Sir Simon Rattle al Ravenna Festival
Con Magdalena Kožená e la Chamber Orchestra of Europe in musiche di Dvořák,
Mahler, Bartók e Schubert
Dopo Riccardo Muti (che ritornerà anche il 7 luglio) e Kirill Petrenko, il Ravenna Festival ha ospitato Sir Simon Rattle: un tris fantastico di direttori d’orchestra, e non diciamo i tre migliori perché su questo ognuno ha le sue opinioni. Il concerto si è svolto al Palazzo Mauro De André, che ha un’acustica discreta per essere un palazzo dello sport, ma un po’ secca, freddina. Quest’acustica ha il vantaggio di accentuare le caratteristiche tecniche di Rattle: il suono leggero e ben lucidato, che dà alla musica quell’andamento mobile e volante che giustifica l’appellativo di folletto o di Peter Pan datogli quand’era giovane, anche per il suo aspetto fisico. L’aspetto è cambiato ma non sono cambiati la leggerezza volante, la cura attentissima di ogni singolo dettaglio e dell’equilibrio generale del brano e anche una certa qual spensieratezza nei confronti degli aspetti espressivi ed emotivi della musica.
Ne è stato uno splendido esempio la Sinfonia n. 9 (un tempo era la n. 7 o anche 10) di Schubert, definita “La grande” per le sue dimensioni e per l’ampiezza dell’organico, che inducono molti direttori ad accentuarne la grandiosità, talvolta anche a darle un tono in certi momenti imperioso per non dire militaresco, insomma ad appesantirla. Invece Rattle attraversa quest’ampia costruzione sinfonica con passo leggero, gustando le trasformazioni del breve e semplice motivo iniziale, la ricchezza dell’invenzione melodica schubertiana, le divagazioni armoniche, la gentilezza dei dialoghi quasi cameristici tra gli strumenti, lo slancio gioioso del finale. Quella di Rattle è un’interpretazione antiromantica (o meglio a-romantica) se per romanticismo s’intende cercare nella musica l’espressione di grandi passioni e altri significati reconditi ed enigmatici: questa è una musica meravigliosa e tanto basta.
Prima Rattle aveva eseguito lo Scherzo capriccioso op. 66 di Dvorak, rendendo giustizia sia allo “scherzo” sia al “capriccioso” del titolo e centrando e mettendo chiaramente in rilievo i rapidi passaggi tra atmosfere diverse e contrastanti. Una musica tanto spensierata per l’ascoltatore quanto problematica dal punto di vista tecnico per direttore e orchestra, ma non per Rattle e la Chamber Orchestra of Europe.
Tra Dvorak e Schubert è entrata in scena la terza protagonista del concerto, il mezzosoprano Magdalena Kozena, una grande interprete che non si ascolta abbastanza spesso in Italia. Ha cantato dapprima i cinque Rückert Lieder di Mahler, immergendoli in una leggera ma struggente malinconia, con un timbro vocale un po’ chiaro ma purissimo e bellissimo, servendosi – tranne che in pochi momenti più mossi – di una mezzavoce vellutata, che anche in una sala così ampia giungeva chiarissima all’ascoltatore e lo catturava con la sua forza magnetica. Rattle dava all’orchestra mahleriana una delicatezza cameristica. Da Mahler si è passati a Bartok e ai suoi poco noti Cinque canti popolari ungheresi, versione con orchestra di una parte della sua raccolta di Venti canti popolari ungheresi con accompagnamento pianistico: sono elaborazioni più complesse e personalizzate rispetto all’approccio solitamente etnomusicologico di Bartók alla musica tradizionale della sua terra. Anche qui la Kozena è stata impeccabile ma è sembrata trovarsi più a suo agio nello stile ‘alto’ di Mahler.
Dopo ogni brano sono arrivati calorosi e meritatissimi applausi per Rattle, per Kozena e per la Chamber Orchestra of Europe nel suo insieme e per le sue prime parti, applaudite anche da Rattle stesso.
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