Uno, nessuno, centomila Jim O’Rourke
Il ritorno in Europa di Jim O'Rourke (con Eiko Ishibashi) fra conferme e qualche delusione
Uno, nessuno, centomila Jim O’Rourke. L’attesa del breve tour del musicista americano nel nostro paese, in duo con Eiko Ishibashi, è stata discretamente febbrile: assente da moltissimi anni dalle scene europee dopo il trasferimento in Giappone, l’ex Gastr del Sol può infatti contare su una solida – e meritata – fama di artista di culto, un culto non sempre facile da inquadrare con un obiettivo che non sia ferocemente grandangolare, pena lasciar sempre qualcosa fuori.
Dopo le prime date di questi giorni, il duo Jim O'Rourke / Eiko Ishibashi sarà anche a Bologna per Angelica, il 2 maggio.
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Come accade a molti musicisti/mondo, nella percezione di ascoltatrici e ascoltatori avviene una sorta di inversione per cui la somma dei singoli elementi è percepita sempre maggiore del totale, quando in realtà la forza di O’ Rourke sta proprio nel fatto che è questa sua totalità/unicità a consentirgli di muoversi coerentemente tra elettronica, songwriting, indie rock, noise, sperimentazioni di ogni tipo, dando a ciascuna di queste esplorazioni un taglio totalmente personale.
È una cosa che si sa, ma che in fondo è sempre un po’ difficile da metabolizzare, perché è umano che ognuno abbia il suo O’Rourke del cuore: magari si è legati alle pagine più cantautoriali di Eureka o Simple Songs, magari al periodo con i Sonic Youth o alle sperimentazioni digitali del progetto Fenn O'Berg con Fennesz e il compianto Pita… e così dai commenti che si raccolgono sui social e nel passaparola del fan dopo la data di Torino per l'anteprima del festival Jazz Is Dead e prima di quella di Padova alla quale sono stato presente, non è difficile cogliere qualche commento disorientato, annoiato, magari di delusione perché “non c’è la chitarra” o “ah ma non canta” e così via.
L’unica volta prima d’ora in cui mi era capitato di ascoltare Jim O’Rourke dal vivo risaliva al 2003, durante una lunga e intensa serata di celebrazione del settantesimo compleanno di Phill Niblock al Tonic: in quell’occasione si era seduto al piano e aveva suonato più o meno lo stesso accordo per un tempo che non ricordo, ma che certamente eccedeva quello della sopportazione e insomma, tra ricordi di allora e un po’ di bocche storte che giungevano dalla data torinese, mi sono seduto nella poltroncina della Sala dei Giganti del Liviano con il noia-detector pronto a scattare.
In realtà il concerto padovano, un’oretta scarsa compreso un breve bis, è tutt’altro che noioso: seduti a un tavolino come due scolaretti compunti, O’Rourke e Ishibashi (anch’essa versatilissima tra cantautorato e sperimentazione) costruiscono una splendida traiettoria elettroacustica, in cui suoni di sintesi e interventi al flauto, campate concrete e stranianti diversioni ambientali si succedono con grande coerenza architettonica.
Più che nel tedio si precipita in una sorta di febbriciattola onirica, gli occhi vagano sui grandi affreschi cinquecenteschi della sala padovana e poi, se si chiudono, lo fanno per spalancarsi verso l’interno, a seguire una sorta di trip multicolore e pluridirezionale, sempre vivido, mai banale. Si attende forse qualche scarto più ruvido, ma tutto è tenuto sotto controllo con raffinatezza orientale e va bene così.
Come prevedibile, il punto debole della proposta è piuttosto di tipo squisitamente performativo: se da sempre la “laptop music” porta con sé una performatività statica e quasi respingente nella sua non-comunicatività (con tutto il fiorire di visual, a volte coerenti e fighissimi, altre volte inutilmente decorativi), che questo accada quando si ha di fronte a sé un musicista fortemente iconico come O’Rourke risulta ancora più straniante.
Il punto debole della proposta è di tipo squisitamente performativo: se da sempre la “laptop music” porta con sé una performatività statica e quasi respingente nella sua non-comunicatività, che questo accada quando si ha di fronte a sé un musicista fortemente iconico come O’Rourke risulta ancora più straniante.
E allora i momenti più “umani” sono proprio quelli finali, in cui i tanti applausi convincono Ishibashi e O’Rourke a un paio di rientrate sul palco, tutte inchini e sorrisi dopo una breve corsetta e il bis è un delicatissimo crepitare quasi organistico di glitch aperto da un momento all’armonica a bocca.
Uno, nessuno, centomila Jim O’Rourke. Magari non proprio esattamente quello che vorresti tu, ma decisamente quello che vuole lui. E, dopo 30 anni di meraviglie, come produttore, musicista, ispiratore, volete che non abbia ragione lui?
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