Un Orfeo per celebrare Dante

L’opera di Monteverdi presentata in una versione semiscenica per la stagione lirica del Teatro Comunale di Treviso

Orfeo
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Recensione
classica
Treviso, Teatro Comunale “Mario Del Monaco”
Orfeo
12 Novembre 2021

È sicuramente una buona notizia che anche nella pur breve stagione lirica di un teatro di tradizione come il Comunale “Mario Del Monaco” di Treviso, fra un Don Pasquale e una Traviata a venire, trovi spazio anche l’Orfeo di Monteverdi e per di più in una esecuzione, almeno sulla carta, storicamente informata, come ormai è d’uso oggi.

L’occasione per questo allestimento in forma semiscenica sono le celebrazioni per i 700 anni dalla morte di Dante, il quale alla città veneta dedica alcuni versi pronunciati dalla trevigiana Cunizza da Romano nel Canto IX del Paradiso (“e dove Sile e Cagnan s’accompagna”, incisi anche nella stele presso il ponte cittadino costruito nel luogo dove i due fiumi si incontrano). Versi anche più numerosi di quanti Alessandro Striggio non abbia inserito nel libretti dell’opera di Monteverdi, come quello celebre del Canto III dell’Inferno “lasciate ogni speranza o voi che entrate”, pronunciato dalla Speranza che scorta Orfeo sulle sponde dello Stige, e il frammento “a riveder le stelle” che chiude l’Inferno e che qui risuona nella promessa di Orfeo alla compagna appena perduta. Anche nelle note di regia, Valerio Bufacchi, che firma la produzione semiscenica, si cimenta in qualche parallelo un po’ acrobatico fra la composizione di Monteverdi e l’universo dantesco. Meno acrobatico il suo allestimento o, meglio, la “mise en espace”, che sfrutta comunque al meglio il palcoscenico privo di scene, con una sola pedana, un semplice sipario per fondale e qualche effetto luminoso che suggerisce i vari ambienti dell’opera. Il resto lo fa con una certa efficacia il lavoro sui movimenti, e più che della danzatrice (Elisabetta Galli) del coro usato in funzione quasi scenografica, in particolare nell’atto infernale, il più riuscito dello spettacolo.

Parecchio disuguale è l’assortito parterre di interpreti, che comunque può contare su un protagonista di spessore in Mauro Borgioni, baritono dalla bella voce corposa e ottimo interprete anche sul piano stilistico: il suo “Possente spirto” è davvero eccellente, ma non meno convincente è il lamento di “Tu se’ morta”. Buone anche le prove dell’intensa messaggera Luciana Mancini, di Francesca Lombardi Mazzulli nel doppio ruolo di Euridice e la Musica, e di Luca Tittoto che è Caronte sonoro e reso bene sul piano scenico. Fra gli altri, Raffaele Giordani come Apollo e primo pastore è penalizzato da mezzi vocali troppo esili, mentre Walter Testolin è un Plutone decisamente legnoso (e appena meglio fa Marta Radaelli al suo fianco come Proserpina). Fin troppo corposi ma pertinenti gli interventi del coro Venice Monteverdi Academy preparato da Sheila Rech, anche se uno sforzo di memoria per evitare leggi e spartiti sulla scena forse valeva la pena farlo in una produzione che ha qualche ambizione in più rispetto a una semplice esecuzione in forma di concerto.

In buca, l’Orchestra da Camera Lorenzo Da Ponte ha certamente la potenza di fuoco dispiegata da Monteverdi per l’esecuzione alla corte di Mantova e un suono pieno e vario nelle diverse sezioni strumentali. Malgrado l’ottima qualità dei singoli strumentisti, è l’insieme che sembra soffrire talora di poca omogeneità, forse per le poche prove ma anche per una direzione a tratti poco lineare di Roberto Zarpellon. Dopo una toccata non proprio immacolata e un primo atto con qualche inciampo, l’esecuzione recupera sulla distanza e acquista un maggiore equilibrio a partire dal terzo atto, molto convincente come il finale.

Nel complesso lo spettacolo comunque fila e convince i numerosi spettatori presenti che ricambiano con calorosi applausi a tutti gli interpreti e soprattutto al protagonista Mauro Borgioni.

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