Universo Ives
Alla Ruhrtriennale Universe, Incomplete creazione di Christoph Marthaler con le musiche di Charles Ives
Tempestoso inizio per la nuova gestione della Ruhrtriennale affidata per il triennio 2018-21 a Stefanie Carp e all’artiste associé Christoph Marthaler. Le accuse alla Carp sono pesanti: antisionismo e sospetto antisemitismo (si sa, il tema in Germania continua a essere scottante). Il motivo: aver invitato al suo primo festival la band scozzese Young Fathers, colpevole di attivismo contro le politiche del governo israeliano attraverso il sostegno al movimento BDS ossia Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni. Messa in stato di accusa dai politici locali (lo stato federale del Nord Reno-Westfalia è il principale finanziatore del festival), per la Carp la strada è tutta in salita e alto è il rischio che le polemiche distraggano da un cartellone ambizioso e attento alle grandi questioni epocali che scuotono il pianeta. Migrazione e colonialismo sono infatti i temi che William Kentridge affronta in The Head and the Load, lo spettacolo di apertura della Ruhrtriennale, anche se attraverso l’insolita chiave del ruolo del suo Sudafrica nella prima guerra mondiale.
Curiosamente affonda le radici nello stesso tormentato periodo anche la seconda, ambiziosa produzione del festival: Universe, Incomplete firmata da Christoph Marthaler. “Se non dovessi finirlo, a qualcuno potrebbe piacere provare a sviluppare l’idea, e gli abbozzi che ho prodotto avrebbero più senso per chiunque li esaminasse con questa spiegazione”, scriveva Charles Ives nella speranza che qualcuno un giorno volesse avventurarsi nel suo progetto utopico di una Sinfonia Universale, una composizione pensata per uscire dalle mura anguste di una sala da concerto per due o più orchestre e ensemble musicali più disparati. Ives provò a lavorarci a più riprese dal 1915 fino al 1928, prima che il suo lungo e enigmatico silenzio inghiottisse anche quella sua utopia nel buco nero della paralisi creativa lunga più di un quarto di secolo. Di quella composizione, che voleva “presentare e contemplare in suoni più che in musica … la creazione, il misterioso inizio di tutte le cose note attraverso Dio e l’uomo, e seguire con tracce sonore la vastità, l’evoluzione di tutte le forme di vita, in natura, dell’umanità dalle grandi radici della vita alle spiritualità eterne, dal grande ignoto al grande ignoto”, Ives lasciò poco più che un abbozzo e qualche frammento sparso. Si sa che doveva essere strutturata in tre blocchi, il passato (La formazione delle acque e delle montagne), il presente (La terra, l’evoluzione della natura e dell’umanità) e il futuro (Il cielo, l’ascesa di tutto verso lo spirituale), così come tre dovevano essere i blocchi sonori coinvolti: uno per il cielo, uno per la terra e uno fatto di innumerevoli percussioni per rappresentare il battito eterno dell’universo.
Più di qualcuno nel passato anche recente ha provato a dare forma compiuta a quell’idea. Pur condividendo la fascinazione per questa grande utopia del XX secolo, l’approccio di Christoph Martaler e del suo drammaturgo Malte Ubenauf non ha come obiettivo quello di una ricostruzione organica del progetto di Ives ma di prendere Ives e il suo universo musicale come veicolo per un viaggio sul secolo passato per aprire una riflessione assolutamente marthaleriana nel frequente sogghigno dadaista. È un viaggio senza una vera destinazione di un gruppo di naufraghi (i bravissimi attori/performer, fra cui molti partner abituali delle avventure musical-teatrali del regista svizzero: Ueli Jäggi, Joaquin Abella, Liliana Benini, Bérengère Bodin, Marc Bodnar, Magne-Håvard Brekke, Haizam Fathy, Altea Garrido, Jürg Kienberger, Antonio J. Navarro, Thomas Wodianka, Clemes August Becker, Helmut Schmitt più Bendix Dethleffsen e Michael Wilhelmi anche ottimi pianisti), compostamente in fila per prendere posto su una tribuna prima di essere trascinati dalla tempesta di percussioni della Universe Symphonynell’Universo Ives fra le frequenti incursioni bandistiche dei musicisti deambulanti del Rhetoric Project, le isole di rasserenante lirismo nei Songs interpretati da Tora Augestad, le enigmatiche sospensioni delle intense pagine orchestrali affidate ai Bochumer Symphoniker e gli sperimentalismi dei quartetti d’archi. Dell’eterogenea e vastissima macchina musicale si occupa Titus Engel, non nuovo a esperienze di direttore-performer, mentre all’immensa navata della Jahrhunderthalle pensa, come sempre con Marthaler, Anna Viebrock, che abbozza ambienti fissi fatti di pochi, caratteristici elementi: un lungo binario, una capanna di lamiera, le panche di una chiesa, la platea di un cinema, un lunghissimo tavolo.
Lascia un senso di inafferrabilità quell’accumulo di suoni, parole spesso dal senso oscuro (quando non insensate) e gag spiritose assemblato da Marthaler e Ubenauf ma in fondo è quella Unanswered Question che arriva alla fine di questo strano viaggio, ciò che meglio racconta una personalità musicale fra le più enigmatiche di un secolo che ha lasciato dietro di sé un’immensa montagna fatta delle macerie dell’incertezza.