Una zarzuela in cascina
Madrid: successo per El caserío
El caserío, ovvero «La cascina», è la zarzuela più famosa di Jesús Guridi, nonché il suo primo tentativo nel genere. Rappresentata per la prima volta nel 1926 ottenne un tale successo che con i diritti il compositore, come Strauss con la Salome, si poté comprare una casa in campagna: e proprio una cascina (un baserri in basco) che chiamò «Sasibil», lo stesso nome della tenuta al centro della vicenda. Guridi capì anche che il genere della zarzuela poteva essere molto più redditizio dell’opera, in cui si era cimentato prima con due titoli (Mirentxu ed Amaya) e che smetterà da quel momento di coltivare a vantaggio del genere minore, tuttavia senza mai più ripetere il successo del Caserío. È curioso che questo lavoro mancasse da quasi quarant’anni dal Teatro de la Zarzuela di Madrid, dove pure aveva debuttato, ed è pertanto comprensibile la soddisfazione generale nel riscontrare l’entusiasmo con cui il pubblico ha accolto la scelta di aprire la nuova stagione proprio con questo titolo, riempiendo la sala per tutte le tredici repliche.
In effetti, l’opera di Guridi è un piccolo gioiello del genere: non si aspetti chi va ad ascoltare una zarzuela esibizioni trascendentali di virtuosismo vocale, introspezione psicologica o rivelazioni di verità umane complesse, scaturite dall’interazione di personaggi a tutto tondo; nella zarzuela la vicenda è poco più che un pretesto per la messa in scena di un ambiente popolare, spesso cittadino e di strada (come nella zarzuela di ambientazione «castiza»), ma altre volte anche rurale (come è il caso nel Caserío, che è ambientato nella campagna basca), dove una musica che non perde quasi mai il suo legame fisico con la danza riesce a dare vita a un quadro corale, in cui i personaggi non si stagliano con eccessiva autonomia sul gruppo, ma in cui quel che conta è la comunicazione di un senso di colore locale e di comune sentire nel quale identificarsi senza troppa fatica. Così l’utilizzo lungo tutta la partitura di bellissimi temi popolari baschi, di cui Guridi era collezionista e arrangiatore, la semplicità della storia e della costruzione drammatica, la linearità dei numeri musicali, e la freschezza di quelli danzati, rendono l’ascolto della partitura assai scorrevole e piacevole, tanto più che nella produzione di Madrid si è scelto di sfrondare in modo consistente i dialoghi parlati di Federico Romero e Guillermo Fernández-Shaw, in modo tale da riuscire ad allestire i tre atti in un unico arco di un’ora e quaranta minuti.
L’opera è stata diretta splendidamente da Juanjo Mena, il quale in un’intervista a un giornale, dichiarandosi grande estimatore del Caserío, ne aveva elogiato in particolare l’orchestrazione. Ecco, bisogna dire che Guridi, allievo alla Schola Cantorum di D’Indy a Parigi e, oltre che compositore, ottimo organista e direttore di coro, in questa partitura non sfoggia una tavolozza di colori impressionista, ma riesce a dare alla sua musica un’apparenza limpida e concreta che, pur con notevoli preziosità armoniche, ben s’adatta alla bontà d’animo e alla semplicità di cuore che sono celebrate nella storia. La vicenda principale del buono e vecchio zio Santi che cerca di far in modo che il nipote José Miguel rinsavisca e sposi la cugina Ana Mari, riuscendo così insieme a non dover dividere il podere per l’eredità e a far felici i due giovani, è contrappuntata da vari personaggi comici e rimane sempre, anche nel momento drammatico in occasione della partita di palla basca, nell’ambito dell’idillio. Spigliati nella recitazione e bravi tutti i cantanti sentiti nel secondo cast (José Antonio López, Carmen Solís e José Luis Sola, erano i tre protagonisti); eccezionale il gruppo di ballo folclorico, Aukeran Dantza Kompainia, chiamato apposta per l’occasione.
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