Su e giù sulle scale (pentatoniche) con Vieux Farka Touré

Nonostante il mal di denti, Vieux Farka Touré ha sparso desert-blues elettrico a piene mani al Jumeaux Jazz Club di Losanna

Vieux Farka Toure
Recensione
world
​​​​​​​Jumeaux Jazz Club, Losanna
Vieux Farka Touré
19 Marzo 2024

Ha rischiato di essere annullato, il live di Vieux Farka Touré al Jumeaux Jazz Club di Losanna. Non per questioni organizzative o tecniche, bensì per un banalissimo mal di denti accusato dall’artista nel pomeriggio. Inconveniente attenuato grazie alle cure di uno specialista? No, alle magie della sorella, come lo stesso Vieux ha spiegato dal palco.

Sarebbe stato un peccato dover rinunciare all’ora e mezza di rovistamenti nelle tradizioni sonore del Mali proposta dal secondogenito del grande Ali. Un genitore dal carisma assoluto, ma anche un maestro un poco burbero, visto che vent’anni addietro storse la bocca e fece mettere ai voti dagli anziani di Niafunké la decisione del figlio di ripercorrerne le orme e di voler incidere dischi (si narra che una buona parola ce la mise pure Toumani Diabaté).

Oggi, per come canta, suona la chitarra, compone e interpreta il suo ruolo, Vieux testa dura conferma che fu la scelta giusta e di essere nato per stare anch’egli sulle scene.

Dopo una mezza dozzina di album altalenanti, tra luci e ombre, il cordone ombelicale l’ha tagliato definitivamente nel 2022 prima con Les racines (World Circuit), profondo sguardo lanciato sul patrimonio culturale di famiglia e più in generale sulla sapienza degli antenati, e poi unendosi inaspettatamente poco dopo al trio psych texano Khruangbin per Ali (Dead Oceans), disco in cui celebrava, aggiornandolo, il repertorio del padre. Un confronto sì problematico e aspro, ma esente da genuflessioni e incertezze, espresso da otto cover tornite in maniera mirabile, in grado di mostrarci la possibilità di orientare il passato al futuro.

E proprio attorno alle due opere appena citate è stata organizzata la scaletta svizzera, animata da una formazione robusta e compatta, che è sembrata tenere nel dovuto conto le esigenze del pubblico dei club, abituato ad attivare il corpo prima ancora che ad ascoltare.

Il gioco d’insieme di Samba Diabaté (chitarra ritmica), Ousmane Dagno (ngoni), Modibo Mariko (basso), Souleymane Kane (calabash, percussioni) e Adama Koné (batteria), è risultato infatti un sensibile incentivo nello spingere il capo verso sonorità più globalistiche rispetto al passato. Non è nemmeno un caso che, a paragone dei concerti dell’ultimo biennio, Vieux abbia abbandonato la formula tanto cara del trio e accuratamente evitato in sovrappiù di impiegare la chitarra acustica, con cui era solito scaldare l’ambiente.

Se l’inizio è stato comunque piuttosto tranquillo, il set ha preso poco alla volta il largo, salendo di intensità e durezza, perché anche senza lasciarsi andare ad atteggiamenti fuori luogo, Vieux ha sicuramente la stoffa dello showman e la maniera agile e lieve in cui maneggia il suo strumento producono riff, spunti solistici e improvvisazioni di alto livello.

Grazie a lui il blues del deserto subisce impercettibili, costanti modificazioni, si trasforma via via sino a raggiungere suggestive inclinazioni psichedeliche, non esenti da nervature funk dissimulate con grazia, oppure sconfina financo in rabbie (hard)rock. La band lo segue scrupolosa, tiene le antenne diritte e cerca di intuire i cambi di ritmo e di direzione un attimo prima che avvengano. Il paio di duetti di Vieux con lo ngoni elettrificato di Dagno sono il di più di una serata che a parte il canto del leader, per il motivo di cui sopra un poco trattenuto e talvolta incerto, ha reso felici i convenuti. 

A fine esibizione, mentre firmava autografi a lato del banchetto di vendita dei suoi cd e vinili, oltre a fargli i dovuti complimenti ci siamo permessi di domandargli se la situazione politico-sociale in Mali fosse davvero così problematica come ce la raccontano le agenzie di stampa occidentali.

La sua risposta è stata «Sì, è molto difficile e complicato viverci», ma ha anche ribadito un mantra in generale ormai largamente condiviso tra i musicisti africani, affermando che «noi siamo musicisti non dei politici, cerchiamo di fare al meglio il nostro mestiere, dai conflitti di potere intendiamo stare lontani».

Al di là delle sue scarne parole, il volto tradiva però un’espressione sofferente, e non per il solo mal di denti.

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