Violetta di Maggio
Esaltante debutto in Traviata per Nadine Sierra a Firenze, sul podio un Mehta in ottima forma, in scena la rilettura “sessantottina" di Davide Livermore, ispirata al Maggio francese
Per gli aficionados fiorentini, la prima buona notizia di questa sontuosa Traviata andata su venerdì è stata il ritrovare sul podio del Teatro del Maggio Musicale il caro Zubin Mehta in più che buona forma fisica e direttoriale, dopo le sostituzioni e gli spostamenti di data delle ultime settimane, mesi, stagioni. Certo questa è la sua Traviata di oggi, di un direttore ottantacinquenne, fatta più di contemplazioni di momenti di intenso e prezioso lirismo, di lente, dolenti e quasi belliniane delibazioni - o al contrario, in altri momenti, di dispiegati e nutriti spessori sonori - che di agili scatti drammatici. Ma al pubblico fiorentino il direttore indiano ha regalato tante esecuzioni memorabili fin dagli anni Sessanta del secolo passato (il suo debutto operistico sul podio del Maggio, nel Teatro Comunale di Corso Italia, oggi sventrato dalle ruspe, fu proprio con Traviata nel 1964), ed è sempre felice di vederlo sul podio. Infatti, alla fine, il più festeggiato alla ribalta è stato proprio lui, accanto a Nadine Sierra, protagonista di un debutto strepitoso, dell'eccellente Francesco Meli, Alfredo, che ci è piaciuto più di sempre, e del veterano Leo Nucci, Germont, in buona condizione vocale (ma per le recite del 2 e 5 ottobre è in arrivo Placido Domingo). È stata una Traviata emozionante anche per chi l'ha vista chissà quante volte, come chi scrive, per una serie molteplice di fattori che poi hanno a che vedere con l'essenza stessa del teatro come regno del qui e adesso. Prima di tutto la protagonista, che in Traviata, notoriamente, è proprio la condizione primaria della riuscita. L’impressione vivissima, palpabile, era che il teatro fiorentino abbia colto proprio il momento giusto per il grande salto di Nadine Sierra da Gilda, Nannetta, Juliette, Lucia, a Violetta, una Violetta di incantevole evidenza scenica e di fresco e giovanile taglio vocale di base lirico-leggero, esaltato nelle funamboliche agilità del finale del primo atto, che poi trova anche lo spessore tragico giusto, a cui non manca niente, proprio niente (basta pensare all'”Amami, Alfredo”, potente, espanso, pregnante, e al misurato e struggente Addio del passato), con il procedere dell'opera.
L'altro fattore è stata la realizzazione scenica di Davide Livermore, con un ottimo team di collaboratori (scene di Giò Forma, costumi di Mariana Fracasso, luci di Antonio Castro, video di D-wok), rivelatasi affascinante, diremmo, nonostante tutto, cioè nonostante un assunto o concetto di base che continua a sembrarci peregrino, l'ambientazione nel Maggio francese, giacché la parola chiave di Traviata non è Libertà, è Sacrificio, ed è improponibile in questa chiave lo stigma sociale della prostituzione. Ma poi, in qualche modo, nell’evidenza del qui e adesso teatrale, la cosa funziona, e funziona alla grande. Certo i gaudenti delle feste a casa di Violetta e di Flora, con il loro edonismo e materialismo esistenziale, hanno ben poco a che vedere con la ben più nobile e ambiziosa Libertà con la elle maiuscola del Maggio francese. Ma proprio vedere il contrasto fra questi festaioli, rimpinzati di alcolici e ballonzolanti lenti shake e twist sui ritmi verdiani, e, proiettate alle loro spalle, le facce da giovani filosofi stoici dei ragazzi randellati dai poliziotti delle foto più celebri del Maggio francese, ebbene, questo diventa uno dei tanti elementi di fascino, provocazione, stonatura e “disturbo” di questa regìa, che poi, per fare solo un esempio, trova, per il ballo dei finti toreri a casa di Flora, un'altra soluzione bizzarra e molto originale, che non descriviamo per non sciupare la sorpresa a chi andrà alle repliche. Peraltro, al di là del tema “Maggio francese”, Livermore coglie una serie di altri spunti d'epoca, dagli arredi e abbigliamenti, alla citazione esplicita di Blow Up di Michelangelo Antonioni (il rifugio campestre del secondo atto è diventato infatti uno studio fotografico, e Alfredo veste lo stesso camicione blu di David Hemmings), ad una definizione particolarmente attenta del personaggio di Alfredo, che qui ha qualcosa dell'amabile sfumatura, in bilico fra intensità, fragilità e ingenuità, di certi personaggi del cinema della Nouvelle Vague (come quelli interpretati da Jean-Pierre Leaud), e c’è anche qualcosa che riecheggia il tema della grande rivolta contro il Padre nella definizione registica del rapporto fra i due Germont. Maggio francese significa le celebri scritte sui muri, e le vediamo proiettate sull’elemento scenico di base, che è una lunga struttura orizzontale volta a volta muro, specchio, corridoio, che si apre per dare luogo a spazialità più vaste, e alla fine si spalanca sul grande orizzonte di luce verso cui si avvia Violetta. È uno spettacolo esuberante, sontuoso, di complessa e accuratissima realizzazione, in cui, lo ribadiamo, quasi tutto va a segno, in cui, per dir così, una chiave forse sbagliata apre le porte giuste all’emozione teatrale. Successo vivacissimo e prolungato per tutti, Mehta, orchestra, coro e il suo direttore, Lorenzo Fratini, figuranti (fra cui citiamo il toreador Giuliano Del Taglia), cast ineccepibile in cui ricordiamo almeno Caterina Piva, Caterina Meldolesi, Luca Bernard, Francesco Samuele Venuti e Emanuele Cordaro nei ruoli di Flora, Annina, Gastone, Douphol, Grenvil. Repliche 22, 24, 28 settembre, 2 e 5 ottobre.
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