due momenti separati. Una volta registrati entrambi, il grosso della fatica era finito, per noi. Al massimo il lato positivo è che adesso partiremo in tour e dovremo impararne solo 13 e non 26... Ci dà l'illusione di avere più tempo per assimilarli tutti, questo sì».

Già solo dalla prima parte è evidente l'intento di provare a vedere quanto è stiracchiabile il suono dei Verdena senza per questo snaturarlo. "Vivere di con- seguenza" mischia chitarre elettriche, fiati alla Sgt. Pepper e in coda una tastiera da pop italiano da classifica, per dire.
FERRARI: «Quello è stato un pezzo che ha subito tantissimi cambiamenti, è stato un disastro! Divertente, intendo, ma non c'era l'intenzione di citare le sonorità che dicevi tu: è successo tutto in modo molto naturale, abbiamo fatto il possibile perché non risultasse studiato».
SAMMARELLI: «L'effetto che citi è dovuto anche al fatto che per alcuni brani non sentivamo alcuna necessità di tornare indietro a quanto già scritto. Ce ne uscivamo con un nuovo riff, lo aggiungevamo e ci passava la voglia di rivedere quanto già avevamo: poi un cambio portava a un altro, i brani continuavano a mutare e questo è il risultato. Abbiamo provato a scrivere in modo semplice - strofa e ritornello - ma l'idea di tornare sui nostri passi per modificare uno dei due ci annoiava rispetto a quella di trovare un'altra via di uscita».

C'è persino un brano - "Sci desertico" - in cui le tastiere vi portano a un passo dall'R'n'B, mentre "Contro la ragione" mette a confronto exotica e Battisti. Scelte consapevoli?
FERRARI: «In realtà cerchiamo di non fare caso ai riferimenti, o almeno non sono mai intenzionali. Ma d'altro canto ogni persona con cui stiamo parlando vede il disco in modo completamente diverso, ne sto rimanendo spiazzato. Tutto l'opposto di Wow, lì le interviste più o meno si ripetevano tutte».

Non un male, no?
FERRARI: «No, certo, è che diventa difficile anche per noi capire com'è questo disco, visto che per farlo io ho bisogno di parlarne con i giornalisti e la gente. So solo che sono assuefatto da Endkadenz, ora come ora: mi sa che le sue qualità le capirò fra tre anni... Figurati che oggi mi han detto che sembriamo i Camaleonti, giuro! Mischiare metal e pop classico italiano? Ben venga, se il brano funziona. Però quest'anno abbiamo cercato di essere influenzati solo da noi stessi, persino gli ascolti esterni sono stati nulli. Per tre anni abbiamo ascoltato solo quanto da noi prodotto».

O al massimo i Flaming Lips, visto il tour a cui accennavamo prima. Certe libertà negli arrangiamenti e l'allargarsi dello spazio dato a synth e tastiere passano anche di lì? Ricordo che dicevate di invidiare loro la rilassatezza.
FERRARI: «Ecco, loro sono un punto di riferimento. Anche musicale, sicuramente musicale anzi, ma soprattutto per l'attitudine. Che è poi quella degli anni Novanta, quella con cui siamo cresciuti in pratica: i Melvins, i Nirvana. Per me quello è il punk-rock, che magari al giorno d'oggi non è un atteggiamento che ha una traduzione sonora strettamente legata alle origini quanto piuttosto in qualcosa di musicalmente... matto, come i Flaming Lips. Solo che noi non siamo come loro, sempre tranquilli: noi litighiamo, e parecchio, mentre scriviamo».

Citi gli anni Novanta: avete cominciato in quegli anni di esplosione della scena indipendente nostrana e ora vi trovate in cartellone di fianco ad artisti dell'epoca impegnati in reunion o riletture di dischi classici. Quanto vi sentite un'eccezione?
FERRARI: «Per me conta essere attuali e esser attuali vuol dire scrivere musica nuova. Ma d'altronde non abbiamo grandi legami con i gruppi di qua, non riusciamo a entrare nel circuito. Sarà che siamo un po' isolati, anche geograficamente, ma non mi sento sicuramente parte della scena».

Tanto che mi pare che il vostro unico aggancio con essa passi per il tramite di un outsider di talento come Marco Fasolo dei Jennifer Gentle, vostro ospite nel disco così come talvolta voi lo accompagnate sul palco.
FERRARI: «Non invidio il suo ruolo di outsider, invidio quello che scrive. Io mi sento fuori da certi giochi esattamente come lui ma per il resto stiamo naturalmente bene insieme, condividiamo le stesse idee, la stessa attitudine punk-rock. Siamo coetanei e cresciuti negli stessi anni. So solo che mi fa impazzire: scrive cose geniali, davvero».

Intervista pubblicata in origine sul "giornale della musica" n. 322, febbraio 2015

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