Ulisse ritorna a Monaco

I Münchener Opern-Festspiele hanno riproposto l'allestimento del Ritorno di Ulisse in patria del 2001, con Rodney Gilfry e Vivica Genaux nei ruoli dei protagonisti. La regia di David Alden si muoveva sul confine malcerto tra la amara rappresentazione delle umane fragilità e la vacua ironia.

Recensione
classica
Bayerische Staatsoper Munchner-Opern-Festspiele Monaco di Baviera
Monteverdi
23 Luglio 2003
Al Prinzregententheater di Monaco, teatro dall'acustica perfetta, adattissimo ad ospitare opere antiche e con strumenti originali, si è rivisto Il Ritorno d'Ulisse in patria già messo in scena nel luglio del 2001 (e sono previste riprese fino al 2005). Al posto di Bolton c'era però sul podio Christopher Moulds, direttore inglese che spazia da Händel a Birtwistle (The Last Supper), e che ha offerto dell'opera di Monteverdi (nella edizione curata da John Toll) una lettura carica di tensione, attenta a sottolineare le diverse caratterizzazioni dei personaggi sulla scena. Nel cast i ruoli principali sono rimasti quelli del 2001: Penelope era Vivica Genaux, cantante dell'Alaska con trascorsi rossiniani, ammirata per il fascino malinconico, il timbro vellutato e omogeneo in tutta la tessitura, anche nel registro grave; Ulisse era un Rodney Gilfry dalla voce robusta e dagli accenti eroici, ma senza tante sfumature. Straordinaria la vis comica di Dominique Visse che interpretava l'humana fragilità e Pisandro. Bravissimi anche Francesca Provvisionato (Minerva), Kenneth Robertson (Eumete), il piccolo solista del Tölzer Knabenchor nell'impegnativo ruolo di Amore, Toby Spence che ha dato a Telemaco una voce morbida e assai espressiva, Robert Wörle, un Iro che univa doti caricaturali a una grande facilità di emissione. Il geniale regista newyorkese David Alden, che aveva già messo in scena L'incoronazione di Poppea, ha cercato come sempre un taglio moderno e irriverente, trasformando l'intima drammaticità dell'opera monteverdiana in una caustica metafora della natura umana. In uno spazio scenico spoglio, con due grandi pareti mobili, una panca di legno, un divano sfondato, un vecchio termosifone, un parquet bucato (che nella scena finale si arrotola su se stesso creando l'effetto di un'enorme onda) si aggiravano gli dei, rappresentati come personaggi gaudenti attorniati da sculettanti conigliette, Eurimaco come un bellimbusto con baffetti e grossi anelli alle dita, Ericlea con tailleur e sigaretta, Melanto come una servetta lasciva (capace di ballare il tip tap e di imbracciare un fucile per sparare alle conigliette), Iro come un obeso simbolo di tutti gli eccessi (entrava in scena mangiando un gatto), più ripugnante che comico, Telemaco come un giovane ufficiale di marina, Ulisse in abiti cenciosi che anziché vecchio si fingeva paralizzato su una sedia a rotelle. Regia piena di buffe trovate, che si muoveva sul confine malcerto tra la amara rappresentazione delle umane fragilità e la vacua ironia.

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