Siete già in ferie? Pronti per partire? E vi serve qualche suggerimento per sfuggire all’overdose di reggaeton che vi aspetta ovunque andiate? Pronti: ecco una selezione, come al solito personalissima, arbitraria e incompleta, di alcuni tra i dischi italiani che ho trovato più meritevoli negli ultimi (quattro, più o meno) mesi.
Tra tutti, devo dire che sono andato veramente in fissa per Privilegio raro, il secondo album di Tutti fenomeni. Dietro a questo alias si cela il romano Giorgio Quarzo Guarascio, e potremmo far rientrare la sua musica nel calderone generico dell’it-pop. Ma lui è una spanna al di sopra di tutti gli altri, sia a livello testuale (con liriche provocatorie, acute e argute) che musicale.
È probabilmente decisiva la presenza, come produttore e co-compositore, di Niccolò “I Cani” Contessa, una delle band chiave nel nuovo millennio italiano che qui rivive una sorta di seconda giovinezza, seppur con un altro frontman e un cambio di ragione sociale. C’è però la stessa voglia di scardinare i luoghi comuni e di sorprendere con soluzioni musicali che mettono al servizio della melodia suoni e sfumature diverse, con una base fondamentalmente elettronica ma inserti a sorpresa che richiamano un po’ di tutto: dalla tradizione italica al beat della techno, dal sound un po’ cheap degli anni Ottanta a quello dai ritmi più articolati e sofisticati degli anni zero. Tutti fenomeni esemplifica un modo di essere estremamente moderni senza per questo cadere nei cliché di trapper e opportunisti vari. Loro vanno in classifica, ma la vera qualità sta qui.
E se vogliamo parlare di qualità, è impossibile non citare Paolo Benvegnù, che già ho detto (e confermo) di ritenere il miglior cantautore vivente del paese. È uscito da poche settimane il secondo volume di Delle inutili premonizioni; se il primo, del 2021, era una rivisitazione in chiave acustica dei suoi pezzi di maggiore impatto, qui abbiamo a che fare con una serie di cover che devono aver formato l’autore in gioventù.
Si tratta infatti di brani scelti soprattutto dall’epoca della new wave (l’eccezione sono i Roxy Music storici di “Do The Strand” e i ben più recenti Venus) e di matrice soprattutto inglese, salvo Jim Carroll, Wall of Voodoo e il nostro Faust’O. Con interpretazioni a volte piuttosto fedeli, altre decisamente fuori dagli schemi, Benvegnù offre l’ennesima dimostrazione della sua classe autorale, facendo emergere la sua personalità anche attraverso le canzoni di Joy Division, Psychedelic Furs, Tears For Fears, New Order o Spandau Ballet. Come sempre con Paolo, un disco imprescindibile (oltre che dolcemente nostalgico per tutti i suoi coetanei).
A dire il vero però il disco di cantautorato che più mi ha impressionato nei mesi scorsi è quello di un esordiente padovano, Nicola Lotto, che a giusto titolo di Benvegnù potrebbe essere l’erede designato (una comparsa sul disco Paolo intanto la fa, sul singolo “Nel volto”).
Ad ogni modo: Il canto nudo è già uscito da qualche mese, ma va recuperato assolutamente, perché la sua qualità ha del miracoloso. L’intensità sincera dell’autore si percepisce subito come qualcosa dalla forza non comune; soprattutto se usa così disinvoltamente modalità espressive eterogenee, in particolare uno slancio rock che non sentivamo da tempo così convincente, abbinato a testi con una portata poetica tanto più potente quanto di elementare immediatezza. Avrei tanto sperato che questo disco vincesse la Targa Tenco, ma figuriamoci. Speriamo che comunque riesca a ottenere almeno qualche attenzione, perché la meriterebbe molto più di tanti altri.
In ambito cantautorale va segnalato anche Algoritmi, l’ultimo album di Fabrizio Tavernelli. Tavernelli è un altro nome dal curriculum assai corposo: En manque d’autre negli anni ’80, AFA nei ’90, e una miriade di sigle diverse dal 2000 in poi, prima di approdare a una carriera solista per la quale questo è il sesto episodio.
Ogni album di questo artista è un concept, e questa volta il tema è il controllo degli individui attraverso gli algoritmi numerici. Nel suo eclettismo musicale, un po’ paradossalmente l’album dà il suo meglio nell’amalgama dei suoni digitali che non di quelli organici (a tratti c’è anche un’orchestra); però nell’insieme è un lavoro molto coeso e i testi di ironia disincantata lasciano il segno.
In genere non sono molto incisivi gli album dei cantautori in libera uscita, quando invece di cimentarsi con la consueta forma canzone si dedicano a progetti inusuali per suono e/o formato. Salutiamo quindi con ammirata sorpresa l’ultimo lavoro di Davide Tosches, la bellissima colonna sonora del documentario Beside Flows The River, di Marco Leone (“Un viaggio a piedi dalla sorgente alla foce del Po”). Un lavoro quasi totalmente strumentale, in cui la vena di "cantautore bucolico" (come lui stesso ama scherzosamente definirsi) di Tosches si esprime con sonorità inconsuete, poiché accanto a strumenti tradizionali essenzialmente acustici ci stanno anche effetti elettronici e paesaggi sonori trattati digitalmente – e con insospettata bravura. Anche se ovviamente la resa ottimale di questa musica è in accompagnamento alle immagini del film, anche il semplice ascolto genera suggestioni molto intense, spaziali e oniriche.
Facciamo allora un passo ancora più in là con Giovanni Dal Monte, eclettico e prolifico autore che si esprime essenzialmente col linguaggio dell’elettronica. Il suo nuovo lavoro Anestetico si divide in due volumi, intitolati rispettivamente Neolitico ed Evitico, e va inteso come una reazione ai tempi difficili in cui viviamo: il primo più nervoso, tirato ed energico, il secondo più riflessivo e astratto. Neolitico mi ha ricordato i tempi felici dell’elettronica degli anni Novanta, in cui si impiegava il mezzo espressivo dato dalla tecnologia digitale senza secondi fini, se non quello di esplorare ambienti e territori inediti e scoprire suoni e paesaggi sonori mai visti prima.
Si apprezza proprio questo mood collagista che permette di allineare senza soluzione di continuità spezzoni technoidi, frenesie electro-jazz, trip hop accelerazionisti e freestyle digitale. Pur avendo qualcosa di già sentito, si respira in questo disco una libertà espressiva che ha davvero qualcosa di catartico. Meno incisivo, probabilmente per il beat più nascosto e qualche arrangiamento vocale poco convincente, il volume di Evitico; ma nel complesso un viaggio affascinante come ormai non se ne fanno più.
Per concludere, una capatina in territorio indie rock con Secret Alliance, l’ultimo album dei Clever Square, quartetto emiliano giunto ormai alla quarta (o forse quinta?) prova sulla lunga distanza. Cantato in inglese, e chiaramente debitore ad alcuni classici del genere tra Pavement e Yo La Tengo, il disco potrebbe sembrare forse poco originale se fosse proveniente dal Midwest americano o da qualche contea del Regno Unito; essendo al 100% italiano, è invece un piccolo miracolo, perché non ha davvero nulla da invidiare ai nomi più blasonati del caso – il mood agrodolce delle ballad, le chitarre che si incrociano, la ritmica indolente… per chi ama l’indie, è un disco perfetto.
Con buona pace di chi si ostina a credere che il rock italiano sia rappresentato da quelli là di Roma, quelli un po’ glam, sapete no? Månnaggia mi sfugge il nome…