Tre violoncelli per Bach

A pochi giorni di distanza l’uno dall’altro Brunello, Maisky e il giovanissimo Pagano hanno suonato a Roma le Suites per violoncello solo di Bach

Mario Brunello
Mario Brunello
Recensione
classica
Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Accademia Filarmonica Romana, Oratorio del Gonfalone
Brunello, Maisky, Pagano
01 Marzo 2023 - 08 Marzo 2023

Per una singolare coincidenza tre stagioni romane di musica da camera –Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Accademia Filarmonica Romana e Oratorio del Gonfalone – hanno programmato nel giro di pochi giorni tre concerti dedicati alle Suites per violoncello solo di Bach, affidandoli rispettivamente a Mario Brunello, Misha Maisky ed Ettore Pagano. In genere queste sovrapposizioni sono il fastidioso risultato dell’assenza dell’auspicabile coordinamento tra le istituzioni concertistiche di una stessa città, eppure questa volta ne è nato qualcosa d’estremamente interessante, come se tutto fosse stato calcolato. Maisky ha suonato le Suites n. 1, 4 e 5 e sei giorni dopo Pagano ha scelto le altre tre, cosicché in sei giorni si è potuto ascoltare il ciclo completo delle sei Suites. Brunello invece ha eseguito due Suites, una delle quali (la n. 1) era tra quelle eseguite da Maisky e l’altra (la n. 3) tra quelle eseguite da Pagano.

Seguendo l’ordine cronologico dei concerti, cominciamo da Mario Brunello, che a sessantadue anni è all’apice della maturità artistica. Ricava dal violoncello di Giovanni Paolo Maggini (uno dei due di questo liutaio del Seicento ad essere giunto fino a noi) un suono omogeneo e purissimo dal grave all’acuto e lo mette al servizio di un’interpretazione delle Suites bachiane depurata quasi totalmente dalle ascendenze danzanti dei movimenti che le compongono, perché i tempi sono fluidi e molto liberi e gli accenti ritmici delle danze non vengono affatto evidenziati, a rischio di castigare la varietà dei singoli movimenti. Si direbbe che, mutatis mutandis, il modello ideale di Brunello sia Pablo Casals, che riscoprì queste Suites all’inizio del Novecento e ne lasciò una storica incisione realizzata tra il 1936 e il 1939: sotto il suo archetto questa musica non aveva quasi più nulla a che vedere con cose terrene come le danze e diventava un mondo iperuranio d’incontaminata e spirituale bellezza. Ovviamente tra Casals e Brunello corrono anche molte differenze, ancor più importanti di qualche vaga somiglianza, perché la distanza temporale tra loro è di circa cento anni e questo si avverte benissimo: Casals attribuiva ad ogni movimento drammaticità o pathos o misticismo, insomma “romanticizzava” Bach, mentre l’interpretazione di Brunello è asciutta e moderna.

Maisky

Passando all’oggi settantacinquenne Misha Maisky il suo approccio è quello di un grande solista della vecchia scuola. Nella sua interpretazione si vede la sua stessa personalità riflessa nello specchio di Bach, perché si accosta a Bach senza timori reverenziali e senza preoccuparsi né dello stile né della filologia e si lascia guidare dal suo istinto e dal suo temperamento, affinati però dalla lunga frequentazione di queste musiche, da lui suonate in centinaia di concerti e riproposte più volte al pubblico romano, che sempre gremisce questi suoi concerti bachiani e applaude entusiasta. E si può ben capire tanto entusiasmo. In realtà all’inizio si avverte la mancanza di una visione d’insieme da parte di Maisky e si ha l’impressione di un’interpretazione un po’ casuale, priva di una linee corente. Ma le perplessità svaniscono rapidamente di fronte alla continua varietà di accenti, di dinamiche, di colori e di fraseggi, che certamente Bach e i suoi contemporanei nemmeno immaginavano, anche perché erano irrealizzabili con gli strumenti privi di puntale, le corde, gli archetti e la tecnica esecutiva dell’epoca. Ogni movimento è quasi una piccola scena teatrale, si tratti di una danza lenta come la sarabanda o di danze veloci come le gighe e quelle che Bach stesso definì “galanterie”, ovvero le danze che più tardi delle altre erano approdate nelle corti e quindi conservavano ancora qualcosa della loro origine popolaresca. Indimenticabile la deliziosa Gavotta della Suite n. 5 in cui si fondono il carattere rustico delia danza paesana e la grazia della danza di corte: sembrava quasi di vedere una contadinella che fa la civettuola.

Pagano

Brunello e Maisky hanno suonato in due giorni consecutivi e dopo un intervallo di sei giorni è stata la volta di Ettore Pagano, che è nato a Roma nel 2003, quindi ha sì e no vent’anni. Se qualcuno avesse pensato che non avrebbe potuto reggere il confronto, è stato clamorosamente smentito. Questo ragazzo non è più una promessa ma un musicista già straordinariamente maturo per padronanza tecnica, per bellezza del suono, per rigore stilistico, per maturità d’interprete: non soltanto ha confermato le voci che l’avevano preceduto ma è andato oltre ogni aspettativa. Difficile trattenersi dal parlarne con un entusiasmo che potrebbe sembrare eccessivo a chi non l’avesse mai sentito suonare. E allora diciamo che il suono è bellissimo, timbrato, puro e omogeneo, ma che si sono sentite anche alcune note gravi un po’ gutturali e alcune note acute un po’ sibilanti: si potevano contare sulle dita e forse la responsabilità era anche del violoncello, dato che probabilmente Pagano non può ancora permettersi uno strumento pregiato come il Montagnana di Miasky o il Maggini di Brunello. E l’esecuzione della prima delle Suites da lui eseguite - la n. 2 - è stata un tantino inferiore alle altre, forse perché doveva ancora scaldarsi o forse perché era un po’ deluso e demotivato dal pubblico molto scarso (lo sciopero dei trasporti pubblici può esserne la spiegazione). Ma poi la Suite n. 3 è stata assolutamente abbagliante e allo stesso livello era la n. 6.

Pagano ha offerto di queste Suites un’interpretazione classica ed equilibrata, che rivela un’ottima scuola (ha studiato al conservatorio romano e ora si sta perfezionando nelle migliori accademie) ma non è molto personale, d’altronde in Bach essere originali è una facile scorciatoia, mentre è molto più difficile impadronirsi totalmente e approfonditamente di questa musica e renderla in maniera superba, come fa questo giovane violoncellista, che già dimostra una maturità impressionante, tanto che ci si chiede fin dove potrà arrivare crescendo.

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

classica

Napoli: Dvorak apre il San Carlo

classica

Il primo pianista francese a vincere il Čajkovskij di Mosca conquista il pubblico milanese con un interessante quanto insolito programma.

classica

A Colonia l’Orlando di Händel tratta dall’Ariosto e l’Orlando di Virginia Woolf si fondono nel singolare allestimento firmato da Rafael Villalobos con Xavier Sabata protagonista