Una ninna nanna per Billy Budd

Successo all'Opera di Roma per l'opera di Britten diretta da Conlon

Billy Budd (foto Yasuko Kageyama)
Billy Budd (foto Yasuko Kageyama)
Recensione
classica
Teatro dell'Opera di Roma
Billy Budd
08 Maggio 2018 - 15 Maggio 2018

Tutto si svolge su un vascello britannico nel 1797, ma scordatevi i suoni e i colori del mare, questo è un mondo senza luce e senza aria, chiuso e oppressivo, quasi un carcere o un campo di concentramento, dove i marinai conducono una vita durissima sotto gli ordini di ufficiali che alla prima mancanza (o anche in assenza di una reale mancanza) ricorrono senza pietà alla frusta. Tra questi marinai c’è Billy Budd, un trovatello di cui non si sa nulla – egli stesso ignora dove e quando sia nato – e che in quel mondo senza luce porta la sua bellezza, la sua gioia, la sua purezza. Queste qualità attraggono morbosamente Claggart, uno degli ufficiali: temendo di non poter resistere alla “depravazione” (parola sua) che ha sempre cercato di soffocare in sé, egli ne attribuisce la colpa all’ignaro Billy Budd, decidendo di distruggerlo. E così avverrà.

Britten dedica tutta la prima parte alla descrizione dell’ambiente, essenziale a creare l’atmosfera chiusa e oppressiva in cui questa storia si sviluppa, ma l’opera prende veramente quota alla fine del primo atto, col monologo di Claggart, che ha una drammaticità quasi verdiana, ma con una conoscenza più moderna dei meandri della psiche umana. Da lì l’opera prosegue con una serie di scene molto potenti, che sono articolate come quadri a sé stanti: non è un limite ma una precisa scelta di Britten, che sembra pensare alle stazioni di una sacra rappresentazionePotentissima la scena in cui la vitalità dei marinai, soffocata dalla monotonia e dalla durezza della vita di bordo, esplode all’avvicinarsi della battaglia con i francesi, che riescono però a sottrarsi, mentre la nebbia scende ad isolare ancor più il vascello inglese nell’immensità dell’oceano. Emozionante il monologo di Billy alla vigilia dell’impiccagione, quasi un ninna-nanna che egli canta a se stesso, in cui Britten dimostra di conoscere perfettamente la linea di separazione tra la più intensa commozione e il sentimentalismo.

Britten deve molto al magnifico libretto, che E. M. Forster ha tratto dal romanzo omonimo di Melville. La tematica dell’omosessualità vi ha un ruolo importante, anche perché tutti e tre gli autori la vivevano personalmente, in epoche in cui era una colpa innominabile, condannata dalla morale pubblica e perseguita anche dalla legge nel Regno Unito, la patria dei diritti civili. Come in Moby Dick, anche in Billy Budd Melville inserisce un significato religioso in senso lato, qualcosa che trascende la vicenda contingente ed ha a che fare col bene e col male assoluti. Questo passa nell’opera di Britten, che – l’abbiamo già accennato – ricorda per alcuni caratteri una sacra rappresentazione. Billy, la vittima sacrificale, ha aspetti cristologici. Vere, il capitano del vascello, che pur potendo impedire l’esecuzione di Billy, si rifugia nel rispetto rigido del regolamento e se ne lava le mani, è un novello Pilato.

Proprio ad una sacra rappresentazione è avvicinabile lo spettacolo di  Deborah Warner, che con la sua regia ha portato quest’allestimento – una collaborazione tra i teatri di Madrid, Roma e Londra – a vincere l’Opera Award 2018 per la migliore nuova produzione. Lo scenografo Michael Levine lascia Il palcoscenico quasi totalmente vuoto, immerso nella semioscurità di una notte eterna (bellisisme le luci di Jean Kalman). In alto le vele arrotolate suggeriscono che siamo su una nave, ma vengono spiegate al vento solo al momento della battaglia, per subito afflosciarsi per l’improvvisa bonaccia. Le sartie del vascello o penzolano inerti dall’alto, delimitando lo spazio quasi come le sbarre di una prigione, o sono gli strumenti del duro lavoro dei marinai, quasi catene che li legano alla loro condizione di semischiavitù. La Warner parte dalla naturalezza tipica delle regie britanniche ma giunge ad un’essenzialità e ad un’icasticità che rivelano come in quest’opera si celi una sacra rappresentazione laica. E Billy alla fine non penzola dal cappio ma sale sull’altissimo pennone della nave e scompare in alto, nel cielo.

Assolutamente encomiabile la realizzazione musicale. Quell’ottimo direttore e grande ed esperto conoscitore della musica di Britten che è James Conlon ha portato attraverso lunghe prove il coro e l’orchestra dell’Opera ad un eccellente risultato. Valga per tutti l’elogio all'ottavino Marta Rossi, che nella ricordata scena di Billy alla vigilia dell’esecuzione, intesse quasi un duetto con il protagonista. Questa è un’opera corale, con quasi venti personaggi: valga il tradizionale “bravi tutti”, ma non ci si può esimere da un elogio speciale a Phllip Addis (Billy), John Relyea (Clangart) e Toby Spence (Vere). 

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