Un’Ottava indimenticabile per il bicentenario di Bruckner
A Santa Cecilia applausi entusiastici per il direttore Semyon Bychkov
La prima esecuzione della Sinfonia n. 8 di Anton Bruckner all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia è avvenuta nel 1962, ben settant’anni dopo la prima assoluta di Vienna. Ma ne è passato di tempo da quando Bruckner era considerato un compositore pesante, prolisso e noioso ed ora il duecentesimo anniversario della sua nascita viene adeguatamente celebrato anche in Italia e accolto dal pubblico con grande favore e talvolta - come nell’occasione di cui qui si riferisce - con un entusiasmo incontenibile. Il direttore non aveva ancora abbassato le braccia che è scoppiato un boato, neanche fossimo allo stadio, eppure non era stato segnato nessun gol ma si era ascoltata (in religioso silenzio per la considerevole durata di un’ora e mezza) l’ultima e più grandiosa delle sinfonie portate a termine da Bruckner.
L’ha diretta splendidamente Semyon Bychkov, cui va data buona parte del merito per questo straordinario successo. Il direttore russo-americano certamente non condivide l’idea che le sinfonie di Bruckner siano mastodontiche cattedrali sonore, in cui dominano le sue passioni apparentemente inconciliabili per il contrappunto di Bach e per l’armonia del venerato Wagner. In Bruckner vi è anche questo, ma ora Bychkov e altri direttori riconoscono come vero “argomento” delle sue sinfonie gli abissi che si aprono nell’animo umano. L’enorme potenza sonora, che cresce e cresce al di là dell’immaginabile fino a schiantarsi, non sarà allora l’espressione del vano tentativo umano di opporsi al potere incontenibile del destino? E le ostinate perorazioni ripetute e ripetute ancora con crescente forza non saranno il tentativo di affermare certezze ormai incrinate dal dubbio?
Sono pensieri che non potevano non venire ascoltando l’interpretazione di Bychkov, fin dalle prime battute, quando all’oscura minaccia degli archi gravi si sovrappone il flebile gemito di clarinetti e oboi, e poi, proprio quando l’atmosfera sembra cominciare a rasserenarsi, interviene con violenza, quasi con furia, il fortissimo dell’orchestra a spazzare via tutto. Bychkov faceva risaltare dettagli minimi, come il semitono discendente che conclude la breve e più volte ripetuta cellula melodica dei violini all’inizio dell’Adagio e che sembra esprimere tutto il dolore del mondo. All’opposto dava grandiosità impressionante ai possenti fortissimo e ai lunghissimi crescendo, sempre attentamente dosati e perfettamente controllati, tra cui memorabile quello del movimento finale, quando dal magma orchestrale e dalle dissonanze laceranti sembra emergere un essere mostruoso e minaccioso come il “Colosso” di Goya. Sono solo alcuni momenti esemplari di un’esecuzione sempre viva, tesa, drammatica, emozionante, senza nulla della inscalfibile monumentalità marmorea spesso attribuita a Bruckner.
L’orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia, con i suoi magnifici soli e i suoi possenti tutti, ha risposto in modo assolutamente ideale alle richieste del direttore, che alla fine del concerto ha applaudito l’orchestra, mentre a sua volta l’orchestra intera lo applaudiva entusiasticamente.
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